Capitolo 11 - Tutti i Miei Ieri

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Con il cielo che si tingeva di sfumature di rosso e arancione, accadde qualcosa che mi fece dubitare della mia sanità mentale. Lontano, al di là delle file ordinate di prigionieri, credetti di vedere una figura familiare. Era una sagoma che conoscevo troppo bene, una persona che credevo perduta per sempre: Ewa, la mia cara amica, la cui morte avevo assistito con i miei stessi occhi.

Sul primo momento, il mio cuore si fermò. "Impossibile," sussurrai tra me e me, stringendo le mani fino a sentire le unghie conficcarsi nella pelle. Ewa era morta, ne ero certa. Avevo visto il suo corpo senza vita cadere a terra. Ma, era li, o almeno così mi sembrava.

Rimasi immobile, fissando quel punto in lontananza, finché la figura non svanì con l'oscurità che avanzava. "Devo essere impazzita," pensai, mentre il tumulto di emozioni mi sovrastava. La stanchezza, la fame e il dolore stavano finalmente avendo il sopravvento, spingendomi verso il confine sottile tra realtà e follia.

Il mio cuore era sospeso tra speranza e disperazione mentre mi avvicinavo alla donna che credevo fosse Ewa. La riconobbi immediatamente per la sua andatura, nonostante da lontano la mia mente avesse vacillato tra realtà e desiderio. «Ewa?» la chiamai, la voce vibrante di un'emozione trattenuta.

La donna si girò verso di me, e in un attimo, la mia speranza svanì. Non era Ewa, ma la somiglianza era sconcertante. «Scusa, mi chiamo Miriam... Ho pensato che fossi qualcun altro,» dissi, cercando di mascherare la mia delusione e confusione.

«Miriam?» la sua voce era dolce, ma portava il peso del mondo. «Conosco il tuo nome. Ewa parlava spesso di te. Io sono Zofia, sua sorella.»

Zofia. E in quel momento, le parole mi mancarono.

«Zofia, io... io ero lì quando Ewa..» le parole mi si strozzarono in gola. Il ricordo di quel giorno, il giorno in cui avevo visto Ewa cadere, vittima della crudeltà senza senso delle guardie, mi tormentava ancora. «L'ho vista morire davanti ai miei occhi..» sussurrai, il dolore rinnovato dalla confessione.

Zofia mi prese delicatamente le mani, i suoi occhi pieni di un dolore comprensivo. «Lo so, Miriam. Ewa mi ha protetto più volte, mettendosi in pericolo. La sua fede era incrollabile.»

«Lei mi ha insegnato tanto,» dissi, le lacrime che iniziavano a solcare il mio volto. «E ogni giorno, cerco di ricordarmi di quello che diceva sulla fede, sulla resistenza... Ma è difficile, Zofia. È così difficile.»

«Miriam,» iniziò con una voce che, nonostante il dolore, portava in sé una forza tranquilla, «non dobbiamo mai dimenticare che Geova ci vede. Ci vede anche qui, in questo luogo che sembra dimenticato da tutti.»

Mi colpì la certezza nella sua voce, un ancoraggio nel tumulto che era diventata la mia esistenza. «Ewa e io crediamo fermamente in questo,» continuò Zofia. «non importa quanto fosse grande l'oscurità intorno a noi, la luce di Geova può ancora raggiungerci, guidarci."

Ricordavo Ewa parlarmi della sua fede, di come la sua convinzione le desse forza. Vederlo riflesso così vividamente in sua sorella mi riempì di un senso di calore, di appartenenza.

«Ma come possiamo mantenere quella fede, Zofia Come possiamo credere che ci sia ancora bene in un mondo che ci ha mostrato solo il suo lato più crudele?» La domanda mi sfuggì.

Zofia mi strinse ancora più forte le mani, come se volesse trasmettermi direttamente la sua forza. «La fede non nega la realtà del dolore e della sofferenza, Miriam. Ma ci dà la speranza che ci sia qualcosa oltre questo. Che ogni prova, ogni difficoltà, possa essere superata con l'aiuto di Geova. Non siamo soli, neanche qui.»

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