Cheryl non richiese più la sua presenza per una settimana, o forse due. Ogni mattina, Antoinette osservava Xenia che le leggeva le sue incombenze per la giornata, mentre lei si vestiva. Aveva il terrore della punizione che l'aspettava, eppure, da un lato, bramava qualcosa che spezzasse la quotidianità.
Ma non arrivava mai.
Invece, continuò le sue lezioni con Stéfano e fece lunghe passeggiate nei campi. Ogni tanto incontrava perfino qualche defunto. Stéfano dovette ammettere a malincuore che la sua manualità stava migliorando. Ogni giorno, si domandava se sulla terra stesse piovendo o se ci fosse il sole, se l'acanto che aveva piantato la stagione precedente fosse ancora in fiore. Le capitava di pensare anche a sua madre, ma sempre meno frequentemente. Tornare con la mente a Demetra era doloroso ma, come con una ferita, faceva male solo se la stuzzicavi, altrimenti non le dava alcun problema. Non sarebbe potuta andare per sempre avanti così.
Un grigio mattino, identico a molti altri prima di quello, Antoinette fu guidata non in biblioteca, ma sul retro del palazzo. Xenia salì con lei su una biga. Aveva gli occhi tristi e l'espressione cupa, cosa che diede a Antoinette un chiaro indizio di quello che stava per accadere.
Quando i cavalli si allontanarono dal palazzo, Antoinette si sentì lo stomaco precipitare sotto i piedi. La lunga attesa era stata intollerabile, sì, ma ora che era finalmente arrivato il giorno, quella trepidazione imminente era anche peggio.
I cavalli le condussero lungo un sentiero tortuoso che circondava un'ampia collina. Dalla cima, Antoinette riusciva a vedere il grande Olmo
dei Sogni Fallaci ad est, le fiamme sempre ardenti del fiume Flegetonte a nord, ed Oceano ad ovest. Il panorama attorno a loro era affascinante – per quanto potessero esserlo gli Inferi – rovinato solo dalla consapevolezza del motivo per cui lei era stata portata fin lì.
Sulla cresta della collina sorgeva un salice maestoso, sicuramente alto non meno di otto uomini, ed altrettanto largo. Le sue foglie argentee frusciavano nel vento, come se l'albero stesse sospirando e, sotto la sua ombra, l'aria sembrava più mite. Il suo fogliame era stato sfrondato, di modo che vi fosse molto spazio per potervi stare comodamente al di sotto.
Da quell'altezza, vide la carrozza dorata di Cheryl ad una certa distanza, che si stava avvicinando. La conformazione del terreno era tale che, dalla cima della collina, si riuscivano a distinguere le persone facilmente, anche da lontano, mentre da sotto rimanevano piuttosto nascoste alla vista.
Non dovette attendere molto prima che la carrozza di Cheryl arrivasse. La sua cocchiera indossava un peplo quel giorno, di lino, o di un qualche altro materiale piuttosto resistente. Nero, come al solito.
Cheryl smontò. Lo sguardo di Antoinette cadde immediatamente sulla frusta che teneva attaccata alla sua cintura. Era fatta di cuoio intrecciato, con diverse frange, ognuna delle quali terminava con un nodo. Antoinette si premette i palmi sulle cosce per fermarne il tremore.
«Xenia,» la salutò Cheryl. «Moglie,» aggiunse, rivolgendosi a Antoinette e cingendole la guancia con una mano, per sollevarle il viso.
Ad una distanza così breve da Cheryl, Antoinette si sentì un formicolio alle labbra. Le passò quasi per la testa... le venne voglia...
Il dito di Cheryl scese lungo la guancia di Antoinette, ma poi lasciò la presa e si allontanò.
«Antoinette, figlia di Zeus e Demetra, sei stata accusata di aver tentato di lasciare gli Inferi senza il mio permesso esplicito. Oggidì, io, Cheryl, impartirò personalmente la tua punizione, che consta di cento frustrate e di un periodo di esposizione, la cui durata sarà condizionata dalle tue azioni.»
Sentire Cheryl recitare la sua sentenza le riportò alla mente quel giorno nella sala del trono, quando la udì per la prima volta. Antoinette intrecciò le mani, affondandosi le unghie nei palmi. Non si sarebbe messa a supplicare. Non lo avrebbe fatto.
«Spogliati fino alla vita,» disse Cheryl.
Antoinette scansò Xenia con un gesto della mano e procedette per conto proprio. Sganciò le fibule, e la parte superiore del suo chitone le cadde fino
alla cintola. Poi si slacciò lo strofione e lo passò assieme alle fibule a Xenia, perché glieli conservasse. La sua cintura evitava che le cadesse il chitone, che ora sembrava una gonna con diversi strati.
«Faccia rivolta verso l'albero,» ordinò Cheryl.
Antoinette si avvicinò al salice. Aveva una corteccia grigia e marroncina, striata di muschio. Uno scarabeo si arrampicò sul tronco senza prestarle attenzione.
Xenia prese il polso sinistro di Antoinette e lo legò ad un ramo, prima di strattonare la cinghia di stoffa per assicurarsi che fosse ben salda. Poi fece lo stesso col polso destro. A braccia aperte, Antoinette si sentì come se stesse per prendere il volo. Una folata d'aria fredda sulla schiena nuda le fece venire un brivido.
«Xenia, per favore, conta per me,» disse Cheryl.
«Certamente, Vostra Maestà.»
Una cosa del genere non sarebbe mai accaduta in superficie. Demetra non lo avrebbe mai consentito e, fra l'altro, Antoinette non avrebbe mai potuto subire quel genere di punizione, se fosse stata coi piedi poggiati sul suolo di Gaia: avrebbe semplicemente affondato le dita nella terra ed avrebbe lasciato vagare la propria mente, divenendo non meno stoica e paziente del salice dinnanzi a lei. Ma quello non era il suo suolo, e quell'albero non conosceva il suo nome. Così, rimase in attesa, coi muscoli tremanti per lo sforzo di mantenere la stessa posizione.
La prima sferzata la colpì in mezzo alle scapole, lasciandole dei segni infuocati sulla schiena. Scattò in avanti e premette la fronte contro l'albero, auspicandosi che le desse il proprio supporto.
«Uno,» declamò Xenia.
Antoinette non ce l'avrebbe fatta a sopportarlo per cento volte: sarebbe impazzita.
Ma cosa passava per la testa di Cheryl?
Era la sua consorte, non un ladruncolo od un vandalo qualunque!
Non meritava...
La frusta schioccò di nuovo nell'aria, e le sue frange lasciarono il loro segno sulla schiena di Antoinette. Gridò, lieta che attorno a loro ci fosse tutto quel vuoto, e che certamente nessun altro l'avrebbe sentita.
«Due.»
La sua stessa pelle stava urlando. Era stata fustigata solo un'altra volta in passato, e non le aveva fatto male nemmeno la metà di adesso. Aveva incautamente dimenticato nei campi la sua lanterna, che aveva dato fuoco a metà del grano. All'epoca, la sua punizione era stata ben meritata, ed aveva imparato la lezione.
Ma quello?
Le appariva del tutto futile. Si impose di rilassarsi, di allentare la muscolatura contro il vigore delle
sferzate, ma non ci riuscì. Solo ascoltare il lieve fruscio della frusta la faceva tendere.
«Tre.»
Cominciarono a sgorgarle le lacrime lungo le guance. Ora il salice sopportava tutto il peso di Antoinette, che non riusciva più a tenersi dritta senza sostegno. Aveva i nervi a fior di pelle, ed aveva l'impressione che il bruciore sulla sua schiena l'avrebbe mandata in fiamme.
Avrebbe dovuto stringere quell'accordo con Crono, quali che fossero le conseguenze. Egli aveva un vero potere: sarebbe stato in grado di aiutarla nell'impresa in cui Teseo e Piritoo avevano fallito. Ammesso che egli si fosse dimostrato di parola. Sempre che lei avesse potuto fidarsi di lui. Se, se, se...
«Quattro.»
Antoinette urlò. Odiava Cheryl con tutte le sue forze, la detestava col medesimo ardore con cui Crono detestava Zeus. Chiunque sarebbe scappato, nella sua posizione.
Che diritto aveva Cheryl di strapparla via da casa sua, di negarle la terra e poi di punirla solo perché lei aveva provato a fuggire?
Non era giusto!
«Cinque.»
Non avrebbe dovuto scappare. Cheryl l'aveva allertata, e lei non le aveva prestato ascolto. Come non aveva dato retta a Demetra. Se avesse fatto la brava, se fosse rimasta in silenzio, in quel momento sarebbe stata ancora a casa, e tutto quello non sarebbe stato che un brutto sogno. Sua madre le avrebbe ancora voluto bene...
«Sei.»
«Vi prego, fermatevi!» gridò Antoinette, con le parole intrise di pianto e la voce spezzata. «Non ce la faccio. Vi prego.»
Si stava ancora disperando quando Cheryl le andò accanto e le posò una mano sulla guancia, facendola girare verso di lei. La sagoma di Cheryl sembrava scintillante attraverso le lacrime. Sbatté le palpebre per scacciarle via.
«Ce la farai, mia cara,» la rinfrancò Cheryl. «Tu sei più forte di così.»
Le diede un bacio al centro della fronte. La pressione delle sue labbra era più rovente che lenitiva.
Antoinette poggiò la guancia sul tronco del salice. Lo scarabeo se n'era andato già da un pezzo, aveva raggiunto altezze più elevate di quelle che lei riusciva a seguire con lo sguardo. Non si era mai sentita tanto sola in vita sua.
«Sette.»
Antoinette continuò a piangere, e non fece alcuno sforzo per frenare le sue lacrime, né le sue urla. Stava diventando sempre meno una persona, e sempre più un ammasso di dolore torrido e pulsante, una fiamma che si stava consumando da sola. Una goccia di liquido le colò nell'incavo della spina dorsale: sudore, o icore. Non ne era certa.
«Otto.»
«Vi prego,» singhiozzò in una litania. «Vi prego, vi prego, vi prego.»
«Nove.»
Per quel tempo chissà quante pene peggiori di quelle avevano già dovuto patire Teseo e Piritoo.
Come faceva ad essere giusto?
Cosa c'era di giusto in tutto quello?
La morte non era dunque una liberazione dalle sofferenze.
Era quello il ruolo che gli dèi dovevano svolgere?
Era quella la giustizia?
«Dieci.»
Ancora novanta. Non avrebbe retto. Avrebbe sicuramente perso i sensi. Se fosse stata mortale, avrebbe potuto rimetterci la vita.
Fra le lacrime e la congestione, stava diventando sempre più difficile respirare. Ingollò intere boccate d'aria, mentre affondava le unghie nella corteccia dell'albero. Della resina pallida ed appiccicosa le colò sulle dita.
«Undici.»
Smise di prestare ascolto a Xenia. Non voleva sapere. Non c'erano più un principio ed una fine, solo la vasta distesa di dolore, rovente ed implacabile. E lei non sapeva nuotare.
Le fitte alle braccia non erano nulla a paragone del fuoco sulla schiena, ma le formicolavano comunque le spalle per lo sforzo. I polsi grattavano contro la stoffa che la legava, le pulsava la testa e le veniva da vomitare.
Ad un certo punto, Cheryl fece una pausa. Xenia andò incontro a Antoinette con un panno fresco e glielo premette sulla fronte.
«Va tutto bene, cara,» la rassicurò Xenia. «Ve la state cavando bene.»
Ma lei non stava bene. Non sarebbe mai più stata bene. Antoinette sbirciò di lato, e vide che Cheryl si era agganciata la frusta in vita e stava distendendo le braccia, facendo ruotare le spalle per allentare la tensione. Antoinette sperava tanto che la frusta si sarebbe avviluppata su sé stessa ed avrebbe fustigato la sua proprietaria dritta in faccia.
Quando Xenia si riallontanò da lei, Antoinette capì che Cheryl si stava preparando a ricominciare.
«No,» mugugnò, stirando le dita. «Non andate...»
«Cinquantuno.»
Antoinette urlò alle cime degli alberi, a chiunque la potesse sentire. Doveva essersi lacerata la pelle, giacché delle gocce di icore sgocciolarono dalle estremità della frusta di Cheryl, cadendo sull'erba sottostante. Non era giusto.
Non era giusto!
Antoinette lasciò andar via ogni pensiero di vendetta, ogni fantasia di quello che avrebbe potuto fare a Cheryl. Cominciò a vedere prima rosso, poi tutto nero. C'era solo dolore, che veniva ad ondate, ed il prurito della pelle che provava a rimarginarsi fra un colpo e l'altro. L'icore caldo, umido ed appiccicoso le stava inzuppando il chitone. La sua voce suonava roca e disperata.
Non era più Antoinette, la dea della primavera: era solo sofferenza scolpita nelle fattezze di una donna.
Quando Cheryl finalmente si fermò, stavolta definitivamente, Antoinette era un ammasso informe di tremolio e di pulsazioni. Aveva i polsi tutti scorticati per via dell'attrito con le cinghie, e sulla sua guancia era rimasto impresso il segno della corteccia. Cheryl le si accostò.
«La prima parte della tua condanna è conclusa,» la informò.
Antoinette voltò la testa verso di lei, anche se il sudore e le lacrime le annebbiavano la visuale. Le faceva male anche solo il pensiero: riusciva a malapena a trovare la forza di respirare. Se fosse stata in grado di vedere, avrebbe colto lo sguardo vorace di Cheryl, quasi come se bramasse ancora qualcos'altro.
«Per la seconda parte della tua pena,» annunciò Cheryl, «rimarrai esposta agli elementi, fino a quando non sarai in grado di scioglierti dai tuoi vincoli o non sceglierò io di porre fine alla tua punizione.»
Ad Antoinette cadde la testa da un lato. Aveva la mente intorpidita ed inutile, la schiena era ancora una massa di pulsante agonia, lo spettro del dolore sembrava più esteso del suo stesso corpo.
«Mi darete degli strumenti per scappare?» biascicò all'ultimo.
«Li hai già,» rispose Cheryl. Poggiò due dita sotto il mento di Antoinette e le posò sulla fronte due labbra che fecero lo stesso effetto di un marchio. La mano della regina indugiò sui capelli di Antoinette. Poi tracciò con le dita il contorno della sua spalla, prima di sfiorarle la schiena.
Antoinette gemette, scostandosi via dal suo tocco. Cheryl si portò la mano alla bocca ed assaggiò il sapore della sofferenza di Antoinette, con gli occhi a mezz'asta.
C'era una minaccia in quel momento, ben più pericolosa del peso dell'autorità di Cheryl nella Sala del Giudizio. Antoinette incrociò lo sguardo di Cheryl e mantenne il contatto visivo. Gli occhi di Cheryl si addolcirono. Scostò una ciocca spettinata di capelli dal viso di Antoinette, e gliela infilò dietro l'orecchio. Antoinette premette la guancia contro il palmo di Cheryl.
«Hai un aspetto...» sussurrò Cheryl. Fece un respiro profondo, e deglutì. «Sei la perfezione.»
«Semmai aveste serbato dei sentimenti teneri nel vostro cuore, mi avreste risparmiato questo momento,» mormorò Antoinette, chiudendo gli occhi.
«Se ti avessi creduta impotente, lo avrei fatto. Ma tu hai la forza di volontà per venirne a capo.»
La mano di Cheryl scivolò via, lasciando Antoinette col solo ricordo del calore della sua pelle.
«Xenia resterà per un po' a tenerti compagnia,» la informò. «Soffri bene, cara Antoinette.»
Diede loro le spalle e tornò alla sua carrozza. Il veicolo partì di scatto, ed i cavalli si lanciarono ad un galoppo che condusse Cheryl molto, molto lontano.
Antoinette si lasciò uscire un sospiro. Le batteva troppo velocemente il cuore, le tremavano le mani.
Una volta che Cheryl se ne fu andata, subentrò Xenia, che teneva in mano una brocca con dell'acqua e delle garze pulite. Antoinette si era quasi dimenticata della sua presenza.
«Potrebbe bruciare,» la avvisò Xenia.
Cominciò a lavare le ferite di Antoinette. Bruciava, ma non era nulla a confronto di quello che aveva sopportato prima. Antoinette chiuse gli occhi e digrignò i denti.
Una volta che Xenia le ebbe delicatamente tamponato ed asciugato la schiena, le applicò un unguento sulle ferite e gliele fasciò. Le sfilò via il chitone umido e sporco di sangue, e gliene mise addosso uno pulito, drappeggiandolo morbidamente al di sopra delle fasciature. Imbevve un panno nell'ambrosia e lo accostò alla bocca di Antoinette. Antoinette lo succhiò avidamente, e quel liquido ebbe il potere di riscaldarla e di lenire il dolore. Riusciva a sentire perfino in quel momento la carne che le prudeva e che si stava già suturando sotto le bende. Con delle cure così solerti, era improbabile che le sarebbero rimaste delle cicatrici.
Mentre la sua schiena cominciava a rimarginarsi, Antoinette cominciò a catalogare il resto dei disagi del suo corpo. Le dolevano braccia e spalle, ed aveva un gran desiderio di sdraiarsi, o anche solo di sedersi. Aveva bisogno di grattare un punto sul lato del naso, ma non riusciva a raggiungerlo, neanche strofinando la faccia contro la corteccia del salice.
«Posso?» domandò Xenia.
Antoinette annuì, arrossendo in viso. Xenia le grattò gentilmente il naso, fino a che non fu Antoinette ad allontanare la testa. La donna l'aveva già veduta fare il bagno prima, eppure quello sembrava in qualche modo ancora più intimo.
«Quanto tempo ti tratterrai?» indagò Antoinette.
Xenia cominciò ad imballare le garze in avanzo. «Fino al calar della notte, almeno.»
Antoinette alzò lo sguardo, ma non riuscì a vedere chissà qualche porzione di cielo, attraverso le fronde del salice. Erano partite dal palazzo al mattino presto, e non doveva essere passata più di un'ora.
«Per quanto ha intenzione di lasciarmi in questo stato?» chiese.
«Non so davvero dirvelo, padrona. Questa non è una punizione a cui ho già assistito in passato.»
Antoinette strattonò inutilmente i lembi di stoffa che le vincolavano i polsi all'albero. Non fece che irritare la pelle già infiammata sulle braccia. Guardò Xenia versarsi dell'acqua sulle mani per lavarle.
«Potresti liberarmi,» tentò. «Cheryl se n'è andata. Non lo verrebbe a sapere mai nessuno.»
Xenia si strizzò via l'acqua dalle mani.
«Lo sapremmo voi ed io, e poi lo saprebbe la nostra regina. Mi dispiace, padrona. Non posso.»
Antoinette si accasciò contro l'albero e si soffiò via una ciocca di capelli dal viso.
«E va bene, allora. Se debbo soffrire, non mi va di annoiarmi. Raccontami una storia.»
«Quale storia vi andrebbe di sentire?»
«Qualcosa di vero. Raccontami dei tuoi figli. Avevi dei figli, giusto?»
Sul viso di Xenia comparve un sorriso.
«Oh, sì. Quattro figli e ventuno nipoti. Dopo di che ho smesso di contarli.»
«Quante altre generazioni?»
Xenia arrossì.
«Sono quasi due secoli che sono morta.»
Antoinette sbatté le palpebre. Suppose che la vita ultraterrena fosse una specie di immortalità, a modo suo, dove il tempo perdeva di significato.
«Li vedi ancora?»
Xenia annuì.
«Vado a fargli visita di tanto in tanto, durante il mio giorno libero.»
Nemmeno con la morte ci si risparmiava dalle incombenze familiari.
«Dovrai sentire la loro mancanza il resto del tempo. Cos'hai combinato per meritarti la punizione di dover servire me?»
«Punizione?» Xenia si drizzò appena sulla schiena. «Ho dovuto concorrere con centinaia di altre donne, alcune di natali molto più nobili dei miei, per questa posizione.»
«Perché?»
Xenia lasciò che il silenzio perdurasse così a lungo che Antoinette si convinse di aver capito male. Invece, dopo un po', Xenia commentò a voce bassa: «Perdonatemi se ve lo dico, ma non potete permettervi di essere così ingenua. Gli Inferi non sono mai stati e mai saranno una democrazia. L'Ospite dei Molti è la padrona dell'oltretomba, e voi godete della sua fiducia.»
Antoinette non era sicura che avrebbe perdonato Xenia.
«Io non sono mai riuscita a farle cambiare idea.»
«Forse non ancora. Ma, col tempo, vi darà ascolto.»
Antoinette non riuscì nemmeno a figurarsi il momento in cui sarebbe potuto accadere, ma Cheryl le era sembrata lo stesso mossa a pietà dalle sue suppliche. E, per quanto si fosse crogiolata nella sofferenza di Antoinette quella mattina, aveva anche tenuto a freno qualunque suo altro desiderio e se n'era andata via.
«Col tempo? Intendi un anno, o un secolo?»
«Il cambiamento può giungere ancora più rapido. Potrà anche apparire una persona crudele, ma è solo il suo dovere. Magari potreste aiutarla a vedere le cose sotto un'altra luce.»
E magari Zeus avrebbe potuto diventare casto.
Dopo di che, passarono ad argomenti più leggeri, come i racconti d'infanzia di Xenia, o la sua esperienza di giovane madre. Antoinette si rese conto che non aveva mai intrattenuto una conversazione così lunga con un mortale prima di quel momento. Le loro vite erano piene come quelle degli dèi, per quanto fugaci.
Xenia le somministrava di tanto in tanto altra ambrosia, e le spalmava un unguento sulle labbra screpolate. Cionondimeno, per quanto Antoinette la supplicasse, si rifiutava di liberarla.
«La notte prospera sopra le nostre teste. Debbo lasciarvi,» annunciò Xenia.
Antoinette si era abituata a sentire il suono della sua voce durante le ore appena trascorse.
«Verrà qualcun altro?»
«Non ne sono stata informata. Mi dispiace.»
«Ed io che dovrei fare?»
Xenia esitò. Nel crepuscolo imminente, la sua ombra si distendeva lunga sul terreno.
«La regina Cheryl non mente,» la rassicurò. «Se lei è persuasa che voi siate in grado di liberarvi, dovreste fare tutto ciò che è in vostro potere per compiere un tentativo.»
«Cheryl non vuole davvero che io ci riesca.»
«Per lei è un'esigenza.»
Antoinette la guardò e si accigliò.
Che ne poteva sapere Xenia?
La donna si mordicchiò il labbro, come se desiderasse dire qualcosa in più.
«Mi dispiace, padrona. Vi auguro buona fortuna.»Salì sulla biga e, poco dopo, se ne andò anche lei. Antoinette fu lasciata sola coi suoi pensieri, che non le andavano particolarmente a genio.
«Non ho idea di cosa tu voglia farmi fare,» disse a sé stessa. Aveva un disperato bisogno di grattarsi nuovamente il naso, ma Cherylsso non c'era nessuno a cui chiedere.
Si rammaricò che Xenia non le avesse almeno lasciato una luce. Con la notte erano giunte le tenebre, che avevano risvegliato i suoi timori ancestrali. Una raffica di vento sollevò l'orlo del suo chitone, e lei rabbrividì. Non avrebbe potuto prendere sonno in quelle condizioni. Aveva il corpo troppo indolenzito, le bruciavano le braccia, per il bisogno di essere allentate, e le pizzicavano le piante dei piedi, come se stesse in piedi su uno stuolo di aghi. Non c'era comodità in quel posto, nessuna morbidezza. Troppo tardi, sentì la nostalgia del suo letto caldo nel palazzo di Cheryl, della carezza delle sue coperte di pelliccia, del fruscio immacolato delle sue lenzuola.
Qualcosa le sgusciò accanto al piede, invisibile nell'oscurità. Sollevò le dita dei piedi ed urlò, cominciando a dare calci alla cieca. Non trovò nulla. Il cuore le martellava nel petto. Appoggiò la fronte all'albero e gemette. Avrebbe voluto essere in qualunque altro posto, fuorché lì. Se fosse riuscita a liberarsi, tutta quella storia sarebbe finita. Non poteva fare affidamento sulla pietà di Cheryl.
Ma cosa avrebbe potuto fare?
Fece correre le dita lungo i rami dell'albero, più lontano possibile, senza dover spostare i polsi. Il salice era stato piantato in quel punto molto tempo prima, ed aveva dimenticato il tocco del sole. Aveva delle caratteristiche a lei sconosciute, ed un'essenza impenetrabile.
Antoinette diede una testata contro il tronco per la frustrazione. La corteccia ruvida le escoriò la pelle, facendole colare un rivolo di icore dorato lungo il viso. Fece una smorfia per le fitte lancinanti che le percorsero la testa. Agitò i piedi, scalciando via i sandali che Xenia aveva così premurosamente scelto per lei quella stessa mattina. Ora che era a piedi nudi, infilò le dita nel terreno.
Era un terreno argilloso, con una scarsa concentrazione di fosforo. Forse era troppo partire con l'albero. Chiuse gli occhi e si mise alla ricerca di un qualunque segno di attività nel suolo. Cresceva dell'erba nei paraggi. Si sforzò, per diversi minuti, di riconoscerne le caratteristiche salienti, mentre la volta notturna sembrava divenire ancora più oscura. Il dolore le spezzava la concentrazione: dovette focalizzarsi daccapo sul terreno più di una volta, circoscrivendo i propri pensieri, finché non riuscì a canalizzarli. Erba. L'erba avrebbe dovuto essere semplice e copiosa: la sua frustrazione offuscò i suoi pensieri e glieli fece spezzare, proprio come se fosse stato reciso un filo.
Antoinette appoggiò la testa contro il salice e singhiozzò. Si sentiva la gola secca e ruvida ad ogni respiro. Il suo fallimento, per certi versi, era anche più doloroso di quanto fossero state le frustate.
Eppure, in assenza di un esito alternativo in vista, perseverò. Ormai le si erano addormentate tutte le estremità del corpo quando lo percepì... qualcosa... un sussurro che avrebbe potuto essere tutto, o niente. Si sforzò di sentire meglio. Gradualmente, i sibili dei fili d'erba empirono la sua coscienza... e lei riuscì a cogliere le loro variegate proteste, il loro
chiacchiericcio assonnato. I cavalli erano giunti inattesi: era passato un bel po' di tempo dall'ultima volta che avevano brucato in quel punto.
Nell'ascoltarli, le venne da sorridere.
Non era sola, dunque: non avrebbe mai potuto essere sola, non quando fosse stata in grado di lambire il terreno vivente.
Dunque, erano fili d'erba viventi? O
soltanto i loro fantasmi?
In ogni caso, le piante non conoscevano la differenza. Antoinette si staccò da loro e raggiunse l'oggetto più prossimo, di dimensioni maggiori.
In mezzo all'erba erano disseminate delle margherite occhio di bue, con degli involucri rinsecchiti. Sarebbe presto giunto il tempo del raccolto, in superficie, e forse sarebbe stato lo stesso lì, se gli Inferi avessero seguito il medesimo ciclo stagionale.
Non potendo muovere le mani, si figurò coi palmi distesi, ad evocare lo spirito della primavera nel terreno. Non fu sicura che avesse prodotto un qualche effetto finché una pianta non le sfiorò un lato del piede con una corolla bianca di petali.
Oh!
Se fosse stata in condizioni, si sarebbe chinata per raccoglierlo. Su di giri per l'euforia, le venne all'improvviso voglia di toccare di più: tutte le cose viventi che crescevano laggiù, i cipressi e le felci, i papaveri e i fichi. Per tutto quel tempo non aveva fatto che tentare di piegare il terreno al suo volere.
E invece non avrebbe dovuto far altro che ascoltare?
Posò di nuovo la fronte contro il tronco del salice. Era stato una piccola piantina prima ancora che Antoinette nascesse, un arboscello quando lei stava appena imparando a camminare. I pensieri del salice cambiavano lentamente, e non riconobbe Antoinette.
«Ti prego,» sussurrò lei, stendendo le dita sui suoi rami. «Ti prego, aiutami.»
Le foglie frusciarono nel vento. L'albero non capì la sua supplica. Comprendeva soltanto che lei era alla sua ombra, al di sotto del proprio fogliame.
Svettava da molti anni al di sopra del nero palazzo all'orizzonte. Attraverso la terra, aveva percepito i passi dei defunti inquieti che marciavano, a due a due, compiendo il proprio pellegrinaggio verso il fiume Lete, per berne l'acqua.
Antoinette riuscì a sentire l'intreccio delle radici che si protendevano verso il vuoto sotto di lei, con le loro radichette biancastre in cerca di idratazione. La sua morsa nel terreno era assoluta. Non poteva essere spostato.
C'era qualcos'altro che cresceva da quelle parti, accanto alla base dell'albero. Antoinette si pietrificò e spalancò gli occhi per lo sgomento.
«No. Non posso,» si disse.
Riusciva ad avvertire il vento che faceva tremare le foglie del salice, l'acqua che nutriva le sue radici. Era un albero meraviglioso, e vecchio, e lei non aveva alcun diritto.
D'altro canto, lei non aveva ricevuto istruzioni. Le era soltanto stato detto che se ne sarebbe potuta andare contando sulle sue sole forze. Quello era un permesso più che sufficiente. Eppure...
Antoinette richiuse gli occhi e si concentrò. Non sul salice stavolta, ma sulle spore che vivevano all'interno della sua corteccia ed attorno alla base del tronco.
Avrebbe potuto fare davvero una cosa del genere? No. Sì. Cheryl aveva forzato la mano. Era ora che la sua punizione volgesse al termine. Per molto tempo non parve accadere nulla.
I rami degli alberi scricchiolavano nel vento. E poi, sulle foglie, comparvero delle macchioline di ruggine, che presero a diffondersi e a trasformare le giovani escrescenze verdi in fronde secche e friabili. Le foglie cominciarono a pioverle attorno, creando uno spesso strato di rifiuti nerastri e malaticci.
Alla luce fioca del cielo notturno, Antoinette riuscì a malapena a scorgere delle protuberanze scure che spuntarono dalla corteccia, come dei minuscoli appigli per gli insetti.
L'albero tremò, e Antoinette pianse per lui. Non interruppe la propria connessione con il salice. Le sembrò il minimo che potesse fare per l'albero, assistere quantomeno alla sua ultima ora. Si avviò un processo di decomposizione che, dal durame, si estese per tutto il tronco, poi sino alle estremità. Spuntarono nuovi funghi sulla sua corteccia, come dei noduli su un lebbroso, che divorarono l'albero dall'interno.
Ai funghi ci volle molto tempo per svuotare interamente l'albero. Antoinette sentì l'ultima esalazione del salice come un mesto vagito, lungo e trascinato, e lei tornò in sé di soprassalto, col volto madido di lacrime. Strattonò le cinghie di stoffa. I rami erano fragili, ora che erano svuotati da dentro, ma non si spezzarono lo stesso con facilità. Le ci vollero diversi tentativi. Tirò finché non credette che si sarebbero fratturati per primi i suoi polsi, ma ad un certo punto divelse il primo ramo dal tronco.
Il peso le trascinò giù la mano. Lei si aggrappò al ramo come meglio poteva, stringendovi attorno le dita, col polso ancora legato, e sbatté il legno contro la corteccia, finché non si scheggiò e si spaccò del tutto. Una volta che lo ebbe distrutto, non fu difficile tirar via la manetta di stoffa lungo i rottami del ramo e liberarsi la mano.
Ripeté lo stesso gesto con la mano sinistra, ora anche col supporto della destra, e ben presto fu completamente libera. Si sfilò da sopra le dita anche l'ultimo, detestabile pezzo di stoffa e lo scagliò via, prima di crollare sulle ginocchia per lo sfinimento più totale.
Affondò in uno spesso strato di foglie marce che ricoprivano il terreno. Antoinette non si era mai ritenuta una persona malvagia, e seppe da subito che quella morte – o distruzione, qualunque cosa fosse – l'avrebbe tormentata per molto tempo.
Non seppe dire per quanto tempo rimase lì, col capo chino, a lutto. Quando rialzò lo sguardo, si ritrovò davanti l'alba, che stava inondando il mondo con la sua pallida luce grigiastra.
Il manto sudicio di foglie era svanito, corroso dalla terra. Tutto attorno a lei era germogliato un vivace mucchietto di fiori: crochi, viole, rose, esemplari di delfinio, iris, narcisi, che stavano tutti fiorendo fuori stagione, in un tripudio di colori.
Antoinette si rialzò in piedi, instabile, come un puledro appena nato. Fece un passetto avanti. In ogni punto in cui i suoi piedi nudi toccavano il terreno, germogliavano nuovi fiori, spuntando dal suolo.
«Fermatevi!» esclamò lei. «Basta.»
Fece un altro passo, ma i fiori continuarono a seguirla: orchidee, fiori di elleboro, aconiti ed asfodeli. Antoinette si mise a correre, e dei boccioli delicati si schiusero sulla sua scia. C'era un padiglione aperto ai lati, in fondo alla collina, che affacciava su un fiumiciattolo.
Antoinette sentì la presenza di Cheryl prim'ancora di vederla. La sua sagoma deformava il paesaggio dalla distanza, simile ad una bollicina che stesse galleggiando in un bicchiere. Non si era dimenticata della lunga lista di sofferenze che aveva patito per volere di Cheryl, ma non riuscì a far affidamento sul proprio orgoglio. Il vigore le fuoriuscì da ogni singolo poro: aveva bisogno di aiuto, anche se fosse arrivato da Cheryl. Si sentiva come un canale non più in grado di contenere l'afflusso di energia che minacciava di esplodere da dentro di lei. Avvertiva la pelle incandescente, tirata e pronta a spaccarsi. Rallentò a malapena quando entrò nel padiglione, con un manto di violette al seguito, sul pavimento. Antoinette si appoggiò alla colonna più vicina per sorreggersi, e vi si dovette aggrappare, quando dei tralci le si avvinghiarono alle caviglie e si intrecciarono attorno alla colonna, nel tentativo di starle più vicini possibile.
«Antoinette,» esordì Cheryl, allungandosi verso di lei. Un'esplosione di energia divampò in Antoinette, che inciampò e dovette protendere entrambe le mani per reggersi. Cadde in ginocchio ed affondò le dita nel terreno, ma le ritrasse non appena una fila di giacinti fiorì sotto i suoi palmi. Cheryl si accovacciò davanti a lei e prese le mani di Antoinette nelle proprie. «Devi respirare.»
«Fateli fermare, vi prego, fate fermare tutto questo. Riesco a sentirli nella mia testa,» mugugnò Antoinette, scavando con le unghie nei palmi di Cheryl.
«Cosa riesci a sentire?»
«Tutti loro,» sussurrò Antoinette. Ogni albero, ogni cespuglio, ogni singolo filo d'erba sulla riva del fiume. Era come se tutta la vegetazione dell'oltretomba si fosse risvegliata in sua presenza e si stesse palesando a lei. Antoinette si sentì come se le loro voci l'avessero infiammata, come se i loro canti fossero troppi perché lei potesse contenerli.
Cheryl ritrasse dolcemente le mani, prima di poggiarle sulle spalle di Antoinette.
«Respira con me,» la esortò. «Inspira,» recitò, e fece una pausa. «Espira.»
Antoinette chiuse gli occhi e fece come le veniva detto, concentrandosi sul suono della voce di Cheryl per smorzare tutte le altre. Pianse per lo sforzo, affondando le unghie nelle sue cosce, con vigore sufficiente a lasciarvi delle mezzelune impresse.
«Non ci riesco,» ansimò. «Io...»
«Continua.»
Cheryl contò a voce alta fra un respiro e l'altro, facendo delle pause sempre più lunghe, al punto che ad Antoinette cominciò a girare la testa per l'assenza di ossigeno. Qualcosa le sfiorò la guancia, e Antoinette aprì gli occhi e si lasciò sfuggire un grido strozzato. Era solo una vite, che si stava allungando verso le colonne più lontane del gazebo.
«Ecco,» disse Cheryl. «Si sono fermate?»
Antoinette rivolse la propria mente verso l'interno, poi annuì, troppo fiacca per parlare.
«Sono fiera di te,» commentò Cheryl.
Antoinette si alzò in piedi troppo alla svelta e barcollò. Cheryl la abbrancò e la mise seduta su una panchina, prima di accomodarsi accanto a lei. Antoinette era troppo stremata per badare alla loro vicinanza, ai loro fianchi che quasi si sfioravano.
Cheryl era il suo magnete, la attraeva e la respingeva allo stesso tempo.
Quando Antoinette aveva lasciato la cima della collina, con la testa gremita di fantasmi, il suo primo impulso era stato quello di correre da Cheryl. Ma, ora che era lì, Antoinette non riusciva a tollerare il pensiero di respirare la sua stessa aria.
Per un po', rimasero sedute in un silenzio interrotto solo dal docile gorgoglio del fiumiciattolo che gli scorreva accanto. Le passò per la mente un altro pensiero. Si voltò per guardare Cheryl.
«Non me l'avevate mai detto prima.»
Cheryl incrociò il suo sguardo.
«Le lodi si cantano quando sono meritate.»
Antoinette guardò altrove. Delle parole, pronunciate con tanta leggerezza, non avevano alcun valore. Eppure, arrossì lo stesso in volto.
«Avete uno strano modo di dimostrarlo.»
«I nostri non sono modi gentili. Ma, del resto, non lo sono nemmeno la vita e la morte.»
Era Cheryl a non essere gentile.
«Sapevate già come sarebbe andata, quando mi avete legata lassù?« le domandò Antoinette.
«Non esattamente. Ma avevo dei sospetti.»
Quello, Antoinette, lo aveva intuito.
«E se non fossi riuscita a liberarmi? Che avreste fatto?»
«Xenia sarebbe venuta ad aiutarti, alla fine.»
«Alla fine?» Ad Antoinette tremò la voce. «Per quanto tempo avevate intenzione di lasciarmi lì?»
Cheryl premette le labbra.
«Confidavo che avresti trovato da sola il modo.»
«Ma avrei potuto restare lì per giorni!»
«No,» ribatté Cheryl con fermezza. «Qualunque sia il tuo pensiero, qualunque cosa possa averti detto Demetra, tu sei destinata a grandi cose. I tuoi doni sono unici e possono essere branditi come una spada – nel bene e nel male. Devi solo imparare a controllarli.»
Antoinette avrebbe voluto crederle, ma non ci riusciva. Il modo in cui Cheryl parlava di lei, come se lei fosse una specie di... come una dea, e non una
sciocca che stava sempre in mezzo ai piedi. Quella descrizione si adattava ad Atena, ad Artemide... non a lei.
Si premette una mano sul petto. Sui suoi polsi c'erano ancora dei segni, che però stavano già svanendo.
«Io ho toccato... ho ucciso...» le si chiuse la gola per via delle lacrime. Credeva di averle versate tutte, eppure eccole lì, che continuavano a sgorgare.
Cheryl guardò in direzione della cima della collina.
«Non esattamente. Un'ombra non può morire due volte.»
«Ma allora io... cosa... ho distrutto la sua anima?»domandò Antoinette, inorridita.
«Gli alberi hanno un'anima?»
«Non lo sapete?»
Cheryl socchiuse gli occhi.
«Cosa vorresti sentirti dire? Hai rotto qualcosa, sì. Ma quello che hai trovato è valso il prezzo pagato.»
Antoinette alzò lo sguardo verso il tetto di legno del padiglione. I viticci stavano continuando ad arrampicarsi sulla struttura, tappezzando ogni angolo di verde. Allungò una mano.
«Fermati,» ingiunse.
La pianta smise di salire, ma continuò a maturare, rivelando delle ombrelle di varie tonalità sul verde e sul giallo.
«Che meraviglia!» sibilò Cheryl.
Antoinette le lanciò un'occhiata e notò che Cheryl stava fissando lei, non le foglie. In un'altra circostanza, avrebbe distolto lo sguardo, ma ora mantenne il contatto visivo.
Le labbra di Cheryl erano dello stesso carminio dei semi del melograno. Sembrava passato tanto di quel tempo dall'ultima volta che aveva sentito quelle labbra sulle sue.
«Per piacere, riportatemi al palazzo,» mormorò Antoinette.
«Ho bisogno di riposo dopo il mio calvario.»
Cheryl fu la prima a spostare lo sguardo. «Certamente.»
Si alzò in piedi, e le tese la mano come forma di cortesia. Antoinette gliela afferrò, ed intrecciò
brevemente le dita con quelle di Cheryl, prima di lasciarla andare.
Nella biga, si appoggiò alla ringhiera laterale, mettendo quanta più distanza possibile fra sé e Cheryl. La regina non disse nulla, ma le sue spalle sembravano rigide, e la presa sulle redini eccessivamente salda.
Antoinette flesse le dita, strinse i pugni e poi li allentò. Non avrebbe dato adito a Cheryl di punirla una seconda volta: era stufa di sentirsi umiliata,
spaventata, tormentata. Cheryl non le avrebbe mai più messo una mano addosso.
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Prigioniera Degli Inferi - Choni
FanfictionConosciamo tutti la storia... Ade rapisce Persefone, figlia di Demetra, e la conduce di forza con sé negli Inferi, per.... ecc. Ma vi siete mai chiesti come la storia sarebbe andata...se... SE il dio degli Inferi fosse stata in realtà una DEA bellis...