Capitolo 26 - Non lo Accetteremo

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Dieci donne, scomparse nel nulla. Non era la prima volta che persone sparivano da Treblinka, ma ogni volta il dolore e la rabbia riaccendevano il fuoco della ribellione nei nostri cuori. Quel giorno, mentre il sole lottava invano per riscaldare la terra gelata del campo, decisi che era arrivato il momento di agire.
«Non possiamo più stare a guardare,» dissi ad Anca, la mia voce bassa ma ferma, carica di una determinazione forgiata dalle innumerevoli ingiustizie subite. «Ogni giorno che passa potrebbe essere l'ultimo. Dobbiamo trovare un modo per uscire da qui.» Anca annuì, la sua espressione era dura, segnata dalle stesse decisioni. «Lo so, Miriam. È ora di fare qualcosa. Ho sentito che alcune delle donne stanno già pianificando. Dicono che ci sia una sezione del recinto periferico che non è sorvegliata come le altre...»
Ci unimmo a un piccolo gruppo di prigioniere che, guidate dalla stessa disperazione e dalla stessa speranza, stavano elaborando un piano di fuga. La leader, Irina, era una donna dallo sguardo d'acciaio e dalla mente agile, sopravvissuta a più di un campo di concentramento grazie alla sua astuzia.
«Ecco il piano,» cominciò Irina mentre tutte ci stringevamo intorno a lei, attente a non essere ascoltate dalle guardie. «La parte nord-ovest del campo ha un punto cieco nelle torri di guardia. Le luci sono rotte e non sono state riparate. Se riusciamo a scavare un piccolo tunnel sotto il recinto in quella sezione, potremmo avere una chance.»

«Ma scavare richiederà tempo, e non possiamo permetterci di attirare attenzioni,» interruppe Zofia, i suoi occhi scrutando ogni volto intorno al cerchio. «Dovremo lavorare di notte, a turni, mentre gli altri creano delle distrazioni per le guardie.»
«Utilizzeremo cucchiai, forchette... qualsiasi cosa possa servire come piccola pala,» aggiunse Lena, una ragazza piccola e magra con più coraggio di qualsiasi uomo che avevo conosciuto. «E nasconderemo la terra scavata sotto le nostre cuccette e nei sacchi delle immondizie.». Il piano era pericoloso, un chicco che pendeva sopra di noi come una lama pronta a cadere. Ma era un rischio che eravamo disposte a correre, spinte dalla visione di una libertà che sembrava tanto irraggiungibile quanto vitale.
«Cosa facciamo se qualcuna di noi viene scoperta?» chiese una giovane donna di nome Sofiya, la sua voce tremante di paura ma decisa.«Ci copriamo a vicenda,» risposi, sentendo il peso delle mie parole. «Se una di noi viene presa, le altre devono continuare. Non possiamo permetterci di fallire, non ora.»
Einrich anche se non poteva partecipare direttamente al tentativo di fuga, si era offerto di fornirci informazioni cruciali sui turni delle guardie e sui loro movimenti.
«Ho parlato con Einrich,» confidai al gruppo, abbassando ulteriormente la voce. «Lui cercherà di darci il segnale quando sarà il momento migliore per muoverci. Ha accesso a informazioni che noi non abbiamo.»
Con il piano stabilito e i ruoli assegnati, ogni donna sapeva cosa fare.

Karla che fino a quel momento era stata zitta, «Aspettate.» Tutti i movimenti cessarono, e sotto il manto protettivo del buio, ci girammo verso di lei, i suoi occhi brillando di una nuova, ardita determinazione. "Ho un'altra idea," continuò, la voce vibrante nonostante il pericolo imminente. «Dobbiamo non solo scappare, ma prendere il controllo, anche solo momentaneamente, per distrarre le guardie il tempo necessario a permettere a più di noi di fuggire.» Un mormorio di sorpresa e apprensione serpeggiò tra noi.

«Sì,» riprese Karla con fervore. «Dobbiamo collaborare, raccogliere ogni piccolo pezzo di materiale che potrà servire come arma o strumento di distrazione. Ruberemo una mappa del campo e creeremo bombe incendiarie con la benzina sottratta dai depositi delle SS.»
Irina, considerando l'idea, annuì lentamente. «È rischioso, molto più del nostro piano originale. Ma se funzionasse, potrebbe realmente distrarre le guardie abbastanza a lungo da permettere a molti di noi di scappare, non solo a pochi.»
«Dobbiamo decidere ora,» tagliò corto Misha, una delle più anziane tra noi, la cui autorità non era mai stata messa in discussione. «Se partiamo con questo piano, non c'è ritorno. Una volta che iniziamo, dobbiamo andare fino in fondo, senza esitazioni.» La decisione di unire le nostre forze e collaborare per un attacco coordinato contro le guardie non fu presa alla leggera. Ogni partecipante sapeva che stava mettendo in gioco non solo la propria vita, ma anche la possibilità di rappresaglie brutali contro tutti i prigionieri se la rivolta fallisse. «Ogni volontario deve essere assolutamente sicuro,» continuò Karla, il suo sguardo intenso che scrutava ogni volto nel cerchio. «Non possiamo avere titubanze una volta che iniziamo. Chi è dentro?» Uno dopo l'altro, ognuno di noi annuì.

Nei giorni che seguirono, ci preparavamo con un fervore febbrile. Karla e Irina organizzarono squadre per diverse mansioni: una per il furto delle mappe e della benzina, una per la fabbricazione delle bombe incendiarie, e diverse squadre di distrazione che avrebbero dovuto attirare le guardie lontano dai punti critici durante la rivolta.
Io fui assegnata al gruppo delle bombe incendiarie.

Per le bombe incendiarie, il processo era tanto semplice quanto pericoloso. Avevamo raccolto bottiglie vuote di ogni forma e dimensione per settimane, nascondendole in punti segreti intorno al campo. Il prigioniero chimico, che chiamavamo Pavel per proteggerne l'identità, ci insegnò come realizzare un miscuglio efficace utilizzando benzina sottratta ai veicoli delle SS e zucchero, un ingrediente che, quando bruciato con benzina, crea una sostanza appiccicosa e altamente infiammabile. «Pavel, sei sicuro di questo?» chiesi, guardando la benzina mischiarsi lentamente con lo zucchero che avevamo rubato dalla cucina delle SS.
«Sì,» rispose lui, la sua voce bassa e urgente. «Questa è una versione rudimentale del napalm. Lo zucchero trasforma la benzina in un gel che aderisce a tutto ciò che tocca e brucia più a lungo, rendendolo perfetto per causare incendi duraturi.»

Seguendo le sue istruzioni, riempimmo ogni
bottiglia con il letale miscuglio, assicurandoci di lasciare abbastanza spazio per inserire uno straccio che fungeva da stoppino. Pavel era chiaro sulla procedura: «Infilate lo straccio nella bottiglia, assicuratevi che tocchi il liquido, ma lasciate abbastanza parte esterna da poter prendere fuoco facilmente. Una volta acceso, avrete solo pochi secondi per lanciarlo prima che le fiamme possano risalire e esplodere in mano.»

Un altro degli obiettivi primari era acquisire una mappa dettagliata del campo di Treblinka. Questo documento era vitale non solo per pianificare la nostra fuga, ma anche per identificare e sfruttare le vulnerabilità nella sicurezza del campo. La mappa era custodita nell'ufficio del comandante delle SS, un luogo fortemente sorvegliato che sembrava impenetrabile.
La fortuna ci sorrise grazie a Leon, un prigioniero che lavorava come pulitore nell'ufficio degli ufficiali. Un giorno, mentre svuotava i cestini, notò dei fogli spiegazzati che erano stati gettati via. Non era insolito che i documenti venissero scartati, ma quel giorno, tra i rifiuti, Leon trovò una mappa parzialmente strappata del campo.
Con il cuore in gola, Leon nascose la mappa sotto la sua uniforme sporca e continuò a lavorare come se nulla fosse, ogni secondo temendo di essere scoperto. Una volta terminato il suo turno, si diresse velocemente verso la baracca dove io e gli altri membri del comitato di rivolta ci incontravamo segretamente.
«Guardate cosa ho trovato,» sussurrò Leon, con un misto di eccitazione e nervosismo, mentre dispiegava la mappa sul pavimento polveroso della nostra baracca. Era una vista che pochi di noi avevano mai immaginato di vedere: la disposizione completa di Treblinka, con annotazioni dettagliate delle torri di guardia, dei percorsi di pattuglia e delle aree cruciali come l'armeria e il deposito di benzina.
Irina, con un occhio clinico per i dettagli, si chinò sulla mappa, tracciando con il dito le possibili vie di fuga. «Qui, il filo spinato è più vecchio e danneggiato,» indicò, puntando a un segmento nel lato nord-occidentale del campo. «E le luci della torre di guardia qui vicino sono rotte. È il nostro miglior punto di uscita.» Karla aggiunse: «Dobbiamo coordinare diversi gruppi. Uno per creare una distrazione, possibilmente un incendio grande abbastanza da richiamare tutte le guardie. Altri due gruppi si concentreranno su aprire il recinto e coprire la fuga.» Sofiya, incaricata del gruppo di distrazione, annuì. «Usiamo le bombe incendiarie che Pavel sta preparando. Colpiremo l'armeria e il deposito di benzina simultaneamente. Il caos sarà totale, e con un po' di fortuna, avremo abbastanza tempo per scappare.»
Einrich, nonostante non potesse partecipare direttamente, era cruciale per il nostro piano. «Io mi occuperò di ritardare le comunicazioni tra le guardie,» aveva promesso in uno dei nostri incontri segreti. «Saboterò le radio e creerò interferenze. Ogni minuto che possiamo guadagnare è prezioso.» Con la mappa ora in nostro possesso, passammo le notti seguenti a studiare ogni dettaglio, memorizzando i percorsi, le barriere e i tempi necessari per raggiungere ciascun obiettivo. Ogni prigioniero coinvolto nel piano sapeva che le probabilità erano contro di noi, ma l'opportunità di libertà era troppo preziosa per non essere tentata.
Decidemmo che la rivolta avrebbe avuto luogo in una settimana, dando a tutti il tempo di prepararsi e a me di inviare messaggi finali a Einrich, coordinando il nostro attacco con il suo sabotaggio.
«Quando vedrete il segnale di fumo dall'armeria, saprete che è ora,» confermò Irina, il suo viso illuminato dalla determinazione. «Sarà il momento di correre, di lottare, di vivere.»

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