Il Fiore

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Le parole di Demetra continuarono a ronzarle nelle orecchie, un costante ritornello che affogò ogni altro pensiero.
Non sei più mia figlia.
Antoinette corse finché non riuscì più a scorgere, nemmeno in lontananza, casa di sua madre. Per quel tempo, la lunga giornata estiva stava volgendo al termine, ed Elio stava aspergendo il cielo di sfumature rosee ed ambrate. Si piegò in avanti e poggiò le mani sulle ginocchia, in preda all'affanno.
Aveva arrotolato il suo chitone di ricambio e lo aveva infilato nel suo imatio, che aveva poi chiuso a mo' di pacchetto. Teneva il fagotto appeso in spalla, mentre cercava di riprendere fiato.
Dove sarebbe potuta andare?
Suo padre non l'avrebb mandata via, ma Antoinette non aveva voglia di incappare nell'ira di Era. Avrebbe potuto chiedere ad Efesto, ma egli era stato molto chiaro sul fatto che non si sarebbe mai opposto ai desideri di Demetra. C'erano le ninfe delle foreste e dei fiumi, sue amiche... ma loro appartenevano alle terre di sua madre, ed Antoinette non aveva intenzione di sconfinarvi, dal momento che era palesemente sgradita lì. Avrebbe potuto rivolgersi a sua nonna Gaia per farsi aiutare... magari interrarsi per un po', come un bulbo, e riposare nel fresco abbraccio dei suoi sogni terreni, finché l'ira di sua madre non si fosse placata. C'era da dire, però, che Gaia di rado si intrometteva nelle questioni che riguardavano i suoi parenti, e chi era Antoinette per potersi aspettare il suo sostegno?
Era una perfetta nullità, in mezzo alle centinaia di dèi e dee, e... Ricacciò indietro le lacrime al pensiero e tirò su col naso, prima di strofinarselo. Avrebbe dovuto sapere che non era il caso di indisporre sua madre. Era tutta colpa sua. Non usciva mai nulla di buono quando si scatenavano le ire di Demetra.
Si scostò dal viso i capelli madidi di sudore e si drizzò sulla schiena, risistemandosi il fagotto coi suoi vestiti in spalla. Non essendo riuscita ad identificare nessuno a cui chiedere aiuto, avrebbe dovuto trovare per conto proprio un riparo per la notte. Aveva già dormito in mezzo agli alberi in passato, quand'era più giovane e Demetra non le rimproverava ancora di essere senza sentimenti.
Quei tempi erano morti e sepolti, insieme alla pazienza di Demetra. Antoinette si fermò sul confine delle terre di sua madre.
Sulla sinistra e sulla destra si stendevano campi di un grano alto e quasi maturo. Soprappensiero, si poggiò una mano sull'orecchio tumefatto.
«Oh!»
Antoinette tolse la mano e se la mise in bocca, sentendo il sapore dolce e pungente dell'icore.
Attorno a lei, i campi furono scossi da un fremito, un'ondata che li fece frusciare come dei marosi che increspavano l'oceano. Gli steli più prossimi le frustarono le gambe. Antoinette arretrò, in direzione del campo di grano antistante. Anziché schiudersi al suo cospetto, gli steli attorno a lei cominciarono a sferzarla, e ad ogni impatto cadde qualche spiga a terra. Antoinette barcollò. La cresta dell'onda la colpì, dandole la stessa sensazione di una parete d'aria solida che la spazzò via dalle terre di Demetra, lontana dalla sicurezza della protezione di sua madre. Antoinette si piegò in avanti, come se le fosse stato sferrato un pugno invisibile. Il suo corpo rotolò a terra, schiacciando diverse spighe, e venne sospinto su di esse come se il grano stesso fosse posseduto dalla furia di Demetra.
Quando arrivò alla fine dei campi di grano, continuò a ruzzolare per inerzia giù lungo il fianco della
collina, rimbalzando sul terreno sconnesso e tenendosi le mani premute sulla faccia per proteggersi gli occhi. Con suo sommo imbarazzo, le ci volle un tempo molto lungo prima di riuscire a fermarsi ma, alla fine, protese le braccia, affondò i talloni nel terreno ed arrestò la discesa. Le faceva male anche solo respirare, ma quello fu comunque il massimo che riuscì a fare per un po', tanto era esausta.
Cassiopea era ben visibile nel cielo notturno quando
Antoinette, finalmente, riuscì a rimettersi seduta, facendo delle smorfie ad ogni movimento, ognuno dei quali risvegliò nuove contusioni sul suo corpo.
Il suo ruzzolone a capofitto le aveva lasciato addosso graffi di ogni sorta, e le aveva strappato l'orlo del chitone. Si rialzò su dei piedi malfermi, sentendo un terriccio soffice che aveva preso il posto della solida roccia. Intravide una specie di spelonca, che dimostrava che Antoniette doveva aver superato i confini dei possedimenti di sua madre. Demetra detestava i terreni improduttivi. Forse era un segnale di buon auspicio. Vi si incamminò silenziosamente, ben conscia che potessero esserci altre creature che potessero chiamare quel posto "casa". All'interno, l'aria era umida e fredda.
Antoinette rabbrividì, ma aveva perduto il suo imatio ed il chitone di ricambio da qualche parte sul fianco della collina. Man mano che si addentrò, l'unica luce disponibile provenne da funghetti fosforescenti, attaccati a dei mucchietti di roccia.
Chiuse gli occhi e protese la mano, invocandoli.
Quando riapri gli occhi, le pareti della caverna erano ricoperte su ogni lato da una profusione di vegetazione luminescente, che la circondava a mo' di arco. Il fondo della grotta proseguiva nelle tenebre, molto più in profondità di quanto lei avesse supposto. Si strofinò le spalle, scrutando le sfumature inquietanti di colore che la circondavano, e fu attratta da un oggetto particolarmente anomalo.
Più in fondo nella spelonca cresceva il bocciolo di un narciso giallo, che spuntava dalla terra in un posto in cui la luce del sole non sarebbe mai riuscita a penetrare. Antoinette si incamminò in quella direzione come se fosse in trance, con una fitta di dolore che le cresceva nel petto ad ogni passo in più che compiva. Ammesso che la luce del sole fosse stata capace di filtrare fin lì in qualche modo, sarebbe comunque stato impossibile che il fiore germogliasse proprio ora, in estate inoltrata.
Avrebbe dovuto già essere avvizzito e morto da
molto tempo, essere tornato nella fredda terra dei sogni col resto dei suoi compagni, in attesa della prossima primavera.
Antoinette si accovacciò e toccò il calice del fiore. Crebbe e si schiuse sotto i suoi occhi. Ogni petalo era pura perfezione. L'aria si fece ancora più rigida.
Antoinette si drizzò, strabuzzando gli occhi nella penombra.
«C'è qualcuno lì? Uscite allo scoperto!»
Rimase talmente a lungo in attesa di una risposta, coi denti che le battevano ed i peli delle braccia drizzati, che fini per sentirsi una stupida. Si stava mettendo paura da sola. Faceva freddo, era buio, e lei era stanca. Non c'era ragione di avvertire quell'impulso di mettersi a correre...
Le tremò la terra sotto i piedi, e lei cacciò un urlo, aggrappandosi alla stalagmite più vicina per reggersi. Davanti a lei si formò una crepa profonda nel terreno, ed il narciso sprofondò nelle tenebre.
Antoinette si raggomitolò a terra e si coprì la testa con le mani, quando del terriccio e dei minuscoli sassolini piovvero dal soffitto. Rimase in quella posizione finché non cessarono le scosse ed il suolo tornò immobile.
Nemmeno a quel punto, tuttavia, si affrettò a scoprire il viso.Lo fece solo quando avvertì lo scalpiccio di zoccoli di cavallo e lo stridio delle ruote di una biga. Alzò gli occhi e notò che il pavimento di metà della spelonca era sprofondato nel sottosuolo, formando una galleria scoscesa che si inabissava nelle viscere della terra, fino a perdita d'occhio.
Lo sferragliamento della carrozza si fece più rumoroso. Antoinette avrebbe dovuto scappare.
Sapeva che avrebbe dovuto. Ma le sue gambe si rifiutavano di obbedirle: rimase radicata sul posto, incapace di pensare.
Quando la biga emerse dalle buie profondità, lei non riuscì a far altro che stare a guardare. Era interamente dorata, con dei motivi curvilinei che raffiguravano viti e fiori, scolpiti sul parapetto.
Era trainata da due cavalli castrati, dal manto nero e vellutato. Antoniette non fu in grado di alzare gli occhi in direzione del cocchiere. Se si fosse messa a correre adesso, avrebbe potuto mantenere la sua promessa a Demetra. Se avesse rispettato i desideri di sua madre, forse avrebbe ancora potuto farsi perdonare...
La biga si arrestò, ed il cocchiere smontò.
«Antoinette. Perché... stai tremando?»
Antoniette aveva fatto una promessa, aveva stretto
un patto con sua madre, la dea delle messi. Ed ora, alla presenza di Cheryl, non le riuscì di far altro che stare a guardare.
Cheryl indossava un chitone nero come l'inchiostro, di un colore profondo ed uniforme, che brillava non appena si muoveva. Portava una cintura dorata in vita, abbinata ad un diadema incastonato fra le ciocche di capelli. L'aria attorno a lei era algida, some se si fosse portata un piccolo pezzetto dell'oltretomba con sé, fino nella caverna.
«Hai fatto molta strada per arrivare fin qui,» disse
Cheryl.
Non così tanta, di sicuro. Non abbastanza strada da essersi sottratta allo scrutinio di Demetra - poteva darsi che non fosse tenuta sotto il diretto controllo della dea, ma era certo che le sue spie o i suoi seguaci sarebbero venuti a sapere di quell'incontro.
Antoinette si avvolse fra le sue stesse braccia, tremando. Lo sguardo di Cheryl cadde sui lividi che Antoinette aveva sulla pelle, di un violaceo vivido, frutto della sua precipitosa caduta. Antoinette doveva assolutamente risolvere quella situazione, prima che andasse anche peggio, prima di rischiare di gettare altro combustibile sulle fiamme della collera di sua madre.
«Non è niente, » commentò a proposito delle sue escoriazioni. «Ho promesso a mia madre che non vi avrei arrecato altro disturbo.»
Quelle parole le sfuggirono repentine dalle labbra.
Si voltò per andarsene, ma Cheryl le abbrancò un polso, bloccandola.
«Aspetta.»
Le dita di Cheryl erano tiepide, ed inaspettatamente gentili. Accarezzò col pollice il punto in cui il polso di
Antoinette pulsava. Antoniette si divincolò dalla presa di Cheryl e fece un passo indietro, tenendosi stretto il braccio sul petto, con la pelle che le bruciava, come se riuscisse ancora a sentirsi addosso la pressione dei polpastrelli di Cheryl.
«Vi prego, oh Regina, io devo... io ho promesso...»
«Non c'è ragione di avere tanto timore. Siamo amiche, mia cara Antoinette, non è così?» le chiese Cheryl a voce bassa, con un tono placido smentito dall'intensità del suo sguardo, che sembrava in grado di inchiodare Antoinette sul posto.
Lei non riusciva a pensare... non riusciva nemmeno a respirare. Amiche... una dea minore come lei non avrebbe mai presunto di poter contare sull'amicizia della Regina degli Inferi.
Aprì la bocca. Sentì il suono della propria voce, per quanto le paresse molto distante.
«Sì, Regina Cheryl.»
«Beh... in qualità di tua amica, dimmi perché sei qui fuori, da sola, a quest'ora della notte.»
Le parole rimasero strozzate nella gola di Antoinette.
Secoli di saggezza le stabilizzarono la voce.
«Sono scivolata,» dichiarò.
Cheryl rimase a scrutarla, mentre le guance di Antoinette presero fuoco.
«Allora è una fortuna che tu sia scivolata così vicina ad uno dei miei portali d'accesso.»
Allungò una mano e sfilo una foglia dai capelli di Antoinette, scarmigliati dal vento, poi se ne arrotolò una ciocca attorno al dito ed avvicinò il proprio viso al collo della ragazza, annusando. Le guance di Antoinette si fecero ancora più roventi. Avrebbe dato qualunque cosa pur di sprofondare nel terreno e sparire. Invece, fece un passo indietro, allontanandosi dalla portata di Cheryl.
«Voi presumete troppo,» ribatté, fiera ed al contempo terrorizzata dalla sua stessa audacia.
Le labbra di Cheryl si assottigliarono.
«Tu dici? Sei al confine del mio reame, col profumo del mio asfodelo sulla pelle. Per quale altro motivo sei qui, se non per offrirti a me?»
Per.... cosa?
«Io non ho mai... dev'esserci un errore,» balbettò
Antoniette.
Quell'intera giornata era stata un madornale errore.
Aveva turbato sua madre, aveva superato il confine dei campi di grano e, adesso, stava disubbidendo un'ennesima volta ai dettami di Demetra, dialogando con Cheryl, anziché darsi alla fuga e far finta di non aver mai scoperto quel posto. Gli occhi di Cheryl si strinsero in due fessure, ed il suo sguardo si fece più penetrante.
«Un errore. Sei così ingenua da credere alle leggende, dunque?» Cheryl le si accostava, facendo un passo avanti ogni volta che Antoinette ne faceva uno indietro. «Avalli tutte le bugie che dicono sul mio conto?»
Antoniette urtò la schiena contro la parete della grotta. Premette i palmi sulla roccia, tremando quando Cheryl si sporse verso di lei.
«Tu sai cosa dicono di te, figlia di Demetra?» le domandò Cheryl, con un filo di voce e gli occhi scuri come due pozze d'acqua in una notte senza luna.
Antoinette vi si vide specchiata dentro, una ragazza piena di graffi e lividi, coi capelli sporchi di fango.
Cheryl sapeva. Lo sapevano tutti, ed Antoinette pensava che si sarebbe sgretolata per la vergogna, se avesse sentito quelle turpitudini uscire di bocca alla dea. Le riecheggiarono nei propri pensieri, degli insulti lanciati da un coro di voci senza volto, e senza nome. Frigida puttana. Si considera troppo per i figli di Era.
Come mai la dea della primavera si conserva infeconda?
«Vi prego, non ditelo,» sussurrò.
Cheryl prese il volto di Antoinette fra le sue mani e strofinò il pollice sulle labbra della ragazza. Il respiro di Antoinette si fece sempre più affannoso e malconcio.
«No,» mormorò di nuovo.
La parete rocciosa era fredda contro la sua schiena.
Il gelo stava filtrando attraverso il suo chitone, e le stava penetrando nelle ossa. A paragone, il calore irradiato dal corpo di Cheryl era come fuoco. Cheryl le si accostò ancora e, per un momento esilarante e allo stesso tempo terrificante, Antoinette pensò che stesse per baciarla. E invece Cheryl portò le labbra accanto al suo orecchio.
«Sei sempre stata destinata ad essere mia,» mormorò Cheryl, poi fece un passo indietro, dando le spalle ad Antoinette per la prima volta.
Fece schioccare la lingua e fece un cenno, ed i suoi cavalli le trottarono incontro, portandosi al seguito
la biga.
Corri! Gridò una voce nella testa di Antoinette. Adesso, finché è distratta... scappa! Ma non riusciva a muoversi. Le formicolava l'orecchio nel punto in cui le labbra di Cheryl lo avevano sfiorato.
«Che... che volete dire?»
«Voglio dire che ora ci metteremo in viaggio, tu ed io.»
Antoinette lanciò lo sguardo nel buio al di là della crepa, precursore delle tenebre interminabili al di sotto della crosta terrestre.
Alla fine - proprio alla fine - le gambe di Antoinette risposero al suo comando, e si mise a correre.
Era quasi arrivata all'ingresso della spelonca quando i cavalli la raggiunsero. La sorpassarono in un istante e Cheryl, senza scendere dalla biga, si sporse ed agguantò Antoinette, sollevandola da terra.
«Fermatevi!» gridò Antoinette. «Lasciatemi andare!»
I cavalli fecero un brusco dietrofront, e la biga si inclinò, poggiando su una sola ruota. Non si ribaltò per un soffio. Antoinette venne sbatacchiata contro una parete della carrozza, e Cheryl le cadde addosso.
Riuscì a scorgere un minuscolo lembo di cielo notturno, prima che la biga completasse la sua virata.
«Fermatevi!» gridò Antoinette. «Lasciatemi andare!»
I cavalli fecero un brusco dietrofront, e la biga si inclinò, poggiando su una sola ruota. Non si ribaltò per un soffio. Antoinette venne sbatacchiata contro una parete della carrozza, e Cheryl le cadde addosso.
Riuscì a scorgere un minuscolo lembo di cielo notturno, prima che la biga completasse la sua virata. Per quanto ne sapeva lei, poteva darsi che non avrebbe mai più rivisto le costellazioni di Cassiopea, Cefeo, Pegaso e Deltoton. Spinse debolmente via Cheryl.
«Fermatevi. Fermi... fateli fermare.»
La carrozza ritrovò il proprio equilibrio, ma i cavalli non si fermarono, e nemmeno rallentarono. Si immersero nel varco, e l'aria fredda accarezzò la pelle di Antoinette, come se stessero passando attraverso una nube di foschia. Si sentì aumentare la pressione nelle orecchie, finché non se le sentì quasi scoppiare, accompagnate da una sensazione simile ad un trillo. E ad un certo punto si rese conto che non era più in grado di stare in piedi, né di urlare, e neanche di pensare. Cheryl la afferrò appena prima che Antoinette collassasse, e l'oscurità inghiottì entrambe.

Prigioniera Degli Inferi - ChoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora