Qualcosa Che Vuoi

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Nessuno avrebbe potuto biasimare Antoinette poiché era talmente nervosa che avrebbe rischiato di vomitare - nessuno, tranne sua madre, ovviamente.
Antoniette si sentiva il respiro caldo di Demetra sulla guancia, ma si concentrò sul non perdere il sorriso.
Un sorriso blando, abiti modesti, ed una lingua muta. Gaia le aveva proibito di fare qualunque cosa che potesse mettere in imbarazzo sua madre.
Demetra riaggiustò la cintura di Antoinette per la diciassettesima volta, e le scostò all'indietro i boccoli
dalla fronte.
«Terrai a mente ciò che ti ho detto?» le domandò.
«Certo.» Antoinette si schiari la voce. «Attenta al vino. E niente promesse.»
«Niente promesse.» le fece eco Demetra.
Si allontanò di un passo dalla figlia e sorrise.
«Adorabile.»
Antoinette aveva fatto del suo meglio per apparire graziosa, ma l'imatio di lana che le avvolgeva le spalle la stava soffocando. Quell'abito stava assolvendo la propria funzione di camuffare le forme di Antoinette - per com'era abbigliata, si sarebbe potuto benissimo dire che stesse andando a far voto di castità quel giorno, anziché partecipare alla sua prima festa dopo quella che sembrava un'eternità.
I cancelli della magione di Zeus incombevano su di loro, scintillanti d'oro nei raggi del sole pomeridiano,
gloriosi come sempre. Un paio di guardie fece loro un cenno del capo, quando entrarono. Non appena varcarono le cancellate, le loro orecchie furono assalite da ondate di musica e di risate. Gli odori fragranti e tiepidi dell'autunno sul monte Olimpo si mescolavano con il dolce aroma del nettare e dell'ambrosia. Una divinità minore gli passò davanti barcollando, fetido di vino.
Il cortile esterno pullulava di ospiti. Sembrava che tutti, sull'Olimpo, fossero stati invitati, incluse le ninfe dei fiumi, delle foreste e dei mari, oltre a qualche mortale. Antoinette mantenne stampato sul volto un sorriso formale, anche quando alcuni dei mortali presenti le passarono troppo vicino, offendendo i suoi sensi col tanfo acre del loro sudore.
Una volta che ebbero raggiunto l'edificio vero e proprio, un servitore annunciò la presenza di entrambe.
«Demetra, dea delle messi, e sua figlia, Antoinette.»
Sua madre fece loro strada attraverso orde di ammiratori verso le viscere del palazzo. Antoinette la seguì, sebbene la sua mente stesse vagabondando altrove. Avrebbe dovuto approfittare di quell'occasione per riallacciare i rapporti con Atena ed Artemide - erano passati anni dall'ultima volta
che erano state tutt'e tre nello stesso posto. Gli altri ospiti, d'altro canto...
«I miei omaggi a voi, in questo fausto giorno.»
Antoinette voltò per ritrovarsi Efesto che la stava guardando, con un sorrisetto obliquo,
deliziosamente timido.
«E a voi,» replicò lei, provando a non far cadere lo sguardo sulla sua gamba. Vi aveva agganciato un qualche marchingegno di metallo, che gli permetteva di camminare quasi come se non avesse subito alcun danno. Il livello di sofisticatezza meccanica sembrava più elevato, rispetto all'ultima volta in cui lei lo aveva visto, ma non fu in grado di stabilire con certezza quali modifiche avesse apportato.
«Una buona giornata a te, Efesto, » lo salutò
Demetra. «Dobbiamo ancora parlare con Zeus.»
Egli annuì.
«Certamente.»
Antoinette si sentì gli occhi del dio addosso, mentre continuò ad avanzare con sua madre, diretta verso la sala del trono di Zeus. Sentì le proprie guance avvampare, cosa di cui non fu particolarmente compiaciuta.
«Mi domando cosa volesse, » commentò.
«Cosa vogliono tutti gli dei?» le chiese Demetra, col suo bel viso deturpato da un broncio. «Vedi di dissuaderlo con convinzione.»
«Sì, Madre, » rispose Antoinette, distratta dalla sinuosa curva degli archi sopra le loro teste.
Le colonne erano abbellite da sculture che raffiguravano ninfe e piccoli animali, e si attorcigliavano su loro stesse, sostenendo al contempo gli altissimi soffitti. Le rievocavano la solenne dignità di una volta silvestre. Non gli ci volle molto prima di raggiungere il trono di Zeus. Il padre di Antoinette, un omone di dimensioni smisurate, col volto ricoperto di una folta barba, torreggiava più imponente della stessa terra. La sua voce rombava con la stessa eco di un tuono, le risate gli risalivano dalla pancia. Sua moglie, Era, non si trovava al suo fianco, solo la sua figlia legittima Ebe, che era in piedi alle sue spalle con le mani congiunte e lo sguardo errante.
Malgrado l'ambiente fosse gremito di ospiti, Antoinette si domandò se a suo padre non capitasse di sentirsi solo.
«Kore!» tuonò Zeus, chiamando ancora Antoinette col suo nome di bambina.
«Lascia che ti dia un'occhiata. Dove l'hai tenuta per tutti questi anni, Demetra?»
La fronte di Demetra si corrugò, ma diede una spintarella a Antoinette su un fianco, facendola avanzare. Antoinette inciampò e mosse qualche passo, poi si prostrò.
«Padre dei Cieli, rinnovo la mia fedeltà a voi e al
vostro governo. La mia spada ed il mio scudo appartengono a voi,» annunciò.
«Antoinette, frutto di Demetra, figlia mia, accetto la tua devozione.»
Zeus la prese per mano, aiutandola a rialzarsi in piedi, poi le diede una pacca sulla schiena, facendola quasi ruzzolare a terra.
«Ed ora mangia. Bevi! Il giorno è giovane, e siamo qui a rallegrarci come una sola famiglia.»
«Sì, Padre.»
Zeus aveva già distolto la sua attenzione da lei, per spostarla sul suo ospite successivo: Poseidone, che non aveva occhi per Zeus, ma per Demetra. Antoinette approfittò volentieri di quell'opportunità per defilarsi, fintanto che i suoi genitori fossero stati distratti.
Aveva cominciato a soffiare una brezza più insistente, quando finalmente raggiunse i giardini all'esterno. Fece correre le mani sulle foglie di un fico ornamentale, ingiallito dalla carenza di sostanze nutritive. Le foglie si vivacizzarono al suo tocco, ma quell'effetto non sarebbe durato a lungo, senza ulteriori cure. Non era riuscita a sfuggire a tutti gli altri invitati, ma sembravano tutti impegnati, radunati in piccoli gruppi, intenti a discutere di fandonie. Antoinette prese una coppa di vino da un inserviente che le sfilò accanto e beve un sorso, percependo il suo calore risalirle lungo le guance. Un po' di vino non le avrebbe fatto male.
Efesto la rinvenne nel giardino. Antoinette lo sentì accostarsi, riconoscendolo dall'insolito trambusto che provocava camminando, poggiando il peso sulla sua gamba zoppa.
«Antoinette, ben ritrovata. Speravo di rincontrarvi.
Ci capita così di rado di vedervi. Ora avete tempo di ricevere le mie attenzioni?» le chiese.
Antoinette sorrise, ma si fermò subito, con le parole della madre che le riecheggiarono nella mente.
«Io... sì, certo. Ma...»
«Gradirei rendervi omaggio, in questa splendida giornata.»
Con un gesto plateale, che sembrava ben rodato, Efesto sfoderò una scatolina da sotto la sua clamide e gliela porse.
«Non avreste dovuto,» replicò lei, ma non vide come avrebbe potuto rifiutarlo senza risultare scostumata.
Sollevò il coperchio della scatolina, che rivelò un uccellino di metallo annidato in un panno.
«Si carica ruotando questa chiavetta,» le spiegò, indicando il meccanismo.
Antoinette se lo poggiò sul palmo e ruotò diverse volte la chiavetta. Con sua delizia, l'uccellino prese a sbattere le ali ed aprì il becco, cinguettando una docile melodia.
«Oh!» sussurrò meravigliata. «Com'è ingegnoso.»
«Vi piace?»
«Sì, ma certo! E bellissimo.»
Le molle che avevano azionato il meccanismo si allentarono, e l'uccellino tornò alla sua statica posizione originaria. Antoinette lo ripose nella scatolina.
«La mia fucina è conosciuta prevalentemente per la forgiatura di armi, ma sono in grado di creare molto più di quello,» le spiegò Efesto. «Ad ogni modo, preferisco fabbricare falci, piuttosto che spade.»
«Avete un vero talento.»
Egli le sorrise, apparentemente incoraggiato dalle sue parole. Il suo viso lo distingueva dagli altri dei e dalle altre dee, tutti esemplari di bellezza.
Aveva mai perdonato ad Era il suo rifiuto?
«Vedo che ci hai trovate di nuovo,» si intromise
Demetra, avvicinandosi a loro. Tolse la coppa di vino dalla mano di Antoinette e ne beve avidamente. Antoinette scoperchiò la scatola, mostrandola a Demetra.
«Guardate, Madre. Non è meraviglioso?»
Demetra emise un suono ambiguo, poi posò la mano sulla spalla di Efesto.
«Adorabile. Posso scambiare due parole con te, mio caro giovanotto?» gli chiese, afferrandolo per un braccio prima che egli potesse protestare. Efesto lanciò un'occhiata allarmata ad Antoinette, prima di essere trascinato via da Demetra.
Antoinette ne approfittò per rientrare nel palazzo.
All'interno si era formato un grosso cerchio di giovani ballerini, con la fronte madida di sudore e le braccia intrecciate. Antoinette li costeggiò ed afferrò un calice di ambrosia, scolandolo prima che sua madre le togliesse anche quello.
Riconobbe il profumo di Afrodite prima ancora di vederla... resina e cannella, speziato e dolce.
Afrodite le si avvicinò con passo disinvolto, voltandosi in direzione dei ballerini.
«Superbi, non trovi? Tutti quei corpi meravigliosi in bella mostra.»
Afrodite sospirò. Le sue lunghe ciglia incorniciavano alla perfezione i suoi occhi, sul suo viso ora imbronciato.
«Salute anche a voi,» disse Antoinette.
Afrodite distolse lo sguardo dai giovani che stavano danzando per poggiarlo su Antoinette.
«Non mi aspettavo di vederti. Sarà passato un eone?»
Antoinette scrollò le spalle e si sforzò di sorridere.
«Non proprio, ma sono felice di essere venuta.» «Mmm. Hai freddo? Non puoi avere freddo, qui.»
Afrodite si allungò verso di lei e le slacciò l'imatio, prima di lanciarlo da un lato. Poi risistemò lo scollo del chitone di Antoinette, abbassandolo, per rivelare più di un accenno del suo décolleté. I polpastrelli di Afrodite le solleticarono la pelle. Antoinette si scostò, accaldata in viso.
«Sto bene.»
Si risistemò la scollatura nella posizione più opportuna. Lo scrutinio di Afrodite vagò dai boccoli castani acconciati sulla testa di Antoinette alle sue braccia baciate dal sole.
«Sì, puoi andare,» sancì.
«Troverai l'amore stasera, ne sono sicura.»
«Non lo sto cercando.»
Afrodite sgranò gli occhi e si sporse in avanti, prendendo Antoinette in disparte.
«Tutti sono alla ricerca dell'amore. Quindi, dimmi chi sarà. Apollo? Ares? No, troppo testardo per te. Lo so io, che ne dici di...»
«Mi unirò al più presto ad Atena e farò voto di castità.»
Antoinette fece per riprendere il suo imatio, ma
Afrodite le scacciò via la mano.
«Fidati di me, non hai bisogno di quello. Non dirmi che Demetra si arrabbierà. Non è nemmeno qui!»
Già. Sua madre non era lì. Antoinette si guardò attorno per la stanza, ma non riuscì a vedere altro che i ballerini ed i loro ammiratori. Di sua madre non c'era traccia. Inspirò, inebriata dal profumo di Afrodite, o forse per aver bevuto più di quanto fosse saggio, considerando che era a stomaco vuoto. Poggiò il dono di Efesto su un tavolino accanto, per paura di farlo accidentalmente cadere.
«Vieni, » la esortò Afrodite, afferrandola per un polso. «Balla con me.»
«Non conosco i passi,» si scusò Antoinette, provando a divincolarsi, ma la presa di Afrodite era stretta quanto il suo bustino. I ballerini erano nel bel mezzo di una canzone, un gruppo misto di dèi e dee.
Il cerchio si schiuse per far posto ad Afrodite ed alla sua preda riluttante.
Antoinette si ritrovò a guardare i piedi dei ballerini di fronte a sé per mimarne i movimenti. Sembrava che conoscessero tutti i passi a memoria, mentre lei fu la sola ad arrancare per tutto il resto del brano, facendo del suo meglio per stare al passo, senza pestare al contempo i piedi di nessuno. Il tempo scorse via. A furia di ripetere e ripetere gli stessi passi, Antoinette imparò quella danza abbastanza da sentirsela di staccare gli occhi dal pavimento. Non le sfuggi che la maggior parte dei ballerini e degli spettatori non avevano occhi che per Afrodite - per i suoi boccoli d'oro e le sue lunghe gambe, e per la scioltezza con cui le rimbalzava il petto. Antoinette si sentì avvampare in viso quando Afrodite si voltò verso di lei e le sorrise.
«Questo spiega molte cose,» mormorò Afrodite, facendole correre lo sguardo da capo a piedi. Ed il suo sorriso si fece più perverso.
«Non so a cosa voi vi riferiate.»
Antoinette strappò la mano dalla presa di Afrodite e ruppe i ranghi con gli altri ballerini. Il cerchio si richiuse dietro di lei, che corse a rifugiarsi in un corridoio laterale.
Il trambusto della musica e dei festeggiamenti svanì in lontananza, man mano che Antoinette si allontanò dal salone principale, lungo un vasto corridoio in cui riecheggiava lo scalpiccio dei suoi passi. Il modo in cui Afrodite l'aveva osservata... come se fosse riuscita a guardarle direttamente nel cuore. Riusciva ancora a sentirsi le dita di Afrodite sul polso.
Vagò senza meta, svoltando a destra e a manca, finché il suo cuore non rallentò e riprese a battere ad un ritmo più regolare. Si ritrovò su un camminamento che sormontava uno dei giardini, rialzato di un piano. Si appoggiò ad una colonna e si coprì il volto con entrambe le mani.
Ora che lo aveva capito Afrodite, sarebbero venuti a saperlo tutti. E l'avrebbe scoperto anche Demetra.
Antoinette non aveva in progetto di intavolare quella conversazione con la madre a breve.. probabilmente, non l'avrebbe fatto mai. Non era un delitto, ovviamente, ma Demetra aveva tracciato l'arco della vita di Antoinette con una tale dovizia di particolari che sicuramente non avrebbe fatto salti di gioia per quella rivelazione.
Quando Antoinette udì alcune voci che si facevano
più vicine, si pietrificò, terrorizzata all'idea che, in qualche modo, i suoi pensieri avessero evocato la presenza di sua madre.
Le voci provenivano dal piano inferiore. Antoinette premette la schiena contro la colonna per nascondersi, e racimolò le gonne in una mano, altrimenti il vento avrebbe rivelato la sua presenza.
«Devi esaminare la mia questione nel merito. La vita di Semele è stata smodatamente breve, a causa dell'intervento della mia adorata consorte. Merita una seconda opportunità,» dichiarò la voce tonante di un uomo, che Antoinette riconobbe con sollievo che apparteneva a suo padre.
«Forse dovresti rivolgere questa richiesta alle
Parche,» replicò una voce femminile più pacata.
Le suonava familiare, ma Antoinette non fu in grado di identificare con esattezza di chi fosse.
«Bah! Non vantano alcun diritto su di lei oramai.»
Antoinette si rannicchiò e sbirciò attraverso la ringhiera. Suo padre era in piedi nel cortile sottostante, e stava parlando con una dea che era di spalle ad Antoinette. Aveva dei boccoli arancioni raccolti in trecce, ed indossava un lungo abito frusciante, nero come la notte, tenuto fermo da una cintura fatta di maglie dorate.
Una fanciulla virtuosa si sarebbe voltata e si sarebbe immediatamente allontanata, per evitare di origliare quella che era chiaramente una conversazione
privata. Demetra si sarebbe aspettata quello da lei.
Antoinette non si mosse.
«Prendo atto della tua angustia,» disse la dea.
«E?»
«Le vite terminano in ogni momento di ogni singolo giorno. Alcune sono lunghe, altre brevi. Non posso fare eccezioni solo perché tu hai deciso di rendere questa donna un vaso per il tuo seme.»
Antoinette si portò entrambe le mani alla bocca per soffocare un sussulto. Se ne sarebbe dovuta andare non appena avevano messo piede in giardino. Quella non era una conversazione pensata per le sue orecchie. Non le importava di scontentare chiunque avesse l'ardire di parlare con tanta imprudenza al grande Zeus.
«Ci dev'essere qualcosa che desideri,» tentò Zeus.
La dea rimase a lungo in silenzio. Quando lo ruppe, Antoinette dovette tendere l'orecchio per riuscire a sentirla.
«Cosa potrei mai desiderare? Nessun dio eguaglia le mie ricchezze. Nemmeno tu.»
«Forse questo è stato un errore.»
Antoinette riuscì a sentire il sorriso nella voce della dea.
«Ah, beh. Ma il grande dio dei cieli non potrebbe mai commettere degli errori, giusto?»
«Ne ridiscuteremo più tardi,» sbottò Zeus, e se ne andò in fretta e furia. Il tessuto del suo abito gli
svolazzò alle spalle per la rapidità dei suoi passi.
Antoinette si guardò attorno, interrogandosi su come fare un'uscita discreta. Se fosse apparsa all'improvviso e avesse fatto a ritroso il suo percorso totalmente esposta al giardino, sarebbe stato lampante che aveva origliato. Se solo...
La dea si voltò e puntò lo sguardo dritto nel punto in cui Antoinette si stava nascondendo. Antoinette capì solo ora come mai quella dea si fosse consentita di rivolgersi in modo tanto irrispettoso a Zeus, incurante di offenderlo. Perfino gli dei avevano timore del suo reame e dei segreti in esso contenuti.
«Tanto vale che tu scenda giù,» affermò.
La faccia di Antoinette prese fuoco. Avrebbe voluto che il pavimento la inghiottisse, che la terra la reclamasse come una sua proprietà, occultando la sua vergogna. Ma i suoi piedi non trovarono altro che solida pietra, mentre arrancava lungo la scalinata che conduceva al cortile inferiore.
«Ebbene?» pronunciò ancora. «Cos'hai da dire a tua discolpa, Kore?»
Era una donna alta, pallida, come se non avesse mai visto il sole e il suo naso sembrava scolpito nel marmo. Era passato molto tempo - decadi, probabilmente - dal loro ultimo incontro. Antoinette si accovacciò, poggiando il peso su un ginocchio, e tenne lo sguardo puntato sul pavimento.
«Perdonatemi, Regina Cheryl. Origliare è stato un errore da parte mia.»
«Eppure lo hai fatto lo stesso,» ribatté «Demetra non ti ha insegnato le buone maniere?»
Antoinette arrischiò una sbirciata. L'espressione di Cheryl era illeggibile, immobile come una statua.
«Certo che l'ha fatto. La colpa è mia, e mia soltanto.»
Cheryl rimase ad esaminarla in silenzio. Dopo un momento, fece un cenno brusco della mano.
«Lascia che ti dia un avvertimento: se vuoi disattendere le convenzioni, faresti meglio ad evitare di farti cogliere in flagrante.»
Antoinette si alzò in piedi, reprimendo l'impulso di spolverarsi il chitone.
«Non glielo direte, giusto?»
«Questo è tutto da vedere.» Cheryl puntò col mento il cortile adiacente. «Vieni a fare due passi con me.»
Antoinette non poteva disobbedire ad un ordine diretto, non importava cosa avesse detto Demetra in proposito. Si affrettò per stare al passo con le lunghe
falcate di Cheryl.
«Siete stata in salute?» le chiese. «Ho sentito dire che, per un po' di tempo, siete sparita dalla circolazione.»
«Sono stata abbastanza bene. E tu, Kore. Ti stai tenendo al sicuro?» le domandò Cheryl.
Antoinette arrossì, domandandosi di cosa, secondo
Cheryl, dovesse aver timore.
«Sì, grazie.»
Chery1 le condusse lungo diverse rampe di scale, fino ad un ampio balcone sul retro del palazzo, che affacciava sull'oceano. C'era una sola via d'accesso a quel balcone, il medesimo percorso che si attorcigliava in una spirale ben visibile sotto di loro.
Se qualcuno avesse imboccato quella scala, sarebbe stato visto molto prima di arrivare in cima. I sentieri erano riccamente decorati di piante, ricoperti di edera che si snodava attorno alla ringhiera, e sui gradini.
Cheryl si appoggiò alla balaustra e chiuse gli occhi. La brezza le smuoveva i capelli, e le faceva svolazzare le gonne. Il sole brillava sulle onde dell'oceano. Alcuni gabbiani danzavano nei pressi della costa, piccole macchioline di bianco che si lanciavano in picchiata sul pelo dell'acqua per catturare la loro preda. Era uno scenario incantevole, ma quello non bastava a spiegare l'espressione assorta di Cheryl. Il silenzio si protese, mentre Chery] continuò deliberatamente ad ignorarla, apparentemente dimentica dell'esistenza di Antoinette, considerando quanta attenzione le stesse prestando. Antoinette non avrebbe potuto andarsene, senza un congedo esplicito, così restò ad aspettare, intrappolata in un limbo amorfo, in cui cominciò a mettere in dubbio la sua stessa memoria e a chiedersi se, in effetti, Cheryl avesse mai richiesto la sua presenza.
Il silenzio si allungò anche troppo. Forse fu la frustrazione provata da Antoinette per il fatto di essere ignorata ad infonderle il coraggio, poiché non avrebbe mai potuto imputare all'ambrosia le parole che le uscirono di bocca subito dopo.
«Posso... posso farvi una domanda?» chiese, incespicando appena nelle parole.
Cheryl ruotò la testa, come se la stesse vedendo per la prima volta.
«Chiedi pure.»
«Le piante crescono negli Inferi?»
Cheryl la scrutò come se fosse una svitata.
«Sì. Tutto qui?»
Antoinette arrossì.
«Quello che volevo dire era... ne germogliano di reali? O sono solo le anime delle piante che assumono una forma diversa? Nel senso, le piante hanno un'anima? Ho sempre pensato che gli alberi l'avessero, ovviamente, ma le piante con un ciclo annuale...»
Cheryl tagliò corto.
«Preferirei non parlare di questioni legate allo svolgimento delle mie funzioni.»
«Ma quando Zeus...»
Antoinette si morse il labbro, scandalizzata dalla propria svista. Era ovvio che Zeus potesse rivolgere a Cheryl qualunque domanda ritenesse opportuna: lei non avrebbe mai osato paragonarsi a suo padre, ponendosi alla sua stregua. Peccato che l'avesse appena fatto.
«È questo il motivo per cui non si origliano le conversazioni degli adulti,» ribatté Cheryl, con gli occhi stretti in due fessure.
Una scusa affiorò rapida sulle labbra di Antoinette, ma le parole da sole le sembravano inadeguate.
Inconsciamente, fece un passo indietro, sfiorando con la mano la ringhiera ricoperta di edera.
Germogliò un nuovo tralcio dalla pianta, che le si arrampicò attorno al braccio, come se stesse provando a darle conforto. Lo sguardo di Cheryl cadde sull'edera. Allungò una mano e ne accarezzò le foglie, poi attraversò la distanza fra di loro. Antoinette rimase inchiodata sul posto, mentre l'edera le si avviluppò attorno al braccio nudo e lungo la schiena, seguita a stretto giro dalle dita di Cheryl, che le lambirono la pelle.
La mano di Cheryl rimase poggiata sulla spalla di Antoinette, un peso caldo e gravoso. Ad Antoinette rimase il respiro bloccato in gola.
«Affascinante,» commentò Cheryl.
Non stava più guardando la pianta. Il suo sguardo ora era puntato su Antoinette. Le sue pupille erano dilatate, malgrado la tiepida luce pomeridiana.
Erano talmente vicine che Antoinette avrebbe potuto baciarla, se avesse voluto. Non che lo volesse, tuttavia. La mano di Cheryl si spostò lungo la sua clavicola. Posò le dita attorno al collo di Antoinette, sfiorandole l'incavo della gola col pollice.
Cheryl aveva un profumo floreale, ed erboso... gardenia? No. Asfodelo.
Il battito cardiaco di Antoinette assunse un ritmo dissennato, mentre lei rimase immobile, come una preda inchiodata sotto lo sguardo del suo predatore. Si arrovellava per capire cosa fare o dire affinché Cheryl le togliesse la mano di dosso.
«Antoinette! Ti ho cercata dappertutto!»
La voce di Demetra. Cheryl non la lasciò, non immediatamente. La sua bocca si incurvò in un leggero sorriso e, per un istante, le sue dita si strinsero attorno al collo di Antoinette, mozzandole il respiro. L'edera si avvinghiò attorno al polso di Cheryl, congiungendo temporaneamente le due donne. I passi di Demetra.
Cheryl mollò la presa e fece un passo indietro, strappandosi l'edera dal polso. Antoinette trasali e si portò una mano alla gola, tenendo l'altra ancorata alla ringhiera, mentre la pianta continuava ad arrotolarsi verso di lei. I sandali di Demetra schiaffeggiarono i gradini di pietra, mentre la donna arrivò in cima alla scala che portava in balcone, tenendo sollevato l'orlo del chitone con una mano perché non si sporcasse di terra.
Aveva visto... cosa doveva pensare sua madre?
Forse era stata troppo distante. Antoinette poteva solo sperare. Lei stessa non sapeva cosa pensare. Avrebbe quasi voluto trovare il coraggio di chiedere ad Afrodite se lei pensasse che... ma no. Antoinette non avrebbe mai potuto farsi aiutare da nessuno per decifrare il sorriso di Cheryl. Glielo aveva sfoggiato soltanto per spaventarla? Ci era riuscita.
«Mia cara Cheryl!» Demetra si lanciò sulla dea, poggiandole una mano sulla guancia. «Come sei pallida! Come te la passi? Hai un aspetto così severo che potresti essere abbigliata per un funerale!»
«Preferirei un funerale,» ammise Cheryl, scostandosi dal tocco di Demetra. «Tu no?»
Demetra ridacchiò.
«Mi ero dimenticata di quanto tu sia spassosa. Ti vedremo un po' più spesso quest'anno?»
«Non penso.»
«E perché mai?» Demetra mise il broncio.
Cheryl puntò lo sguardo in alto, verso l'oceano.
«Le solite ragioni.»
Demetra sfoderò un sorriso affettato.
«Ma per quale motivo? Sono tutte sciocchezze. Non
capisco proprio come tu riesca a sopportare di restare intrappolata in quel posto orrendo, anno dopo anno! Riesci ad immaginartelo?»
Rivolse quell'ultima domanda ad Antoinette.
«No,» rispose Antoinette, districandosi delicatamente dai tralci, fornendo quella che supponeva fosse la risposta desiderata dalla madre.
Demetra si cinse il busto con entrambe le braccia e rabbrividi in modo teatrale.
«È semplicemente terrificante!»
Cheryl non ribatté nulla. Incrociò fugacemente lo sguardo di Antoinette.
Era divertita? Seccata?
Antoinette non riusciva a leggerla abbastanza bene da poterlo dire. Demetra sospirò.
«Ognuno ha i propri fardelli da portare.»
Prese Antoinette per un braccio, con un sorriso scintillante talmente tirato da tagliarle la faccia in due.
«A tal proposito, devo riportare questa a casa.»
«Certo.» Cheryl inclinò la testa da un lato.
«Mi ha fatto piacere rivederti, Demetra. Antoinette,» aggiunse, scandendo per bene ogni sillaba del suo nome. Il suo nome non avrebbe dovuto suonare tanto indecente in bocca a Cheryl, eppure Antoinette fu ugualmente scossa da un brivido. Biascicò i suoi saluti, senza staccare gli occhi da terra. Demetra la strattonò appena per il braccio, e subito dopo se ne andarono.
«Dobbiamo andar via così presto?» chiese
Antoinette, una volta che furono in fondo alla scalinata.
«Non è così presto,» le fece notare Demetra. «Si è quasi fatto buio. E ora che tu vada a letto.»
Antoinette alzò lo sguardo verso il cielo. Il sole non era del tutto tramontato, e c'era ancora parecchia luce.
«Dobbiamo trovare mio Padre,» rifletté. Di sicuro ci avrebbero messo un po' a scovarlo. «Per porgergli i nostri saluti.»
«Ho già salutato Zeus da parte di entrambe,» ribatté
Demetra. Antoinette sbatte le palpebre.
«Mi farebbe piacere rivederlo.»
Demetra non rallentò il passo, mentre percorsero i corridoi del palazzo di Zeus, facendosi strada fra gruppetti di ospiti alticci.
«Cos'era quello? Parla, ragazzina.»
Antoinette si morse il labbro.
«Non era nulla.»
Si avvicinarono alla zona con gli alloggi privati di Zeus, dove egli viveva assieme alla sua famiglia più prossima. Antoinette guardò all'insù e scorse
Afrodite che stava scendendo da una scalinata e si stava al contempo risistemando una fibula, per assicurare il proprio chitone su una spalla. Non si abbinava alla spilla che portava sulla spalla destra.
In effetti, Antoinette avrebbe potuto giurare di aver visto qualcosa con un disegno affine come ornamento dell'abbigliamento di Era. Afrodite le strizzò l'occhiolino. La morsa di Demetra si rinsaldò sul braccio di Antoinette e, una volta che furono a distanza di sicurezza, commentò con scherno: «Sgualdrina.»
«È soltanto il suo ruolo, Madre,» la difese
Antoinette, incoraggiata dal brusio che le circondava e dalle risate che trillavano nell'aria della sera. Demetra non la degnò di una risposta.
All'esterno, un inserviente le stava aspettando con una carrozza e dei cavalli. Antoinette avrebbe di gran lunga preferito camminare, a piedi nudi, per percepire il mormorio della terra sotto le piante dei suoi piedi. Ma non si curò di fare una proposta del genere a sua madre. Camminare sarebbe parso da plebei. Demetra attese finché non furono ben lungi dall'ombra della dimora di Zeus prima di aprire di nuovo bocca.
«Che voleva da te?»
«Chi?» chiese Antoinette, per guadagnare tempo.
Sua madre le lanciò un'occhiata tagliente.
«Cheryl ed io non abbiamo parlato di nulla di rilevante,» chiarì Antoinette. «Di piante,» aggiunse.
Si trattenne dall'impulso di strofinarsi la gola.
«Non starla ad importunare con le tue futili quisquilie in futuro,» la ammoni Demetra.
«Non sai che erano almeno settanta estati che non la si vedeva in superficie? Deve avere delle faccende molto più pressanti da sbrigare. Cosa mai potrebbe avere da dire una stolta ragazzina come te alla regina degli Inferi?»
Antoinette si morse la lingua. Non era stata lei a chiedere di restare bloccata con Cheryl: anzi, lei non aveva alcuna - alcuna! - intenzione di fare conversazione con lei, ammesso che la loro interazione avesse potuto essere definita una conversazione.
Aveva sprecato quella giornata, e adesso solo Gaia sapeva quando avrebbe trovato un'altra occasione di parlare con Atena o con Artemide.
«E che mi dici del nostro intendimento?» la incalzò
Demetra.
«Sono stata ligia. Ho bevuto a stento un goccio,»
ribatté Antoinette.
Demetra la odorò.
«E dell'altro?»
«Nessuna promessa.»
Se n'erano andate talmente presto... cosa mai poteva pensare che avesse fatto in quel poco tempo che aveva avuto a disposizione?
«Anche un sorriso gentile equivale ad un invito, per alcuni,» precisò Demetra. «E che ne è stato del tuo imatio?»
Antoinette si passò una mano sulla spalla nuda,
fremendo al ricordo del sorriso eloquente di
Afrodite.
«Io... ho ballato un po'. Dev'essermi caduto. Mi dispiace.»
Aveva anche lasciato lì il regalo di Efesto. Esitò, apri la bocca, ma si fermò prima di commettere il peccato di chiedere a sua madre di tornare indietro a riprenderlo. Demetra alzò gli occhi al cielo, ma rimase in silenzio per il resto del viaggio in carrozza fino a casa. Una volta che il cocchiere le ebbe lasciate sul retro della casa e se ne fu andato, si voltò verso Antoinette.
«Non le darai più noia, vero cara?»
«Cheryl?» chiese Antoinette.
Demetra si arrotolò una ciocca di capelli attorno al dito.
«È solo che detesterei che lei si risentisse per i tuoi vaneggiamenti. Sa essere vendicativa, sai?»
Quel monito non era affatto necessario. Antoinette si poggiò i polpastrelli sulla gola, mentre l'eco delle parole che si erano scambiate le si replicò ad oltranza nella mente.
Demetra non ti ha insegnato le buone maniere?
«Non le darò fastidio,» la rassicurò.
Era una promessa semplice da mantenere. Demetra sorrise e le cinse le spalle con un braccio.
«Vieni, l'ora è tarda.»
Antoinette seguì ubbidientemente sua madre su per i
gradini che conducevano in casa. Per quanto non riuscisse affatto a dimenticare il suo breve incontro con la regina degli Inferi, lei e sua madre non parlarono più di Cheryl quella sera, né nelle sere a venire.

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Spazio scrittrice

Sono felice che tu sia arrivat* fino a qui, (è letteralmente solo l'inizio ahaha), però spero che questo primo capitolo ti abbia incuriosit* così da andare avanti a leggere la storia.
A proposito di capitoli, cercherò di pubblicarne come minimo due o tre a settimana.

E nulla, buona lettura a chi continua.

Prigioniera Degli Inferi - ChoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora