Come Ai Vecchi Tempi

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Antoinette si risvegliò su un rigido letto di legno, col mal di testa ed i vestiti umidi e puzzolenti di pesce. Percepì all'istante di non essere sola, e si drizzò a sedere, senza riuscire a ricacciare indietro un sussulto di sconcerto, quando realizzò dove si trovava.
Era stata portata in una stanza adiacente alla cantina, nel seminterrato. Una piccola grata situata in alto su una delle pareti lasciava filtrare un po' d'aria e di luce. In piedi sull'uscio c'era sua madre, col viso parzialmente illuminato da una fiaccola. Demetra fissò la torcia all'apposito sostegno sulla parete e le andò incontro, bloccando il fascio di luce, che proiettò una lunga ombra della madre sul pavimento.
«Ti sei dimenticata di quello che ti ho detto l'ultima volta?» le chiese Demetra.
«Non sono stata cattiva,» sussurrò Antoinette.
Demetra scoppiò a ridere.
«Oh, sì invece. E quello che è peggio era che ti avevo avvisata: sarebbe bastato farmi fare una sola figuraccia davanti agli dèi per farti finire un'ennesima volta qui dentro.»
«Siete stata voi a mandarmi via!»
Demetra ridacchiò.
«Non ho fatto nulla del genere. Ho semplicemente detto che mi avresti dovuta lasciare in pace per un po'. Sai bene quanto i tuoi attacchi isterici mi facciano venire il mal di testa. Come avrei potuto immaginare che saresti andata via di casa e che ti saresti fatta rapire?»
«Ho provato a fuggire,» disse Antoinette, vagando con lo sguardo sulle pareti della cella. Le sembrava ancora più piccola rispetto a quando era una bambina.
«Non devi aver provato con sufficiente ardore, cara. Perfino i mortali riescono a svignarsela
dall'oltretomba, in un modo o nell'altro, e tu vanti
nientemeno che discendenze olimpiche.»
«Ci ho provato...»
Antoinette si mangiò le parole per la frustrazione.
Avrebbe potuto dire qualunque cosa, ma non sarebbe servita a nulla. Non serviva mai a nulla.
«Mi avete avvelenata.»
«Non essere così teatrale. Un banale sonnifero, nulla più.» Demetra la raggiunse. «Guardati.» Le afferrò le pieghe frontali del chitone, strattonandole con una tale violenza che Antoinette si ritrovò trascinata fuori dal letto. Le strappò l'abito, poi fece per tirarle via la collana, quella d'oro che Cheryl le aveva dato il giorno del loro matrimonio, ma non riuscì a sfilargliela.
«Che razza di stregoneria è questa?» sbraitò, senza smettere di provare a sganciarla. La catena le scavava nel collo ogni volta che la madre gliela tirava, lasciandole i segni sulla pelle.
«Non ne ho idea,» ammise Antoinette, provando a tenersi a distanza da Demetra, ma incapace di sfuggirle.
«Incantesimi. Sortilegi.» Demetra teneva le labbra contratte, mentre stritolava e strattonava la catena, tendendola al massimo ed affondando le nocche nel morbido incavo della gola di Antoinette. «Le voci che girano devono essere fasulle. Si dice che tu sia andata da lei di tua spontanea volontà, che ti sia legata a lei come una schiava marchiata dal proprio padrone.»
Antoinette si portò le mani alla gola, cercando disperatamente di riprendere fiato.
Demetra stette a guardare Antoinette che si dimenava, con le pupille dilatate nell'oscurità. Era raggiante nella sua malvagità, coi capelli dorati e lucenti, e le labbra ricurve all'insù.
Attorcigliò la catena, prima di spintonare Antoinette dall'altro lato della stanza. Antoinette andò a sbattere contro la parete più vicina, poi cadde a terra. Non aveva la forza di rialzarsi.
«Ebbene? Cos'hai da dire a tua discolpa?» inveì Demetra, andandole di nuovo incontro e fermandosi di fronte a lei, con le mani sui fianchi.
Antoinette ansimava. Piantò un palmo a terra e vi si appoggiò di peso per aiutarsi a rimettersi seduta.   «...È complicato,» mugugnò, sfiorandosi la gola per tastare i solchi rimasti sulla sua gola, nel punto in cui la catena aveva lasciato il segno. Demetra sbuffò. Si chinò ed agguantò il diadema ingioiellato di Antoinette, strappandole alcune ciocche di capelli nel portarglielo via. Poi abbrancò il polso della figlia e spezzò il gancetto del suo bracciale, facendo ruzzolare un mucchio di perle sulle lastre di pietra del pavimento. Infine, le staccò la cintura impreziosita di zaffiri.
«Puzzi di immondizia, e di bagordi. Cheryl potrà anche averti resa la sua cortigiana, ma qui tu sei mia figlia, e ti comporterai come tale.»
Antoinette afferrò gli orli strappati del suo chitone e se li strinse sul petto. Cominciarono a sgorgarle le lacrime dagli occhi.
«Perché state facendo così?»
«Tu non sei la moglie di Cheryl. Zeus non aveva la facoltà di venderti senza il mio consenso. Non sei una regina degli Inferi. Tu sei semplicemente la figlia egoista ed ignorante della sottoscritta, ed io sono la persona che ha la sventura di definirsi tua madre.»
«Ma non è colpa mia!»
Demetra le diede uno schiaffo in faccia, forte. Non le fece nulla in termini fisici: Antoinette sapeva che il dolore nel cuore le sarebbe rimasto infinitamente più a lungo.
«Tu non ti fai nemmeno un'idea delle difficoltà che ho dovuto affrontare per trovarti,» le mormorò la madre, con un tono pericolosamente basso.
«E per cosa? Per essere insultata da un misero germoglio di donna?»
«Io sono una donna matura. Una donna sposata.»Antoinette gettò uno sguardo alle spalle di Demetra, verso la porta. Era fatta di solida quercia e di ferro, e poteva essere sbarrata da fuori.
«So cosa avete fatto. In guerra. Cheryl me l'ha detto.»
Demetra restò di sasso per un momento, poi si riprese.
«Stai dicendo un mucchio di fandonie. Cheryl è una bugiarda: lo sanno tutti.»
«Non è quello che si dice in giro, madre. Andrò io a raccontarlo. Dirò a tutti che foste sul punto di tradirli.»
Demetra scoppiò in una risata breve e sguaiata.
«E tu pensi che qualcuno crederebbe alla tua parola contro la mia? E per quale motivo? Per un qualche frammento insignificante di storia antica?»
Fece un sorrisetto sardonico. «I Titani sono una storia finita. Zeus ha bisogno dei miei poteri. Non ha alcuna ragione di dare retta a te, né su questo, né su qualunque altro argomento. Tu resterai qui, sottochiave, finché io non tornerò dall'Olimpo con un annullamento di questa farsa che Cheryl definisce un matrimonio. Sino a quel momento, non vedrai e non parlerai con nessuno. Ci siamo intesi?»
«Non potete farmi questo,»sussurrò Antoinette. «Io... io sono stata data a lei. Zeus ha promesso. Ha dato la sua parola. Non se la rimangerà!»
Demetra la guardò con un'espressione piatta.
«Farà ciò che deve.»
Recuperò la torcia con una mano, mentre nell'altra teneva i rimasugli degli orpelli di Antoinette.
«Aspettate!»
Demetra si voltò lentamente. Antoinette avanzò, barcollando. Detestandosi ad ogni passo in più,
continuò a camminare, fino a che non si mise in ginocchio, chinando il capo per supplicare sua madre.
«Vi prego, perdonate la mia stoltezza.» Le parole le uscivano incerte dalla bocca. «Non vi ho ringraziato a sufficienza per tutto quello che avete fatto per me, per essere venuta in mio soccorso.»
Si proteste in avanti e si prostrò come un'estranea, con la testa quasi a contatto col pavimento.
«Grazie,» aggiunse, inalando l'olezzo stantio di formaggio andato a male e di pastinaca.
Demetra la lasciò a struggersi là per terra per quella che parve un'eternità.
«Ci vediamo al mio rientro,» annunciò.
«Madre!» Antoinette balzò in piedi, tentando di tenere sul seno alla bell'e meglio il chitone tutto stracciato, mentre accorse al fianco della madre. «Comprendo se dovete tenermi sottochiave finché non avrete portato a termine i vostri affari. Ma è passato un anno dall'ultima volta che ho visto il sole. Vi prego, posso stare almeno in un qualche posto che non sia sottoterra?»
Demetra indicò la piccola grata con la mano.
«Hai la tua vista.»
«Ma madre...»
Demetra la ignorò e lasciò la cella, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Antoinette vi si scagliò contro, gridando quando le sue spalle sbatterono contro il legno incrollabile. Udì la barra che stridette in posizione, sigillandola dentro. Sbatté i pugni contro la porta, poi vi appoggiò l'orecchio, tentando di percepire anche il minimo suono dall'esterno. Ma non sentì altro che il proprio respiro ed il battito troppo frenetico del suo cuore. Andò a prendere un cuscino dal letto e lo lanciò contro la porta, prima di affondare la testa fra le mani. Si sentiva come se una morsa invisibile le stesse stritolando il petto, e dovette fare qualche respiro profondo per calmarsi.
L'ultima volta che era stata lì dentro, aveva giurato a sé stessa che non ci avrebbe mai più messo piede. Si era ripromessa che sarebbe stata buona ed ubbidiente in tutto.
Aveva funzionato a meraviglia, no?
Agguantò il bordo del letto e lo trascinò sul pavimento, ignorando gli odiosi stridii prodotti dal legno che grattava contro la pietra. Lo spinse contro la parete sotto la grata e vi montò sopra, aggrappandosi alle sbarre e sbirciando fuori. Si era alzata rispetto all'ultima volta, visto che finalmente fu in grado di guardare all'esterno senza aver bisogno di saltellare. Era notte, e non si vedevano che pochissime stelle. Come di consueto, il terreno nei pressi della sua cella era brullo, senza nemmeno un filo d'erba a portata di mano. Il vento che smuoveva i campi di grano di Demetra in lontananza era la medesima brezza che accarezzò le guance di Antoinette.
Saltò giù dal letto e tornò alla porta, su cui fece correre le dita. Non ebbe bisogno della luce per rinvenire gli intagli nel legno, praticati col bordo di una fibula o con la parte appuntita di una cintura. Ogni tacca segnava un giorno che Antoinette aveva passato sveglia: nel complesso, la porta testimoniava dei lunghi mesi di cattività. Una riga equivaleva ad un anno della sua vita cosciente trascorso in quella prigione. Ma erano stati molti di più gli anni che aveva passato lì dentro, in uno stato di incoscienza, arresa alla terra sognante.
Si voltò e brancolò nel buio, alla ricerca di una cassapanca accanto al punto in cui si trovava originariamente il letto. Al suo interno v'erano cibo ed acqua, sufficienti per qualche giorno, e qualche abito di ricambio. Tolse il suo chitone lacero e lo sostituì con uno pulito, prima di avvolgersi un imatio di lana attorno. Sedette sul pavimento, con la schiena appoggiata al muro, fissando la porta.
Era sopravvissuta negli Inferi. Sarebbe sopravvissuta anche a quello. Demetra non avrebbe potuto portarle rancore per sempre. E a quel punto Antoinette avrebbe...
Avrebbe cosa?
Ricominciato a comportarsi come una figlia diligente?
Non era mai stata tagliata per quel ruolo, ed oramai non le si addiceva proprio più.
Quali altre opzioni aveva?
Antoinette si rannicchiò, posò il mento sulle ginocchia e si cinse le gambe con le braccia. Se fosse rimasta con Cheryl...
No. Quella non era mai stata un'opzione, non quando la minaccia di Demetra era divenuta realtà. Tornare in superficie era stata la decisione giusta.
Demetra non sarebbe mai cambiata. Un anno di lontananza aveva dato speranza a Antoinette. Una speranza che era andata così velocemente in frantumi. Aveva tollerato gli atteggiamenti di sua madre per secoli, all'oscuro di qualunque alternativa, e si era preparata a conviverci per altri secoli, ma ora...
Grande Madre Gaia, prestatemi la vostra forza, la vostra pazienza. Si infilò a letto, raggomitolandosi stretta sotto le coperte. Abbrancò con una mano la struttura del letto – era pino, mentre i tasselli erano fatti di legno di una quercia che non le era meno familiare del suo stesso nome. Chiuse gli occhi e lasciò che la terra sognante la trascinasse nel torpore, augurandosi al contempo che, una volta che si fosse risvegliata, tutto quel tormento sarebbe finito.

Prigioniera Degli Inferi - ChoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora