Visto Che Sei Mia Moglie

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Antoinette non aveva poi chissà che da prendere, in tutta onestà. Andò a visitare il suo boschetto, sfiorando il tronco di ogni albero, man mano che vi passava accanto. Le faceva strano pensare che quella avrebbe potuto essere l'ultima volta che avrebbe percorso quel sentiero, che avrebbe avvertito quel mormorio inquieto nell'aria, quel ronzio nelle sue orecchie dovuto ai canti di tutte le piante fantasma attorno a lei. In superficie non aveva mai percepito nulla di così intenso, non quando aveva dovuto spartire alcuni dei suoi doveri con Demetra e con tutti gli altri dèi e dee minori della terra.
Quando arrivò in fondo alla piantagione, si voltò e staccò un solo frutto dall'albero più vicino. Lo portò al palazzo con sé e lo mise via, assieme ai suoi altri effetti.
Piegò ed impilò alcuni vestiti, poi vi piazzò sopra la sua tavoletta di cera ed il suo stilo, qualche crema per il corpo, degli strumenti per la toletta e la melagrana che aveva recuperato dal boschetto. Avvolse tutte le sue cose in un fagotto ordinato, che fissò in cima con una cintura, prima di posizionarlo accanto al letto, e a quel punto cominciò a guardarsi attorno.
C'erano diverse cose che le sarebbero mancate. E sarebbe stata per sempre grata a Cheryl per averla introdotta al mondo della scrittura, come per averle riconosciuto un fazzoletto di terra tutto per sé ed il diritto di emettere dei giudizi. Aveva imparato più nell'ultimo anno che in tutto il secolo precedente soprasuolo.
Ma ora sarebbe tornata a casa.
Bussò alla porta che collegava le camere di Cheryl con le proprie.
«Cheryl? Siete qui dentro?»
Non udendo risposta, aprì la porta ed entrò. Sentiva la stanza vuota. C'era una clamide buttata sul pavimento, che spezzava l'ordine quasi sterile della
camera. Antoinette la raccolse da terra e se la avvicinò al viso, inalando il profumo di asfodelo. Se la avvolse attorno alle spalle e la allacciò.
Ora aveva imparato a leggere le etichette sui rotoli. Erano divisi per autore e per epoca: poesie, opere teatrali, testi di medicina, biografie di grandi generali e di figure di spicco dell'umanità.
Diede a tutti una rapida sbirciata, ben sapendo che non avrebbe dovuto curiosare, specialmente quando abbassò lo sguardo sullo scaffale più in basso e scovò qualcosa di più interessante.
Si accovacciò e selezionò un rotolo. Era in mezzo a tanti altri, discreto ma, quando lo srotolò, le si fermò il respiro.
Lo lesse due volte. C'erano due firme in fondo: quella di Zeus e quella di Cheryl. Riconobbe immediatamente la calligrafia di Cheryl, tante volte l'aveva veduta ultimamente: l'inclinazione decisa, gli spazi regolari.
Era il suo contratto di matrimonio. La data risaliva più o meno ad un secolo prima, non molto dopo quella fatidica festa al palazzo di Cheryl. Nonostante fosse datato, il papiro non mostrava segni di fragilità: forse una delle fattucchiere di Cheryl l'aveva incantato.
Nel lasso di tempo fra la stipulazione del contratto e la discesa di Antoinette nell'oltretomba, Cheryl non aveva mai messo piede sul suo uscio – a parte l'invio degli asfodeli.
Perché? Perché aspettare così tanto per reclamare qualcosa che – agli occhi degli dèi – era suo di diritto?
Antoinette notò che non era stata fatta alcuna menzione di Demetra nell'accordo, il che non la sorprese più di tanto. Sua madre doveva essere stata tenuta all'oscuro di tutta quella faccenda: non c'era da stupirsi che avesse messo in atto quella ritorsione contro Zeus e Cheryl, usando l'unico potere che le restava.
Rilesse il documento per l'ennesima volta. Ai sensi del contratto, Antoinette era considerata alla stregua di un oggetto – e parecchio caro, in fin dei conti. Mentre Antoinette non portava nulla in dote, il suo prezzo nuziale era talmente elevato che avrebbe potuto mandare dei re in rovina. Metalli e pietre preziose di provenienza terrestre, balle di lana, capi di bestiame e molto altro ancora. Quello era un segno evidente di quanto Cheryl fosse invisa a Zeus, e non aveva nulla a che vedere col reale valore di Antoinette. Zeus non avrebbe preteso una sola dracma da Efesto, se fosse stato lui a chiedergli la sua mano.
Al di sotto della lista di tutti i beni materiali c'era scritto su un'unica riga: Semele, figlia di Cadmo ed Armonia, riportata al suo naturale ciclo vitale.
Semele. Quel nome non le suonava nuovo.
Sembrava passato tanto di quel tempo ormai... ma non era stato proprio quello il nome dell'amante di Zeus, la donna che egli aveva provato a farsi rendere da Cheryl, quando Antoinette aveva accidentalmente origliato la loro conversazione?
Antoinette riarrotolò il foglio di papiro con le dita intorpidite e lo rimise a posto. Provò a convincersi che quello non cambiasse nulla. Non importava cosa avessero deciso Zeus e Cheryl senza il suo consenso: lei sarebbe tornata lo stesso a casa.
Si riaggiustò la clamide sulle spalle e lasciò le stanze di Cheryl. I corridoi del palazzo sembravano inquietantemente silenziosi. Molti inservienti erano stati riassegnati a diverse mansioni, ora che c'era bisogno di rinforzi per processare il flusso in continuo aumento dei defunti arrivati da poco. Le poche persone che incrociò sembravano tutte trafelate ed esauste, impazienti di sparire dalla sua visuale.
Antoinette passeggiò per la biblioteca senza fare rumore, a piedi scalzi, sui tappeti. Le sarebbe mancato anche quel posto... l'odore del papiro e dell'inchiostro di carbone, le vesciche che le venivano alla mano per colpa del suo pennino, dopo che passava troppo tempo a studiare... Ed avrebbe sentito la mancanza perfino di Stéfano, e della sua cinica indifferenza allo status di lei.
Si fermò fuori dallo studio di Cheryl e bussò.
«Non ora,» bofonchiò la voce di Cheryl, ovattata.
Antoinette aprì la porta. «Non ho appena detto... oh.»
Lo studio era una baraonda, rispetto alle usanze di Cheryl. Era seduta dietro una scrivania traboccante di rotoli, ed aveva l'indice della mano destra sporco di inchiostro.
Cheryl si passò una mano fra i capelli: erano sciolti, e le rotolavano giù, fino in fondo alla schiena, in un tripudio di boccoli. Aveva un aspetto selvaggio, come una di quelle barbare divinità dell'Anatolia. Era un tale stacco rispetto al suo contegno solitamente così freddo e composto che Antoinette non seppe come reagire.
«Chiudi la porta,» le ingiunse Cheryl, con la voce roca.
Antoinette obbedì. Il cigolio sommesso della porta nel proprio telaio parve fare lo stesso troppo rumore. «Cheryl, stavate... stavate piangendo?»
Cheryl scostò la sedia e si alzò in piedi. Si diresse verso un tavolino accanto ad un gruppo di klìnai e si versò una coppa di vino, che buttò giù tutto d'un
sorso.
«Non piango dal giorno in cui Zeus e Poseidone mi hanno imposto di regnare su questo posto,» dichiarò, con la coppa vuota ancora fra le mani e gli occhi puntati sulla caraffa del vino, come se ne volesse ancora. «Mostrare debolezza davanti agli dèi equivale a soffrire un fato peggiore della morte.»
«Io non sono una dea.»
«Ah, beh.» Cheryl rivolse a Antoinette due occhi cerchiati di rosso, ma asciutti. «Allora posso anche versare una lacrima per te.»
«Questa malinconia non vi si addice.»
Cheryl sventolò una mano in aria.
«Le mie scuse, moglie,» replicò sarcastica. «Dovrei scoprirmi il seno e mettermi a pregare Gaia, perché mi liberi dai miei mali? O dovrei metter su un sorriso e, a porte chiuse, punire quelli che mi sono rimasti accanto per aver commesso il crimine di seguire una dea troppo debole per farsi valere?»
«Voi non siete debole.»
«Non è quello che ho sentito dire.»
Cheryl si versò un'altra coppa di vino e la trangugiò, stavolta più lentamente. Antoinette le sfilò il bicchiere dalla mano.
«Basta così.»
Cheryl la guardò in cagnesco.
«Hai avuto quello che volevi. Perché sei qui?»
Antoinette posò coppa e brocca su una credenza, fuori dalla portata di Cheryl.
«Sono venuta per salutarti,» le disse, con una nuova confidenza.
«Bene. Salute a te.» Cheryl tornò alla propria scrivania e si rimise seduta, prima di prendere in mano la sua penna di giunco. «Ora esci. Ho del lavoro da fare.»
Antoinette non si sarebbe fatta congedare così facilmente.
«Ho visto il mio contratto di matrimonio. Quello che hai stipulato con Zeus.»
«E allora?» Cheryl cominciò a scrivere qualche parola, con la punta del suo pennino che stridette sul foglio, prima di rialzare lo sguardo. «Che c'è?»
Antoinette non era più la ragazzina in soggezione davanti alla reputazione di Cheryl, quella che si sarebbe lasciata spaventare da un tono di voce alzato per la rabbia. Si rifiutava di essere ancora quella ragazza.
«Hai dato l'amante di Zeus in cambio per me.»
«Fra le altre cose.»
«Tu non permetti che i morti lascino gli Inferi.»Cheryl sospirò.
«Solitamente.»
«Non li fai mai andare via.»
«Evidentemente non risponde al vero,» sbottò Cheryl. «Ne hai visto tu stessa la prova contraria.»
Antoinette si sentì rosa dall'enormità di quella decisione.
«Perché?»
«Perché esistono la luna e le stelle?» domandò Cheryl con un tono secco, prima di ripuntare uno sguardo nostalgico sulla caraffa del vino.
«Hai infranto il tuo giuramento... per me?»
Cheryl ripulì il suo pennino di giunco.
«Non avevo mai giurato a Zeus che non avrebbe mai e poi mai potuto riaverla: ho solo detto che non era una questione che valeva il mio tempo.»
«Ma allora...»
«Dopo quel giorno, non sono più riuscita a toglierti dalla mia testa.» Appallottolò il suo foglio di papiro, sciupandolo tutto. «L'eco del battito del tuo cuore mi tormentava.»
«Hai firmato il contratto più di un secolo fa,» rifletté Antoinette.
«E, se fossi stata preveggente, non mi sarei presa il disturbo, ed avrei risparmiato a tutti noi un mondo di dolore.»
«Perché hai aspettato così a lungo?»
«Non ha importanza.»
«Ce l'ha per me.»
Cheryl lanciò le mani in aria.
«Non ero sicura delle mie intenzioni. Condannare un'altra anima a questa vita... dovevo essere sicura.»
«Cosa ti ha dato la sicurezza?»
«La fortuna. Tu eri lì, così vicina ai miei domini e, per una volta, senza la protezione di tua madre... è stato il fato. Non ho potuto ignorare lo zampino delle Moire.»
«Non è per quello,» ribatté Antoinette, mordendosi il labbro per la frustrazione.
«Si può sapere che vuoi? Vuoi un'elegia piena di fiori e di incanto, pronunciata alla maniera di Erato?»
«Io voglio la verità. Almeno questo me lo devi.»
Cheryl congiunse le mani e si premette le nocche contro le labbra. Per un po' non disse nulla, ma Antoinette rimase in attesa, non volendo essere la prima a rompere il silenzio.
«Tu hai sempre avuto... una luce in te,» cominciò lentamente Cheryl. «Man mano che sono maturati i tuoi poteri, quella luce è diventata più forte. Mi ha chiamata a sé quel giorno che ti ho vista.»
«Il giorno che hai respinto la richiesta di Zeus.»
Cheryl annuì.
«E come altro potrei chiamarlo se non fato? Non c'è morte senza vita, né vita senza morte. Esiste qualcosa in ognuno di noi che brama l'altro. Lo hai provato anche tu.»
Antoinette aveva etichettato la propria attrazione per Cheryl come una forma di malata ossessione. La sua personale debolezza.
«Io non so cosa ho provato.»
«Io mi sento...» Cheryl fece una pausa. «Tu mi disarmi. Brucio tutti i giorni nel Tartaro per il tuo odio, quando non desidererei altro che averti, tenerti con me e non permettere mai più a nessuno di metterti una mano addosso.» Si appoggiò allo schienale della propria sedia, con lo sguardo vibrante di desiderio. «Tu mi hai rubato il cuore, che ora batte, fragile, e lacrima nel tuo pugno. Dovrei detestarti per questo.»
«Io non ti odio,» sussurrò Antoinette. «Forse un tempo, ma non più. Da molto ormai.»
L'aria sembrava troppo pesante, troppo gravida di possibilità.
Lei teneva in pugno il cuore di Cheryl?
E quale significato poteva avere ciò per loro?
«Ci rivedremo?» le chiese.
Cheryl appoggiò i palmi sul tavolo. Si era accidentalmente messa le mani sporche di inchiostro in faccia, e si era lasciata una chiazza sulla guancia. «Le nostre esistenze sono infinite, sino ad un certo punto. Ti rivedrò senza dubbio negli Inferi, per un motivo o per un altro.»
«Ma non come tua consorte.»
«No. Hai espresso molto chiaramente i tuoi sentimenti al riguardo,» le ricordò Cheryl, scandendo per bene ogni sillaba.
I sentimenti di Antoinette non erano meno intrecciati dei fili delle Moire. Non c'era logica in essi, nessuna armonia: niente che potesse fornirle un appiglio in quel mare vorticoso di smarrimento.
Tu mi hai rubato il cuore. Non era mai stata sua intenzione. Niente di tutto quello aveva senso, meno che mai ciò che Antoinette stava per fare.
Si portò una mano alla fibbia della sua clamide – della clamide di Cheryl. La sganciò e se la lasciò scivolare via dalle dita.
«Parto domani, con Ermes,» dichiarò, slacciando la fibula prima su una spalla, poi sull'altra. «Hai dato la tua parola.» Sganciò anche la cintura e se la tolse. Il suo chitone si ammassò a terra. «Ma prima vorrei che mi salutassi come si conviene. Visto che sei mia...» fece un respiro profondo. «Visto che sei mia moglie.»
Cheryl rimase dietro la scrivania. Il suo viso era una maschera priva di qualunque espressione. Non parlò, ma le si costrinse la gola quando deglutì.
Antoinette fece un passo verso di lei, ondeggiando i fianchi come aveva visto fare ad Afrodite. Era nuda, ad eccezione dello strofione e del perizoma e, man mano che incedeva, si tolse i fermagli che le tenevano i capelli, fino a scioglierli del tutto.
Si sporse sul tavolo e buttò a terra tutto ciò che v'era sopra – rotoli, tavolette, pennini – anche se stette attenta a non rovesciare il calamaio.
Cheryl sussultò.
Era un tavolo di mirto, macchiato di inchiostro. Antoinette vi montò sopra e scivolò per accorciare quella breve distanza da Cheryl, tenendo la schiena arcuata, coi movimenti sinuosi come quelli di un gatto. Allungò entrambe le mani per prendere il viso di Cheryl. Cheryl la fissava con uno sguardo famelico, e cominciò a perdere quell'autocontrollo, un tempo impeccabile. Antoinette si sporse e la baciò.
Le labbra di Cheryl erano morbide, proprio come le ricordava, e sapevano di vino. Si scostò e ne tracciò il contorno con le dita, prima di strofinare la guancia di Cheryl col pollice, nel punto in cui era macchiata di inchiostro.
«Se fai così,» sibilò Cheryl, con un filo di voce affannosa. «Se fai così... io non ti lascerò andare via.»
Un tempo si sarebbe potuta sentire minacciata da una frase del genere.
«Hai dato la tua parola,» le ricordò Antoinette. «E quaggiù la tua parola è legge. Nemmeno tu ti ci puoi sottrarre.»
La baciò di nuovo, intrecciando le dita nei capelli della regina. Antoinette era conscia che non avrebbe dovuto desiderare quello, sapeva che non c'era nulla che la stesse costringendo a farlo, e che mal si conciliava con la vecchia narrazione di Cheryl in qualità di carceriera e di Antoinette in veste di preda riluttante. Quel gesto sfocava i confini, rendeva impossibile distinguere chi fosse in debito verso chi.
Non voleva dire però che aveva perdonato Cheryl. Forse non l'avrebbe mai perdonata. Ma, per quanto biasimasse Cheryl, dava ancora di più la colpa a sé stessa per il fatto di aver bisogno di quel momento, poiché aveva bisogno di lei.
Quando Cheryl finalmente la toccò, per Antoinette fu un sollievo beato. Montò a cavalcioni in grembo a Cheryl, allungò una mano sopra la spalla della regina per reggersi allo schienale della sua sedia, mentre con l'altra trafficò per slacciarle la cintura. La sua biancheria intima era già volata via da un pezzo, dimenticata come i rotoli che aveva scaraventato giù dal tavolo. Le dita di Cheryl si uncinarono dentro di lei, unendo i loro corpi, mentre l'altra mano abbrancava la parte bassa della schiena di Antoinette. La sensazione di stiramento fu deliziosa, e Antoinette chiuse gli occhi, ondeggiando istintivamente il bacino avanti e indietro contro la mano di Cheryl, lasciando che fosse il suo corpo a dettare il ritmo.
Per tutti quei mesi, durante quelle notti vuote, sola con le sue poesie ed il suo letto freddo, avrebbe potuto avere quello... ma no. Non era quello che aveva desiderato, non prima. Lo desiderava ora che stava per andarsene, e che era tutto cambiato.
Cheryl la sollevò dal proprio grembo e la mise seduta sul tavolo, a cosce aperte all'altezza del bordo.
Antoinette aprì gli occhi e puntò lo sguardo in quello di Cheryl. Provò una gioia perversa al pensiero che, la prossima volta che Cheryl fosse stata seduta a quella scrivania, avrebbe ripensato al corpo di Antoinette, spalancata e trafitta da lei. Sperava che quella scena sarebbe rimasta impressa alla regina per anni. E comunque Cheryl lavorava troppo.
«Tu mi farai morire,»mormorò Cheryl.
«Non perderesti la tua immortalità per chissà quanto tempo,» commentò Antoinette. «La prima volta che il tuo successore provasse anche solo a cambiare le tende, organizzeresti una sommossa per spodestarlo.»
«Pensi questo?»
«Io penso...» Ad Antoinette sfuggì un sospiro quando un brivido di piacere le corse sulla pelle, «Che dovresti concentrarti su quello che stai facendo col tuo pollice.»
Per una volta, Cheryl non obiettò. Abbassò la testa e succhiò uno dei capezzoli di Antoinette, applicando una pressione sufficiente a farla gemere.
Antoinette non avrebbe dovuto provare piacere. Il tocco di Cheryl avrebbe dovuto farla vergognare, avrebbe dovuto darle la stessa sensazione di una ferita in putrefazione sulla sua pelle, non farle bramare sempre di più.
Ma Antoinette non era nata per una vita pura e casta, a differenza di Atena e di Artemide e, per quanto non potesse accettare l'amore di Cheryl, magari avrebbe potuto accettare le dita della dea sul suo sesso, e la bocca di lei sulla propria gola.
Non protestò quando Cheryl le diede un morso, lasciandole un segno: a quel punto aveva perso ogni forma di raziocinio, la sua mente si stava dipanando e la sua coscienza stava esplodendo in un oceano di piacere.
Si assaporò quel momento, vi si crogiolò, per una volta non gravata dalla vergogna o dal dubbio. Appoggiò la testa sulla spalla di Cheryl, le intrecciò morbidamente le braccia attorno al collo, respirando il profumo dei suoi capelli.
Cheryl strinse Antoinette a sé come se non volesse mai più lasciarla andare. Non andava bene.
«Mi stai schiacciando,» le mormorò Antoinette.
«Riesci a respirare.»
Antoinette alzò gli occhi al cielo e si contorse, facendole ruotare, di modo che Cheryl finì sdraiata sul tavolo, e Antoinette sopra di lei.
Cheryl sembrava... diversa. C'era un'espressione tormentata sul suo volto, una fragile translucenza sulla sua pelle. I suoi capelli erano disseminati attorno a lei come un'aura color arancia sul legno di mirto.
Aveva addosso fin troppi vestiti. Il suo peplo era fissato sulle spalle da cuciture, non fibule. Antoinette strappò il tessuto con una buona dose di goduria, ignorando i sussulti contrariati di Cheryl.
«Si può aggiustare,» le mormorò, abbassando il tessuto per rivelare lo strofione di Cheryl. «La tua stanza è piena di pepli come questo.»
«Seta di Kos, Antoinette!»
Antoinette arricciò il naso.
«Perché dovresti volere qualcosa fatto dai bachi, quando puoi avere del buono, rispettabile lino?»
«Si tinge meglio. Il nero è difficile da fissare.»
Cheryl sedette e si slacciò lo strofione da sola, come se volesse scongiurare che Antoinette le distruggesse qualche altro indumento.
Era la prima volta che Antoinette vedeva da vicino e sotto la luce quella parte del corpo di Cheryl senza veli. Quella che si era persuasa fosse una voglia era in realtà una cicatrice lunga ed irregolare che correva da sotto il seno destro al fianco sinistro, più larga e più spessa man mano che si avvicinava al bacino. Si era rimarginata da molto tempo, ed era più luminosa e pallida della pelle circostante.
La carne degli dèi andava incontro ad un'ottima guarigione, e anche le ferite peggiori rispondevano ai trattamenti magici.
Antoinette non aveva mai visto una cicatrice simile sul corpo di un'altra dea.
«Come te la sei fatta?»
Allungò una mano e gliela sfiorò delicatamente, tastando coi polpastrelli eventuali difformità nel tessuto cicatriziale.
«Un ricordo della guerra.»
C'erano state molte guerre, ma poche abbastanza atroci da poter lasciare un segno del genere.
«La Titanomachia?» tirò ad indovinare.
Cheryl annuì. Aveva i lineamenti del volto tesi, mentre Antoinette le esplorava la cicatrice con le dita.
«Perché la conservi?»
«Come promemoria,» rispose Cheryl, ad occhi chiusi.
«Un promemoria?»
«Per tenere a mente che i miei fallimenti non sono solo i miei, ma plasmano il mondo attorno a me.»
Antoinette non sapeva cosa dire.
«È per questo che lavori così duramente?»
«Il raccolto si fa una volta l'anno. Gli umani muoiono ogni giorno.»
«Non è una giustificazione. I tuoi amanuensi sono persone sveglie. Potrebbero fare di più, se glielo lasciassi fare.»
«I nostri fardelli non sono fatti per loro, Antoinette.»
Antoinette distolse lo sguardo, con un sapore amaro in bocca. No, quei fardelli avrebbero dovuto essere portati da lei, visto che era la consorte di Cheryl. La sua partenza li rigettava tutti sulle spalle della regina.
«Vieni,» la esortò, afferrandola. «Come dici tu, ci resta soltanto una notte. Non mettiamoci ad affrontare questi argomenti prosaici.»
Antoinette si sporse e la baciò. Probabilmente non era quello che la regina Cheryl avrebbe meritato, ma avrebbe quantomeno potuto essere lì, in quel momento, a darle tutto il conforto che le riusciva.
Non era un granché, ma glielo diede lo stesso spontaneamente. Cheryl la strinse a sé, troppo forte e, dopo che furono entrambe sazie del loro abbraccio, la regina accoccolò la testa nel collo di Antoinette. Le loro gambe erano attorcigliate, e le loro braccia serrate in una morsa. Antoinette intrecciò le sue dita con quelle di Cheryl, e baciò le lacrime salate sulle sue guance.

Prigioniera Degli Inferi - ChoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora