Capitolo 3 - La Vita è Bella

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Nonostante il terrore della sera precedente, Marek sembrava calmo ora. Ma la quiete fu di breve durata.

Fu poco dopo la mezzanotte che sentimmo i passi. Pesanti. Decisi. La porta della nostra stanza fu spalancata con violenza, e quattro soldati tedeschi irruppero dentro, urlando ordini incomprensibili nella loro lingua dura.

Non ci fu tempo di nascondersi o di pensare. Anya e io ci guardammo. È la fine. Pensai. I bambini Kowalski, svegliati di soprassalto, si strinsero a noi, cercando protezione.

Il cuore mi si fermò. La paura si impadronì di tutte le fibre del mio essere mentre quei passi risuonavano come martelli contro il pavimento.

Il tempo sembrò rallentare, il mio respiro si fece pesante, carico di un terrore così profondo che parole non potrebbero mai descriverlo pienamente. Vidi i volti dei bambini Kowalski, il terrore nei loro occhi che rifletteva il mio. Eravamo congelati, incapaci di muoverci, incapaci di pensare.

Uno dei soldati, afferrò il bambino per un braccio, trascinandolo verso l'uscita. Anya gridò, lanciandosi disperatamente verso di lui per cercare di strappare il bambino dalle sue grinfie.
«Lasciatelo! Per favore, lasciatelo!» La sua voce era carica di una disperazione così pura, profonda, che neanche il cuore più duro avrebbe potuto ignorare. Eppure, i soldati non mostrarono alcuna esitazione.

Vedevo ma non volevo credere, sentivo ma volevo soffocare le mie grida.

«Anya, no!» La mia voce, un urlo straziante, era allo stesso tempo un avvertimento e una supplica. Ma era troppo tardi. Un altro soldato, con un gesto tanto rapido quanto brutale, colpì Anya con il retro del fucile. La vidi cadere, il suo corpo che si accasciava al suolo con una violenza che mi strappò un altro grido dal petto, un suono che non riconoscevo come mio.

Il terrore di quegli attimi si trasformò in rabbia, in un impulso disperato di fare qualcosa, qualsiasi cosa. Ma cosa potevo fare io, una madre senza armi, senza potere, contro la brutalità incarnata? Potevo solo guardare, pregare che qualcosa o qualcuno ci salvasse da quel momento di pura follia.

Uno di loro mi afferrò, tirandomi via con una forza brutale. La paura per Marek mi travolse, un'onda così potente da lasciarmi senza respiro. La mia mente era invasa da un unico pensiero ossessivo: proteggere il piccolo essere che cresceva dentro di me, a ogni costo. «Per favore,» riuscii a sussurrare, la voce soffocata dal terrore, «per favore, non fateci del male.» Ma le mie parole sembravano svanire nel nulla, inghiottite dal freddo disinteresse nei loro occhi.
Tutto accadde in un istante. Un colpo secco, un dolore lancinante che mi attraversò la testa come un fulmine. Le stelle esplosero davanti ai miei occhi, un cielo notturno improvviso e doloroso che oscurò ogni altra sensazione. Il suono del mondo intorno a me divenne ovattato, distante, come se fossi stata improvvisamente trascinata sott'acqua.

La presa del soldato si allentò, ma non riuscii a restare in piedi. Il mio corpo cedette sotto il peso del dolore e della paura, e mi sentii cadere, lentamente, verso l'oscurità che si spalancava sotto di me. Nel momento in cui il suolo incontrò il mio corpo, un'ultima, disperata preghiera sfiorò le mie labbra: «Proteggi Marek.»

E poi, il nulla.

E poi, il nulla

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