Capitolo 10 - Non Siamo Tutti Uguali?

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- Non siamo tutti uguali? Questo pensiero mi attraversa la mente mentre guardo intorno a me, scrutando i volti logori e le anime infrante dei miei compagni di sofferenza. In questo luogo di estremo dolore e degradazione, l'idea stessa dell'uguaglianza sembra un concetto astratto, quasi irraggiungibile.

L'uguaglianza non risiede nelle circostanze esteriori, nelle ricchezze materiali, o nel colore della pelle. L'uguaglianza si trova nella nostra intrinseca umanità, nel battito del cuore che persiste nonostante il freddo e la fame, nella capacità di provare amore anche nel cuore della notte più buia. Qui, dove ogni giorno potrebbe essere l'ultimo, ci sosteniamo a vicenda con piccoli gesti di gentilezza, condividendo l'ultimo pezzo di pane, offrendo una parola di conforto, tenendoci per mano quando la paura diventa soffocante. In questi momenti, la nostra comune vulnerabilità ci rende veramente uguali.

Mi sono resa conto che l'uguaglianza non può essere imposta dall'esterno con leggi e decreti, ma deve nascere dal profondo riconoscimento che, nonostante le nostre infinite diversità, condividiamo lo stesso fragile viaggio della vita.

Forse, un giorno, quando tutto questo sarà finito, potremo costruire un mondo dove l'uguaglianza non sarà solo un ideale, ma una realtà vissuta. Un mondo dove nessuno sarà giudicato per la sua nascita, il suo credo, o il suo colore, ma sarà valutato per la sua umanità.-

«Stai ancora in piedi, eh?» La voce della guardia era distorta. Mi fissava con occhi che non mostravano empatia o comprensione, solo un freddo calcolo. «Vediamo quanto durerai ancora.»

Mi stringevo nelle braccia, il freddo della mattina che penetrava le mie ossa. Il campo era avvolto in una nebbia spessa. Accanto a me, altre donne inciampavano, stanche e affamate, formavano una fila disordinata.

Uno dei cani delle guardie, un grosso pastore tedesco solitamente feroce e intimidatorio, si avvicinò a me. Il suo comportamento era insolito; anziché ringhiare o mostrarsi aggressivo, si fermò ai miei piedi, guardandomi con una curiosità quasi umana.

La guardia lo notò. «Otis, vieni qui!» gridò, ma il cane sembrò ignorarla, il suo sguardo ancora fisso sul mio. Per un istante, il mondo intorno a noi sembrò scomparire, e ci fu una strana comprensione tra me e quella creatura. Poi, con un movimento rapido che mi lasciò senza fiato, il cane prese delicatamente il lembo del mio abito tra i denti, tirando leggermente come se volesse guidarmi via da quel luogo.

«Otis!» La guardia era furiosa ora, avvicinandosi a noi con passi rapidi. Gli altri prigionieri osservavano, in silenzio, la scena inusuale.

In un impulso, mi chinai verso il cane, sussurrandogli un rapido "grazie" prima che la guardia lo afferrasse bruscamente per il collare, trascinandolo via. «Non pensare nemmeno per un secondo che questo cambi qualcosa,» ringhiò la guardia, lanciandomi uno sguardo carico di minaccia.

La notizia dell'inaspettato gesto del cane aveva fatto il giro tra noi.

Mentre ci affrettavamo a preparare il cibo per le guardie e le razioni miseramente scarse per i prigionieri, Elżbieta si avvicinò a me con un'espressione preoccupata. «Hai sentito cosa è successo stamattina?» mi sussurrò, gettando uno sguardo furtivo verso l'entrata della cucina, dove una guardia vigilava.

«Si,» risposi, cercando di mantenere bassa la voce. «Ma dobbiamo stare attente a non parlarne troppo apertamente. Non sappiamo chi potrebbe ascoltarci.»

Elżbieta annuì, tornando al suo compito di tagliare le verdure, ma era evidente che la curiosità e l'ansia la divoravano. «È strano, non trovi? Che un cane possa mostrare più umanità di... loro,»disse, con un gesto del capo verso la guardia.

Non ebbi il tempo di rispondere che una voce autoritaria interruppe il nostro sussurro. «Più veloci, là!» era la capo cuoca, una prigioniera che aveva assunto un ruolo di responsabilità all'interno della cucina. Sebbene fosse una di noi, la pressione esercitata dalle guardie la rendeva spesso aspra e esigente.

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