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Eric era tornato a Villa Sikes senza fare deviazioni. Per quella sera non avrebbero scoperto dove teneva Alice, sempre se era effettivamente ancora viva da qualche parte.

«E adesso?» domandò John tenendosi lontano dalle telecamere di sorveglianza poste tutt'attorno alla recinzione del giardino.

Sherlock sbuffò. «Sono a corto di personale, John. Quindi uno di noi due deve tenere sott'occhio Sikes mentre l'altro indaga altrove.»

Il dottore si arrese all'instante. «Che tradotto sarebbe: io resto qui e tu vai.»

«Vedo che non ti sfugge niente.»

«Mi sfugge chi sarebbe il personale di cui sei a corto.»

Sherlock sollevò il colletto del cappotto per ripararsi a una raffica di vento. «La mia preziosa rete di senzatetto. Non trovo volontari.»

«Evidentemente non li paghi abbastanza.»

«No. Intendo dire che sono spariti dalla circolazione.»

«Avranno trovato dei posti più caldi in cui stanziare.» Il vento rafforzò ancora e John imprecò. Aveva il naso arrossato e le dita intorpidite. «Non puoi davvero chiedermi di fare un appostamento con questo freddo!» si lamentò.

«Potevi spendere di più per il cappotto.»

John borbottò un commento e guardò l'investigatore allontanarsi e sparire dalla via. «È un bel cappotto» si disse stringendolo meglio addosso. Gli si prospettava una lunga nottata e un conseguente raffreddore.

*

Andare al capannone era del tutto inutile. La pioggia aveva di certo cancellato ogni indizio esterno, come le tracce degli pneumatici, ed entrare dentro con le scarpe infangate sarebbe stato un grossissimo errore da commettere. Per questo Sherlock decise di andare a controllare l'appartamento di Alice.

Era piccolo e modesto, messo a disposizione dall'MI6 che creava abitazioni perfette per rappresentare la nuova identità della spia di turno. Era un modo per ingannare possibili invasori, ma anche per far entrare meglio nel ruolo l'agente che ci avrebbe vissuto.

Sherlock non conosceva Alice e quel che sapeva lo aveva dedotto dalla scheda personale custodita nel dossier. Ma anche così poteva dire con certezza che la personalità che Alice aveva dovuto incollarsi addosso non era minimamente simile alla sua.

L'agente Holland era una giovane donna sportiva, indossava abiti casual e andava dalla parrucchiera una volta l'anno. Non si imbellettava, dalle foto appariva una donna semplice, acqua e sapone e che per questo sembrava più giovane di quanto fosse. Amava leggere e mangiare pizza. Se il suo lavoro non glielo avesse impedito, avrebbe adottato un cane. Non un cucciolo, ma un caso disperato preso al canile. Alice aveva la faccia di chi ama i casi disperati.

La signorina Smith, invece, era di tutt'altra pasta. Era una a cui importava apparire alla perfezione: il mobiletto del bagno era colmo di cosmetici e trucchi, l'armadio di abiti eleganti e scarpe con tacchi vertiginosi. Non c'erano libri sulle mensole, solo soprammobili di design moderno del tutto inutili: sculture sinuose, vasi a forma di ampolle, profumatori per ambiente sferici. L'arredamento era freddo e moderno, con mobili dalla cromatura grigio-azzurra, un divano di lusso ma scomodo più di una sedia di marmo, pavimento di costoso parquet scuro e una cucina con penisola inutilizzata; Alice Smith era una donna in carriera, non perdeva tempo ad accendere i fornelli.

Se non fosse che era ancora tutto a soqquadro, avrebbe potuto essere il perfetto allestimento di un angolo espositivo.

«Deve essere stato difficile per te indossare questa maschera» rifletté Sherlock osservando ciò che restava di uno specchio rotto e che rifletteva la sua figura frammentata in mille pezzi.

SHERLOCK - Il caso Alice HollandDove le storie prendono vita. Scoprilo ora