Capitolo 2 - Tra Le Tue Vecchie Strade

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I tedeschi.
Uomini in uniforme marciavano lungo le strade del ghetto, le loro armi pronte, gli sguardi freddi e distaccati. Non vedevano persone davanti a loro, solo oggetti da controllare, da sottomettere, da eliminare.

Non avevamo bisogno di guardare fuori dalle nostre misere finestre per sapere chi marciava verso di noi; il solo rumore era sufficiente a riempirci di terrore. Quando quegli uomini in uniforme si avvicinavano, i battiti del mio cuore sembravano gli ultimi.
Non era solo la paura per ciò che avrebbero potuto fare fisicamente; era il disgusto per come riuscivano a spezzarci con uno sguardo, a ridurci a meno di nulla con parole taglienti come lame. Mi nascondevo, con il fiato sospeso, pregando che non si accorgessero di me, che non si fermassero davanti alla nostra porta. Ma il mio cuore si spezzava ogni volta che sentivo le loro voci alzarsi.

Ricordo una volta, il loro ghigno mentre strappavano un vecchio libro dalle mani di un bambino, le pagine che volavano via come uccelli spaventati, ogni foglio che toccava terra era un altro pezzo di speranza che moriva. Era l'indifferenza nei loro occhi, il piacere crudele per il controllo che avevano su di noi, che mi faceva rabbrividire fino al midollo.

Le giornate passavano, e con esse storie che non avrei mai voluto conoscere. Vicini che sparivano nel cuore della notte, stanze che si svuotavano in un attimo, lasciando dietro solo il silenzio e qualche oggetto dimenticato, un giocattolo, una scarpa, un pezzo di stoffa che un tempo aveva significato qualcosa.

Non ho bisogno di dirlo apertamente; le parole non potrebbero mai catturare completamente l'orrore, il senso di impotenza, la perdita di tutto ciò che ci rendeva umani. Ma so che, nonostante tutto, dobbiamo ricordare, dobbiamo raccontare, perché nessuno dimentichi mai il prezzo del silenzio, l'importanza della memoria.

                    Il vecchio signor Abramovich era conosciuto da tutti nel ghetto come un uomo di pace, uno spirito gentile che aveva vissuto abbastanza per vedere il mondo cambiare più volte

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Il vecchio signor Abramovich era conosciuto da tutti nel ghetto come un uomo di pace, uno spirito gentile che aveva vissuto abbastanza per vedere il mondo cambiare più volte. Aveva sempre una parola di conforto, un sorriso stanco per chiunque avesse bisogno di sentirsi meno solo. Quando i soldati entrarono a marcia forzata nel nostro settore, la paura si diffuse come un'ombra fredda. Nessuno avrebbe mai immaginato che sarebbe stata l'ultima volta che vedevamo il signor Abramovich come lo conoscevamo.

«Per favore, ho bisogno solo di un momento,» implorò, la sua voce debole tremante di paura ma ancora intrisa di quella dignità che non lo aveva mai abbandonato. Non era un uomo fatto per la velocità, l'età gli aveva tolto quella grazia, lasciandolo inciampare nei suoi tentativi di alzarsi dalla sua sedia a rotelle usurata.

Le risate crudeli dei soldati risuonavano tra le strette mura del ghetto mentre lo afferravano con forza brutale, le loro mani come tenaglie di ferro su braccia così fragili che sembravano potersi rompere al minimo tocco. «Vecchio inutile, muoviti!» urlarono, le loro voci un misto di disprezzo e irritazione.

Il signor Abramovich alzò le mani in un gesto disperato di supplica, gli occhi imploranti cercando invano un briciolo di umanità nei volti dei suoi aguzzini. Ma non c'era pietà nei loro occhi, solo il vuoto oscuro di chi ha dimenticato cosa significhi essere umani.

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