Il Tartaro

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Antoinette si risvegliò in una stanza inondata della luce grigia del mattino. Cheryl era già sveglia, e stava finendo di mettere indosso gli ultimi gioielli, in piedi davanti ad un piatto di bronzo tirato a lucido. Antoinette richiuse gli occhi, e finse di star ancora dormendo. Si tese quando avvertì la presenza di
Cheryl che incombeva su di lei, ma la regina si limitò a darle un bacio sulla fronte e ad infilarle una ciocca vagabonda di capelli dietro l'orecchio. La porta si aprì e si richiuse, ma Antoinette aspettò comunque qualche altro momento prima di riaprire gli occhi.
Si ritrovò da sola per la prima volta da dopo che avevano consumato il matrimonio. Spinse via le coperte ed attraversò la stanza di corsa. Afferrò la toletta e la spinse davanti alla porta, per bloccare l'accesso. Non avrebbe fermato chi fosse stato realmente intenzionato ad entrare, ma almeno le avrebbe fatto guadagnare un po' di tempo. I frammenti di ceramica della notte precedente erano stati spazzati via, e la vecchia brocca era stata rimpiazzata da una nuova.
Antoinette si lavò un'altra volta, prima di indossare un chitone di un verde pallido, con dei fiori di croco ricamati attorno all'orlo. Si guardò allo specchio e sfiorò il livido scuro che aveva sul collo, increspando le labbra per il disgusto. Tutti gli altri segni erano spariti, ma quello restava lì, insolente e pervicace. Le gambe della toletta cigolarono ed Antoinette sobbalzò. La porta si schiuse leggermente, colpendo il bordo del tavolo.
«Buongiorno!» la salutò Xenia, sbirciando dal piccolo varco nella porta. «Posso entrare? Ho portato la colazione.»
«Sei da sola?»
«Sì, padrona.»
Antoinette titubò un momento, ma poi il suo stomaco gorgogliò. Spostò il tavolo. Xenia portò in camera un vassoio con del cibo, ed andò a posarlo accanto alla finestra. Antoinette toccò ogni alimento a turno, vagliandone la sicurezza, prima di mangiarlo. Mise da parte i semi di un pomodoro tagliato, poi aprì la finestra e li gettò all'esterno. Il fantasma di un corvo la stava osservando dai rami di un olmo. Antoinette chiuse gli occhi e protese le braccia fuori dalla finestra, in line ad'aria al di sopra dei semi. Li sentì muoversi, dividersi, ma nulla più. «Idiota,» mormorò, serrando un pugno.
Il corvo gracchiò e volò via. Xenia si schiarì la gola. Era rimasta così in silenzio che Antoinette si era convinta che se ne fosse andata. Antoinette si ritirò dalla finestra e si asciugò con un panno il succo del pomodoro dalle dita.
«Che c'è?»
«Ho le direttive per la vostra giornata, padrona.»
Direttive. Come delle... incombenze?
«Negli Inferi non avete mai sentito parlare della luna di miele?» indagò Antoinette, con gli occhi stretti in due fessure. Non che ci fosse poi da restare sorpresi. Quel matrimonio era una farsa: come avrebbe potuto aspettarsi che il giorno seguente sarebbe stato in alcun modo diverso?
Xenia giocherellò nervosamente con la propria treccia.
«La regina Cheryl gradisce soltanto che entriate in confidenza coi vostri nuovi sudditi, e che riceviate i loro doni nuziali...»
«Se Cheryl vuole che faccia qualcosa, non ha che da chiedermelo direttamente,» rimarcò Antoinette.
Si alzò in piedi così alla svelta che la sua sedia si ribaltò. «E nessuno qui è mio suddito, dal momento che questa non è casa mia.»
Xenia sussultò, facendosi immediatamente da parte per schivare Antoinette, che le sfilò accanto in fretta e furia.
«Padrona... dove state andando?»
«A fare due passi,» ribatté Antoinette.
Durante il suo tragitto verso il cancello, vari gruppetti di inservienti interruppero le loro faccende per darle il buongiorno.
Quando raggiunse il cortile esterno, il suono del suo nome le era andato talmente a noia che sarebbe stata lieta di non sentirlo pronunciare per almeno un secolo. Oltrepassò le mura scintillanti di ossidiana, e vide il proprio volto riflesso nella pietra, poi notò qualcos'altro al di là della propria immagine. Xenia le stava alle calcagna, con un altro paio di domestiche che era riuscita a raccattare nel tragitto. Una parte di Antoinette ammirò la sua tenacia.
«Ho detto che sto andando a fare due passi. Non mi serve la scorta,» bofonchiò.
«Sì, padrona,» rispose Xenia, con gli occhi puntati discretamente verso il basso, eppure non se ne andò. «Oh, per Zeus!» Antoinette sollevò le braccia verso il cielo. «Non mi serve un'accompagnatrice. Di sicuro non mi si abbatterà addosso alcun male. Non sono tutti domini di Cheryl questi, del resto?»
Xenia e le altre domestiche si scambiarono delle occhiate.
«Ci è stato ordinato...»
«A me non importa nulla di quello che vi è stato ordinato! Sono io ora che vi sto ordinando di lasciarmi in pace!»
«Domando il vostro perdono, ma non ne avete l'autorità,» la informò Xenia. La donna aveva coraggio, quello Antoinette glielo doveva concedere. «Bene.»
Si incamminò stizzita verso le stalle.
Una volta che fu dentro, tirò giù una bardatura per sé e scelse una delle giumente, con un manto grigio pezzato. C'era un solo posto in tutto l'oltretomba in cui era improbabile che gli inservienti mortali di Cheryl si sarebbero addentrati.
«Tenete il mio passo, se vi riesce,» disse a Xenia ed alle sue instancabili aiutanti, poi montò in sella, all'amazzone. Spronò la sua giumenta a muoversi, senza voltarsi, e molto presto la fece andare al trotto, e poi al galoppo. Si chinò per accostarsi alla criniera della cavalla, e si gustò la sensazione del vento che le sferzava il viso.
Attraversarono assieme i bassipiani della Piana del Giudizio, senza fermarsi nemmeno quando i morti la chiamarono per nome. Non avrebbero trovato compassione da lei quel giorno. Quando le pianure si fecero brulle e desolate, la sua giumenta rallentò, come se fosse riluttante ad avventurarsi oltre. Antoinette dovette incitarla a continuare, ma ogni passo sembrava più restio del precedente.
L'avvertì anche Antoinette – quella sensazione di terrore immanente. Passò nel mezzo di una vallata, circondata da ambo i lati da alte pareti rocciose. Si lanciava occhiate a destra e a sinistra, e non le sfuggì come perfino le più infestanti delle erbacce si fossero rifiutate di crescere laggiù.
Xenia le spuntò a fianco, a cavallo di un castrato del colore della fuliggine.
«Non dovremmo essere qui,» le fece notare, col suo volto gentile corrugato per la preoccupazione. «Per favore, torniamocene indietro.»
«Voglio vedere.»
L'aria sembrava perfino più rigida in quel posto, e la fece rabbrividire. La giumenta nitrì pietosamente, e non si fece più placare. Antoinette fu costretta a smontare e a procedere a piedi, seguita da Xenia. Sembrava che le altre serve non fossero riuscite a spingersi tanto in là.
Ad attenderle alla fine di quella vallata c'era un gigante mostruoso, con dozzine di arti che gli spuntavano da ogni punto del torso. Dalle spalle, invece, sbucava una moltitudine di teste. Ognuno degli occhi di quell'essere fissò Antoinette e Xenia, che continuarono ad avvicinarglisi.
«Buongiorno a te,» lo salutò Antoinette, reclinando il collo all'indietro per guardare le molte facce del mostro. «Come ti chiami?»
«Cotto,» annunciò il gigante. Alcune delle sue bocche si mossero all'unisono, pronunciando il suo nome in coro. «Tu non sei morta. Non dovresti essere qui.»
Lanciò un'occhiata a Xenia.
«E non è qui che vai giudicata tu. Non dovresti trovarti qui nemmeno tu.»
«Ho il favore di Cheryl,» dichiarò Antoinette, infilando un dito sotto la sua collana e scostandosela dalla pelle, di modo che Cotto potesse vederla più chiaramente. «Desidero passare.»
Cotto si sporse verso di lei e strizzò gli occhi. Emise un brontolio simile a dei sassi che venivano macinati.
«Tu puoi passare,» sancì, per quanto evidentemente di malagrazia. «Tu no,» aggiunse, quando Xenia provò a seguirla.
«Per piacere, non trattenetevi a lungo,» mormorò Xenia con le lacrime agli occhi. «Non è sicuro.»
Lo sguardo di Antoinette si ammorbidì.
«Non preoccuparti. Niente mi può fare del male qui.»
Xenia sembrava affranta, ma si morse il labbro e non disse nulla. Antoinette le diede le spalle e superò Cotto. Dietro di lui c'era una grossa piattaforma di legno, agganciata ad un sistema con un carrello ed un argano.
Al di sotto della piattaforma c'era buio a perdita d'occhio, di una tonalità talmente intensa che sembrava risucchiare ogni forma di luce. A dire il vero, Antoinette non fremeva all'idea di andare a visitare il cuore del Tartaro per conto proprio ma, adesso che era lì, il suo orgoglio le imponeva di non tornare indietro.
«Hai una torcia?» domandò Antoinette.
«Ci sono delle luci in fondo,» le spiegò Cotto.
Tirò una corda e, dalle profondità, Antoinette avvertì il lontano rintocco di una campana. Antoinette montò sulla piattaforma e provò a regalare un sorriso rassicurante a Xenia. La poverella era bianca come del latte appena munto.
«Tieniti,» disse Cotto.
Non c'era nulla a cui tenersi. Antoinette aprì la bocca per chiedergli cosa avesse inteso, ma Cotto slacciò una cima, e la piattaforma cominciò ad inabissarsi nelle tenebre. Antoinette gridò per i primi metri di discesa, poi dovette conservare il resto del fiato quando la piattaforma precipitò verso il basso a rotta di collo.
Aveva fatto un errore madornale, ma adesso non c'era modo di tornare indietro, né qualcuno che avrebbe sentito le sue grida d'aiuto. L'aria era gelida e brutale, e sventolava l'orlo del suo chitone al punto da farglielo sbattere in faccia. Almeno non c'erano altre persone ad assistere allo stato disastroso in cui versava. Quando pensò di essere arrivata al culmine della sopportazione, apparvero delle lucette dal basso, e la piattaforma si arrestò bruscamente. Antoinette rimase sorpresa di ritrovarsi ancora tutta intera, per quanto l'acconciatura che Xenia aveva fatto fosse andata del tutto distrutta.
Dei suoni ovattati riempivano l'aria... urla, gemiti di dolore, pianti, le stesse suppliche e preghiere, ripetute senza soluzione di continuità. Xenia aveva ragione. Non sarebbe dovuta andare laggiù. Antoinette scese dalla piattaforma. Si ritrovò in un antro immenso, ricavato con grande maestria nel sostrato roccioso della terra.
Delle torce accese emettevano dei bagliori aranciati nell'oscurità, rischiarando dei sentieri che si dipanavano dalla caverna. Sotto di lei si snodava una lunga serie di passerelle di legno, che permettevano il transito al di sopra di un abisso senza fondo.
Sul livello su cui si trovava lei, scorse un altro gigante mostruoso che stava parlando con un manipolo di uomini, vestiti con abiti degli stessi colori che indossava Cheryl. Gli lanciò un'occhiata, poi si voltò e si incamminò nella direzione opposta, senza perdere tempo, come se sapesse cosa stava facendo. Per quanto spaventoso fosse quel posto, non aveva intenzione di essere riportata al cospetto di Cheryl troppo in fretta.
Si trovò a percorrere istintivamente delle passerelle che la portarono ad un livello più basso, finché non si sentì come se fosse passata un'eternità dall'ultima volta che aveva camminato al livello del suolo. Man mano che avanzava, passava accanto a delle celle scavate nella roccia e sigillate da sbarre di ferro. Altre celle, invece, erano isolate da seta di ragno, glifi ed incantesimi incisi nelle pareti e a terra. Delle mani spuntavano dall'ombra, protese verso di lei. «Padrona... salvateci...»
«Padrona, sono secoli che mi trovo qui. Non ho mai fatto del male ad anima viva. Vi prego...»
Antoinette si affrettò a superarli tutti, senza azzardarsi a posare lo sguardo troppo attentamente su nessuna di quelle anime sventurate.
Le si stava rivoltando lo stomaco solo per quei lamenti e per l'olezzo di ferro ghiacciato e di icore essiccato. Non sapeva dove stesse andando. Sapeva solo che era scesa troppo in profondità per ammettere il suo sbaglio e fare dietrofront.
«Figlia!»
Quella parola fu appena sussurrata, con un filo di voce talmente labile che Antoinette la sentì a stento. Si pietrificò per il terrore, ma poi si impose di rilassarsi. Zeus non era lì, non si sarebbe mai degnato di scendere fin laggiù, e la voce di Demetra non era mai stata tanto profonda.
Nondimeno, staccò una torcia dal muro e mosse verso la voce. Si ritrovò davanti ad una cella separata da tutte le altre, su una fila tutta sua.
All'interno scorse un corpo incatenato ad una griglia, talmente immobile ed emaciato che, sulle prime, dubitò che avesse anche solo la forza di proferire parola. Aveva degli arti innaturalmente lunghi e sproporzionati, come se fosse un Titano rimpicciolito da una qualche stregoneria.
La creatura aprì gli occhi... l'occhio. Uno dei due era in fase di ricrescita. Interamente ricoperto di icore, si stava riformando lentamente da dentro, proprio davanti agli occhi di Antoinette, incapace di volgerli altrove.
«Figlia,» ripeté con una voce roca, che non doveva aver usato da talmente tanto tempo che Antoinette fece fatica a carpire la parola. «No. Nipote? Vieni più vicina, lascia che ti guardi meglio.»
Lentamente, quasi come se fosse tirata da un filo invisibile, Antoinette si accostò alla cella. Il suo occupante si passò la lingua sulle labbra screpolate e chiazzate di icore, e la osservò come un uomo famelico avrebbe osservato la propria preda. Si sporse in avanti, strattonando le catene con un tale sforzo che si udì uno scricchiolio, probabilmente prodotto da un qualche osso che gli si era appena fratturato. Antoinette strillò e fece cadere a terra la torcia. La recuperò al volo, prima che potesse rotolare attraverso le sbarre e finire nella prigione. Aveva il terrore di quello che sarebbe potuto accadere al fragile equilibrio di poteri che teneva in piedi quel posto, qualora fosse stato arrecato anche il minimo danno al perimetro carcerario.
La creatura – un Titano – si mise a ridere, ed il suo petto ossuto sussultò ad ogni espirazione. Portava indosso solo un perizoma, sudicio, e coperto di icore, sebbene la sua barba scura gli arrivasse quasi fino alla cintola.
«Quale delle due sei dunque, fanciulla? E fatti sentire. Le mie orecchie non sono più quelle di una volta.»
«Mi chiamo Antoinette,» disse, ben contenta di constatare che la sua voce non tremolò. «Nata da Demetra e Zeus.»
«Zeus... avrei dovuto staccargli la testa prima di divorarlo. Avrei dovuto sbriciolargli tutte le ossa.»Antoinette rabbrividì.
Quella cosa, quella creatura... era suo nonno, dunque, Crono?
«Oh... e non guardarmi così, ragazzina. Una volta ero un gran bel fusto, riverito fra gli uomini. Raccontami, cosa dicono di me, su in superficie?»Antoinette non riuscì a non provare pena per lui, straziato e ridotto in quello stato.
«Dicono che hai governato un'epoca d'oro dell'umanità.»
Crono sogghignò, sfoderando una lunga fila di denti tutti spezzati.
«D'oro... sì. Quando l'aria era dolce, il mondo nuovo, ed il miele gocciava dagli alberi.»Mosse la mandibola, come se ne stesse rievocando il sapore in bocca. «Ne hai un po'?» «Di miele?»
Antoinette corrugò la fronte.
«No. Mi dispiace.»
«Vino? Acqua?»
Quando lei scosse la testa, Crono si accigliò.
«A cosa servi, allora? Puzzi di Cheryl. Nemmeno tutte le essenze d'Egitto sarebbero sufficienti a mascherare quell'olezzo che hai addosso. Magari potresti dirle di farmi stare un pochino più comodo. È passato molto tempo ormai.»
Antoinette si trattenne dall'impulso di annusare i suoi vestiti, anche se arrossì.
«Chiederò.»
«Chiederà!» stridette Crono, con una voce talmente stentorea adesso che la fece sussultare.
«Chiederà... dice lei... come un leccapiedi, e non come la fiera discendente della stirpe di Crono che dovrebbe essere!» Le puntò lo sguardo addosso, con l'occhio a mezz'asta. «Zeus si è stufato di te e ti ha lanciato come un osso alla povera, carnale Cheryl?»Antoinette si stizzì.
«Non l'avrebbe mai fatto! Zeus non c'entra niente in questa storia,» replicò lei, anche se si domandò quanto ci fosse di vero.
Cheryl era stata molto chiara sul fatto che si era accaparrata, quantomeno, l'approvazione di Zeus. Crono si spostò leggermente sulla griglia, e le sue catene sferragliarono.
«Ma tu sei prigioniera qui. Proprio come me,»contrattaccò, sfoggiando un altro sorriso. Antoinette si aggrappò alle sbarre della cella del nonno e vi premette contro il viso.
«Noi non ci troviamo affatto nella stessa situazione,»gli confidò. «Quando Cheryl si annoierà di me, io sarò libera.»
Crono rimase a fissarla. La sclera bianca era ben visibile, e luminosa nella penombra.
Ad un certo punto scoppiò in una risata roca, quasi un raglio, talmente assordante che Antoinette fece un passo indietro e si guardò nervosamente attorno, per vedere se si stesse avvicinando qualcuno. «Smettetela!» lo esortò. «Attirerete l'attenzione di una guardia.»
La risata di Crono si smorzò, anche se una lacrima di diletto gli rimase appesa in un angolo dell'occhio. «Oh, fanciulla. Come devi essere giovane. E che fortunata, ad essere così ingenua. Tu porti addosso il favore di Cheryl, eppure sai così poco sul suo conto?"»
Antoinette si portò fugacemente una mano al collo. «Non ho avuto occasione di conoscerla. Non sono stata propriamente corteggiata.»
«Ai miei tempi, il corteggiamento era la caccia. Vedevi una ragazza che volevi e te la tenevi dentro al letto finché non portava in grembo il tuo bambino, e non aveva più la forza di scappare.»
Quella pratica era ancora decisamente in uso. Era una tradizione dura da scalfire, visto e considerato quanto gli dèi fossero restii a cambiare le proprie abitudini.
Ma lei aveva pensato – sperato – che con Cheryl sarebbe andata diversamente. Era stata una stupida. Avrebbe dovuto scappare, finché avesse potuto. «Non è cambiato nulla,» commentò Antoinette.
«A volte le vecchie maniere sono le migliori.»
«Non è vero!»
«Ah no?» Crono la occhieggiò. «E cosa saresti tu, senza il favore di Cheryl, figlia di Demetra? Nessuno. Non hai nient'altro da offrire di quello che ti ritrovi in mezzo alle cosce!»
Antoinette si morse la lingua, grata per quelle sbarre e per la distanza che li separava. Prima di quel giorno, non le sarebbe mai nemmeno passato per la testa di percuotere un inerme vecchietto.
«Cheryl non ti lascerà mai andare, non dopo quello che ha dovuto fare per averti. Ma non disperare, bambina. Se è la libertà ciò che vuoi, allora l'avrai,»annunciò Crono.
«Che ha fatto Cheryl?» indagò Antoinette.
«Aiutami e te lo rivelerò.»
«Come?»
Crono abbassò la voce, e sussurrò, con un tono quasi cospiratorio:
«Liberami, e libera te stessa. Abbatteremo questa prigione, e tutti i suoi carcerieri assieme ad essa.»Antoinette si fermò un attimo, come se volesse dare a vedere che stava riflettendo sulla sua offerta.
Crono la pensava davvero tanto egoista, tanto ingenua da tradire tutti gli dèi dell'Olimpo solo e soltanto per un proprio tornaconto personale?
Nulla avrebbe mai giustificato una lesa maestà, nemmeno la sua libertà.
«Devo andare,» annunciò. «Addio, nonno.»
Crono compì un enorme sforzo per riuscire a sollevarsi, almeno parzialmente, dalla griglia. «Stolta! Senza di me, tu non sei nulla! Cheryl non ti lascerà mai andare. Mai!»
Antoinette gli diede le spalle e si mise in cammino, col cuore che le martellava nel petto, mentre risaliva sulle lunghe passerelle.
Non era vero. Cheryl si sarebbe stufata di lei, col passare del tempo. Poseidone seminava il proprio sperma come se fosse infinito, al pari della schiuma del mare. Zeus aveva figli bastardi in tutte le terre che circondavano l'Egeo.
In un secolo, forse due, Cheryl avrebbe trovato qualche ninfa, o qualcun'altra su cui dirottare la propria attenzione. Non di meno, Antoinette non era sicura che sarebbe riuscita a resistere tanto a lungo.

Prigioniera Degli Inferi - ChoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora