Nei giorni successivi, Antoinette allestì un salone per ricevere i doni nuziali nella maniera più appropriata. Per quanto le mancasse l'esuberanza che ci si sarebbe aspettati da una sposa novella, si prese la briga di non comportarsi più come la creatura imbronciata che era stata durante il banchetto nuziale. Non aveva intenzione di offendere dei potenziali alleati più di quanto non avesse già fatto. Cheryl aveva messo in chiaro che lei non rispondeva a nessuno: Antoinette non avrebbe mai considerato i sudditi di Cheryl responsabili delle azioni della loro regina.
Pur non facendo salti di gioia, Antoinette aveva cominciato ad abituarsi alle attenzioni di Cheryl, per quanto continuasse a ripetersi che le odiava.
Cheryl era una perenne contraddizione: sguardo gelido e mani bollenti, cuore di pietra e parole tenere.
Quindi, probabilmente non c'era da stupirsi che Antoinette avesse cominciato a temere e bramare allo stesso tempo la notte, il momento in cui il tocco di Cheryl le mandava il corpo in fiamme.
Le mattinate erano più gestibili, visto che solitamente si risvegliava da sola, con l'altro lato del letto che, nel frattempo, era diventato freddo. Ma, a distanza di qualche settimana dall'inizio della sua cattività, rimase di stucco quando si trovò al suo risveglio Cheryl, seduta alla sua scrivania, coi capelli intrecciati ed arrotolati, intenta a scarabocchiare furiosamente.
Antoinette si tirò le lenzuola fin sopra al petto, e rimase ad osservare la luce che giocava sui muscoli del collo della regina. Prima che facesse in tempo a sdraiarsi nuovamente per fingere di essere ancora addormentata, Cheryl si voltò.
«Sei sveglia. Bene.»
Senza togliere gli occhi di dosso ad Antoinette, Cheryl prese a picchiettarsi la punta del pennino sulle labbra. Un boccolo vagabondo le era sfuggito dalla treccia, e le si era posato sulla guancia, incorniciandole un lato del viso.
«Hai dormito bene?»
Antoinette annuì. Per il disagio, cambiò posizione sotto le coperte, conscia della propria nudità.
«Ti ho lasciato una lista di incombenze da sbrigare in giornata. Ti rimarrà del tempo libero nel pomeriggio per fare ciò che più ti aggrada, ma solo a patto che tu abbia portato a termine tutti i compiti che ti ho assegnato.»
Cheryl lanciò una piccola tavoletta ricoperta di cera ad Antoinette.
Lei la afferrò al volo, ben attenta a tenerla dai bordi, per evitare di lasciare le proprie impronte sulle incisioni nella cera. Quello, almeno, lo sapeva fare.
«So che suona tedioso,» commentò Cheryl, incamminandosi verso il vestibolo. Si gettò una clamide sulle spalle, prima di assicurarsela sui fianchi. «Ma sono cose che, prima o poi, dovrai apprendere, e preferirei che lo facessi più prima che poi.»
Antoinette avrebbe dovuto dire qualcosa?
Si sentì come se un pugno invisibile le stesse strizzando il cuore.
«Cheryl...»
«Che c'è, piccola mia? So che l'ora è più tarda dell'ideale. Ma penso di poter essere perdonata, viste le circostanze.»
«Cheryl, io... io non so leggere.»
Cheryl, che si stava sistemando i capelli, si paralizzò e si voltò per guardare Antoinette in faccia. La sua espressione di puro sgomento, in altre circostanze, avrebbe potuto risultare quasi comica.
«Perché no?»
Che razza di domanda era quella?
«Suppongo... di non aver mai imparato.»
«Ma allora come hai fatto ad aiutare Demetra a prevedere i raccolti e a tener traccia delle coltivazioni in ogni campo?»
«So fare di conto,» ribatté Antoinette, rossa in viso. La sua ignoranza non era sacrilega, a differenza della sua mancanza di pietà filiale.
Quand'era stata l'ultima volta che aveva rivolto un pensiero a sua madre?
Di sicuro, oramai, doveva essersi pentita delle sue parole brusche e delle frasi ancora più crude che aveva pronunciato.
Almeno si era accorta dell'assenza di Antoinette?
Si sarebbe messa a cercarla?
«Per quanto sia, tua madre ti ha fatto un gran disservizio.»
Cheryl lanciò un'occhiata alla tavoletta posata sulle coperte.
«No, è semplicemente inaccettabile.»
Si mordicchiò il labbro inferiore.
«Io avevo sperato... non importa. Ti troverò un tutore che valuti la tua preparazione scolastica – o la sua mancanza – e ci muoveremo da lì.»
Antoinette suppose che avrebbe potuto essere un bene. Un tutore sarebbe stato più facile da eludere, a differenza di Xenia, che le stava col fiato sul collo, o di Cheryl, che...
«Farò del mio meglio.»
«Non ne dubito.» Cheryl le poggiò una mano sulla guancia e le diede un bacio. «Ora debbo davvero andare.»
Una volta che Cheryl se ne fu andata, Antoinette scivolò fuori dal letto ed utilizzò la sala da bagno della regina, prima di vestirsi.
Con un tempismo perfetto, un'inserviente bussò alla porta, portandole la colazione in camera. Dopo che l'ebbe consumata, la stessa ancella l'aiutò ad acconciarsi i capelli, impreziosendoli con una fascia ricurva di metallo.
«Dov'è Xenia?»domandò Antoinette.
«È il suo giorno libero del mese, padrona.»
Antoinette si morse il labbro per nascondere un sorriso. Xenia era via, e Cheryl era indaffarata. Forse la fortuna stava finalmente cominciando a girare dalla sua parte.
«Siete pronta per andare in biblioteca?» domandò la ragazza. «Il vostro insegnante vi starà aspettando.»
Cheryl le aveva trovato un tutore così alla svelta? Una parte della sua letizia evaporò.
«Sì, suppongo di sì.»
Quando la ragazza aveva detto la parola "biblioteca", Antoinette si era figurata una stanza non più grande di un cortile. Ma quella che loro definivano una biblioteca avrebbe potuto ospitare non meno di venti famiglie. Ogni singola parete era tappezzata di scaffali inzeppati di pergamene, ed altre rastrelliere erano disposte in lunghe file in giro per l'ambiente, a perdita d'occhio. In mezzo, fra una scaffalatura e l'altra, si trovavano tavoli da scrittura, salottini e zone adibite alla lettura.
Siccome c'era poca luce naturale di cui beneficiare, l'area era illuminata artificialmente – non con torce o candele, ma con puntini che baluginavano come delle lucciole racchiuse in contenitori di vetro. La stanza profumava di papiro e di nerofumo.
«Mi avete archiviato accanto a Stratone? Quello scribacchino! Io esigo che le mie opere vengano spostate in un punto più fruibile!»
Un ometto basso e leggermente tarchiato stava tormentando un ragazzo col volto brufoloso. Il giovanotto teneva svariati rotoli di pergamena sotto il braccio, e stava facendo del suo meglio per tenere il carico in equilibrio, mentre arretrava quasi impercettibilmente.
Se fosse stato quel ragazzino a doverle fare da tutore, Antoinette pensò che non avrebbe fatto fatica ad intimorirlo, spingendolo ad eseguire i suoi ordini. Ma non doveva essere così fortunata.
L'ometto si voltò e la vide. Aveva una folta barba nera e due occhi infossati, incorniciati da sopracciglia così spesse che le fecero venire in mente i bruchi che avrebbe trovato sulle ortiche.
«Ah, la donna del momento!» esclamò, non senza una certa acredine. «Sedete! Non ho tutto il giorno.»
Il ragazzo si dileguò coi suoi rotoli in mano. Anche la domestica di Antoinette si voltò per andarsene, ma l'uomo le fece cenno con la mano.
«Vino e cibo, fanciulla. E datti una mossa! L'insegnamento è una faccenda che mette sete!» L'uomo sprofondò su una sedia di fronte ad Antoinette, dall'altro lato del tavolo.
«Allora, è passato molto tempo dall'ultima volta che ho insegnato. Potrei essere un po' arrugginito.»
Tirò fuori, da un cassetto sotto il tavolo, una tavoletta di cera e vi grattò sopra col suo pennino. Poi la mostrò a Antoinette.
«Almeno conoscete il vostro alfabeto, ragazza?»
Antoinette si pietrificò.
L'uomo parve riconoscere il proprio sbaglio, poiché tirò fuori una risatina autoironica.
«Per favore, perdonate le mie maniere. Non ho nulla contro di voi, padrona. È solo che è troppo tempo che sono quaggiù.»
«Ed io come dovrei chiamarvi?» gli domandò lei.
«Ma come, non mi riconoscete?»
Antoinette non capì se egli si stesse solo fingendo offeso, o se fosse sinceramente deluso dalla sua ignoranza. «Magari mi avrete sentito nominare. Stéfano, commediografo, poeta. Tre volte vincitore delle Lenee.»
«Scusatemi. Io non partecipo alle feste.»
Non per mancanza di desiderio: Demetra non glielo aveva mai permesso.
«Non ci siete mai stata? Beh, se fosse per me, dovremmo cominciare con un po' di teatro. Non c'è nulla di più rinfrancante di una meritata risata. Ma è la regina Cheryl a fissare le regole, e...» poggiò lo sguardo sulla sua tavoletta, «è stata molto minuziosa.»
Arrivarono cibo e vino. Stéfano parlò mentre mangiava, cosa che Antoinette trovò ripugnante, ma non aveva intenzione di inimicarselo, facendoglielo notare. In verità, trovare un mortale che non si sentisse in soggezione davanti a lei era un sollievo, in un certo qual modo. Anche se non smetteva di augurarsi, per il bene di quell'uomo, che egli migliorasse le proprie maniere, se e quando si fosse trovato ad interagire con Cheryl.
Antoinette passò le successive ore a lavorare sull'alfabeto e sui suoni ad esso associati, dividendo le vocali dalle consonanti. Ricopiò le lettere sulla tavoletta di cera, fino a farsi venire male alla mano.
Dopo un po' di tempo, il cibo era finito, ed il vino si era seccato. La serva sedeva in silenzio in un angolo, col capo chino fin quasi a sfiorarsi il petto.
«Suvvia,» esordì Antoinette, prendendo il vassoio vuoto del cibo e la brocca del vino. «Lasciate che vi vada a rimediare qualche altro stuzzichino.»
Tenne lo sguardo basso, non volendo apparire troppo entusiasta, ma Stéfano si limitò a grugnire in risposta, senza alzare gli occhi dal rotolo che stava leggendo con attenzione.
Lei si avviò verso la cucina più vicina, tenendo la brocca lungo il fianco ed il vassoio in bilico, appoggiato su un fianco. Stava svoltando dietro un angolo del corridoio, quando qualcuno la abbrancò, coprendole la bocca con una mano.
«Sono un amico,» sussurrò un uomo. «Non allarmatevi.»
Ad Antoinette tremavano le mani, ma riuscì in qualche modo a mantenere la presa sul vassoio e sulla brocca. Avvertì i muscoli solidi e caldi del petto dell'uomo dietro la sua schiena.
Un uomo vivente, negli Inferi?
Oh, a Cheryl non avrebbe fatto piacere.
Sbatté lentamente le palpebre, e l'uomo la lasciò andare.
«Non sei morto,» commentò, facendo due passi indietro e stringendosi al petto il vassoio di servizio e la brocca del vino.
«Mi chiamo Ismaros,» disse l'uomo. «Sono venuto a salvarvi.»
«Ti ha mandato mia madre?»
Ismaros corrugò la fronte.
«Sente terribilmente la vostra mancanza.»Quell'uomo doveva essere in gamba, per essere riuscito ad eludere le guardie fino a quel punto, ma per quanto tempo avrebbe potuto durare?
Indossava una tipica uniforme da inserviente, che gli cadeva malissimo addosso. Ismaros aveva la muscolatura di un fabbro, ma il portamento di un re. Chiunque l'avesse osservato un po' troppo da vicino avrebbe sicuramente sospettato che ci fosse qualcosa che non tornava.
Ma, d'altro canto, quali altre scelte aveva Antoinette a disposizione?
«Ti ha inviato lei?» ripeté Antoinette.
Si guardò attorno per controllare che non ci fosse nessuno nei paraggi. I corridoi erano deserti.
«Sì, ovvio, è stata lei a mandarmi,» bofonchiò Ismaros, con un tono impaziente.
«Verrete da me domattina, all'alba? È prevista a quell'ora la partenza del prossimo carro diretto in superficie, per far scorta di vivande per la vostra tavola.»
Era sensato che avessero approntato un qualche sistema per effettuare un regolare rifornimento della loro dispensa, con merci destinate soltanto ad Antoinette. A quel punto fu ancora più grata per il decreto della regina, che la esonerava dall'obbligo di mangiare cibo dell'oltretomba.
«Sarò pronta,» dichiarò. «Dove?»
«Alle stalle. Viaggeremo per una parte del tragitto su un carretto. Non... sarà piacevole.»
«Me la caverò.»
«Dovremo trovare un modo di superare Cerbero,»spiegò lui.
«L'ho già eluso una volta.»
«Potrebbe rivelarsi un problema. Qualunque espediente abbiate usato in passato potrebbe non rivelarsi efficace una seconda volta.»
Antoinette si accigliò.
«Mi farò venire in mente qualcosa.»
Egli annuì.
«Finché non ci rincontreremo, non fate nulla per attirare sospetti.»
Ma per chi l'aveva presa, per una babbea?
«Potrei dire lo stesso di te. Non hai l'aspetto di un servo.»
Ismaros fece una smorfia.
«Presterò attenzione.»
Si erano già intrattenuti troppo a parlare. Antoinette riprese il proprio tragitto verso la cucina. Non trovandovi nessuno, rabboccò da sola il vino, rimediò del cibo e tornò da Stéfano. Non si sarebbe fatta riportare da Demetra. Una volta che avesse raggiunto la superficie, avrebbe escogitato un modo di sbarazzarsi di questo Ismaros e, piuttosto, sarebbe andata alla ricerca di suo padre. Zeus avrebbe potuto annullare il suo matrimonio e garantirle la vera libertà che lei agognava. E se egli avesse voluto in cambio qualcosa che lei non era in grado di dargli, allora... bah, si sarebbe posta il problema a tempo debito.
Si precipitò in biblioteca, dove trovò Stéfano caduto in un sonno profondo, con un rotolo appoggiato alla bell'e meglio in grembo.
Beh, era già passato mezzogiorno, e Cheryl aveva detto che Antoinette avrebbe avuto tutto il pomeriggio per sé. Proprio mentre stava pianificando di sgattaiolare via, Stéfano si rimise seduto di soprassalto.
«Oh!» esclamò. «Siete voi. Dov'è il vino?»
Lei gli riempì la coppa.
«Penso che le lezioni siano terminate per oggi, visto che è passata l'ora di pranzo.»
Stéfano ci rimuginò un po' su, strofinandosi la barba. «Val la pena di riempire un'ultima tavoletta, poi potrete andare.»
Antoinette gemette, ma si rimise seduta e cominciò a cancellare le lettere che aveva inciso in precedenza con la parte finale del suo pennino. A quel punto riscrisse sullo stesso materiale per l'ennesima volta, incidendo laboriosamente e immaginando che, ad ogni taglio, corrispondesse una pugnalata nelle budella dell'uomo anziano.
«Ho finito,» disse, mostrando la tavoletta a Stéfano.
Egli la esaminò.
«L'inclinazione delle vostre lettere è sbagliata. Le sistemiamo domani.»
«Pensavo che mi steste insegnando a leggere. Cosa importa di come si inclinano le mie lettere?»
Stéfano prese un pennino e lo usò per percuotere le nocche di Antoinette.
«Io vi faccio una ramanzina quando la primavera tarda a venire di tre settimane? O mi interrogo sul motivo per cui siamo condannati ad avere più suicidi durante la vostra stagione che al tempo delle messi? No. E allora procederemo a modo mio.»
Antoinette si strinse la mano al petto, strofinandosi le nocche. Qualunque pensiero caritatevole potesse aver albergato nei confronti di quell'uomo si dissipò. Per fortuna di lui, Antoinette non aveva alcuna intenzione di fare una seconda lezione.
«Capisco. Posso andare?»
Ad un brusco cenno del capo dell'uomo, lei si alzò in piedi e praticamente si precipitò fuori dalla biblioteca. Fu meraviglioso ritrovarsi di nuovo in cortile, a respirare aria fresca, dopo aver passato tutta la mattinata al chiuso.
Non le rimaneva molto tempo libero per quel giorno. Avrebbe dovuto trovare un modo di dissuadere Cheryl dal passare la notte con lei, così sarebbe stata libera di svignarsela all'alba. Magari un malore inventato, o...
Cheryl non si sarebbe lasciata abbindolare da un finto mal di testa, ma Antoinette non aveva intenzione di provocarsi una lesione per sembrare più convincente. Aveva bisogno di altro. Di qualcosa di ineccepibile. E, soprattutto, di un modo per aggirare Cerbero.
Le venne in mente mentre stava passeggiando. Girò repentinamente sui tacchi e si diresse alle stalle, contando i suoi passi, cosicché li avrebbe saputi ripercorrere anche al buio. Eustachys la salutò sull'uscio.
«Buona giornata a voi, mia signora Antoinette.»
Lei lo guardò. Quell'uomo l'aveva vista quasi nuda. Quello che l'aveva mortificata solo qualche settimana prima adesso le sembrò quasi risibile. Distolse lo sguardo, arrossendo.
«Avete bisogno di una biga, o...?»
Lei fece il giro della stalla, passando i cavalli al setaccio.
«Mostratemele.»
«Certamente.»
La condusse verso una rimessa adiacente, dov'era stivata una serie di bighe e di calessi di varie dimensioni, oltre alle bardature. Il soppalco della rimessa doveva essere stato adibito ad alloggio di Eustachys, dal momento che si intravedevano un giaciglio ed un piccolo scaffale per gli effetti personali.
Antoinette rimase a riflettere davanti alle carrozze. Non c'era traccia di quella d'oro di Cheryl: doveva averla presa per la giornata. Alcuni dei carri non sembravano abbastanza capienti per nasconderla. Cosa avrebbe fatto, se non fosse riuscita a trovare un modo per spostarsi clandestinamente al mattino?
E se Ismaros fosse stato catturato, ed il loro piano fosse andato a monte?
Avrebbe mai avuto un'altra occasione?
«Padrona?»
Ci si stava arrovellando troppo. Non c'era bisogno di farla più complicata del necessario.
«Ho cambiato idea. Preferirei cavalcare.»
Puntò lo sguardo verso l'area in cui erano serbati i finimenti ed i prodotti per la pulizia. «E mi serve dell'olio.»
Eustachys arrossì e farfugliò qualcosa.
«Che c'è?» sbottò Antoinette, con un tono più duro di quanto avesse inteso.
«S... Subito.»
Dopo pochi minuti, Antoinette lasciò le stalle in sella ad una pezzata grigia che Eustachys aveva chiamato Nereia. Spronò ben presto Nereia al trotto, poi al galoppo. Attraversarono insieme le ampie distese dei Campi Elisi, e rallentarono solo quando raggiunsero il fiume Lete.
Imboccarono un sentiero in discesa, che terminava sulla sponda del fiume. Soffiava un vento fresco ed umido, mentre una foschia si levava dal terreno. Antoinette scese dalla cavalla e raggiunse a piedi la riva del fiume. Sfilò i sandali per sentire l'erba bagnata sotto i piedi.
Qua e là crescevano mucchietti di papaveri cremisi, smossi dal vento. Antoinette ne raccolse uno e se lo infilò fra i capelli, poi ne staccò altri e se li tenne in braccio. Nereia sbuffò, ma rimase ferma e paziente, mentre Antoinette le adornò di fiori la criniera.
Doveva stare attenta. Le tornò alla mente quello che le era successo nel punto in cui si incontravano lo Stige e l'Acheronte. Ma in quel fiume non le parve di scorgere facce spettrali, né udì altro suono che il docile gorgoglio dell'acqua che levigava il fondale ghiaioso.
Sedette sull'erba e si bagnò i piedi. Avvertì, sotto i talloni, un fango fresco e morbido. Dei pesciolini cominciarono a nuotarle attorno e a mordicchiarle le dita dei piedi.
Non aveva mai pensato che gli Inferi fossero belli, ma quell'angolino, in effetti, non era male. Il suo riflesso la guardò di rimando. Aveva un aspetto calmo. Sembrava quasi... felice.
Avrebbe potuto essere felice lì?
Si lanciò un'occhiata dietro le spalle. Nereia stava brucando serenamente in uno spiazzo erboso. Antoinette sorrise a quella vista, poi sbadigliò, stiracchiandosi come un gatto. Si sentiva gli occhi troppo pesanti: faceva fatica a tenerli aperti.
La fiala. Tirò fuori la piccola boccetta di olio d'oliva che le aveva dato Eustachys, il quale sicuramente aveva cominciato a far vagare la mente verso pensieri sconci. Svuotò l'olio sull'erba e si avvicinò al fiume, immergendo la fialetta nell'acqua corrente e riempiendola fino all'orlo. La richiuse e se la infilò in mezzo al décolleté, assicurandola sotto la pressione dello strofione. Risistemò lo scollo del chitone sul petto, aggiustando le pieghe di modo da celare anche la minima protuberanza.
Alzò lo sguardo. Presto, sarebbe andata via la luce: forse avrebbe dovuto lasciare un messaggio, prima di avventurarsi all'esterno. Ma, a sentire Cheryl, lei sapeva sempre tutto quello che accadeva nel suo reame. Antoinette ci contava. Era stato meglio non dir nulla, in effetti: meglio che pensasse che fosse stata una decisione presa su due piedi.
Antoinette non riuscì neanche a stare seduta dritta. Il suo giaciglio d'erba era così invitante, e le sue membra così pesanti, che non poté far altro che chiudere gli occhi. Il fiume Lete le cantò la sua ninnananna.***
Un movimento ridestò Antoinette di colpo. Aprì gli occhi e si accorse che era sceso il buio. Era seduta sul dorso di Alastor, con Cheryl alle sue spalle, che le teneva un braccio attorno alla vita perché stesse su con la schiena. Nereia gli stava al seguito, senza più un papavero nella sua criniera.
Cheryl teneva una lanterna nell'altra mano, ma Alastor sembrava conoscere a memoria la strada. Attorno a loro incombevano delle ombre alte ed indiscrete, i rami consunti degli alberi spuntavano come lunghe braccia sul loro sentiero.
«Dove siamo?» domandò Antoinette.
«Quasi a casa.»
Cheryl premette il proprio corpo contro la schiena di Antoinette, la loro pelle era separata solo da strati sottili di tessuto. Come sempre, Cheryl sembrava più calda di quanto Antoinette ricordasse.
«Ero... addormentata?»
Antoinette sollevò una mano e si sfilò il papavero dai capelli. Al buio, i suoi petali sembravano del colore del sangue essiccato.
«Così profondamente che non sono riuscita a svegliarti. Ci sono dei modi sicuri per approcciarsi al fiume Lete. Ti suggerisco di starne alla larga finché non li padroneggerai.»
Antoinette si mosse appena, e tirò un sospiro di sollievo quando avvertì la fialetta schiacciata contro la sua pelle, al di sotto dello strofione. Era riuscita a conseguire quello che le era stato chiesto da Ismaros. «Certo. Chiedo scusa per il disturbo.»
Viaggiarono per un po' in silenzio. Si sentiva... a suo agio. Alastor stava mantenendo un'andatura gentile, e lei si rilassò contro la spalla di Cheryl.
Avrebbe sentito la mancanza di Antoinette, una volta che lei se ne fosse andata?
Antoinette non osò avere un'opinione così elevata di sé. Dopotutto, non sapeva nemmeno leggere. A Cheryl avrebbe fatto più comodo una moglie sveglia, una capace di assisterla nelle sue funzioni governative.
«Come sono andate le tue lezioni?» le domandò Cheryl.
Antoinette si risvegliò bruscamente, con la testa accoccolata nell'incavo del braccio di Cheryl. Si diede un pizzicotto. Non avrebbe dovuto rischiare di perdere il suo appuntamento mattutino con Ismaros. «Mi ha picchiata,» commentò, ricordando le sopracciglia simili a bruchi di Stéfano.
«Hai fatto qualcosa per meritartelo?»
«No! Beh, almeno non penso.»
Cheryl si mosse alle sue spalle.
«Una volta che avrai terminato le tue lezioni, potrai farlo torturare per l'eternità, se ti fa piacere.»
Non diceva seriamente. O sì?
«Non mi ha colpita con tanta forza,» corresse Antoinette. Non come te.
«Scherzi a parte, dovrai cercare di estrapolare da lui quanta più conoscenza possibile. Ho una pila di materiale da farti leggere che è alta non meno di tre braccia.»
«Suona noioso.»
«Lo è. Ma se devi essere la mia consorte non soltanto di nome, questo sarà uno dei tuoi doveri.»
Un'altra buona ragione per scappare in superficie quanto più velocemente possibile.
«Cheryl,» iniziò.
«Sì?»
«È vero che ci sono più suicidi in primavera che nella stagione delle messi?»
Cheryl rimase in silenzio per un momento.
«Sarai tu a dover mettere a raffronto i registri in archivio. Perché?»
«È qualcosa che ha detto Stéfano. A proposito della mia stagione.»
«Sei sicura di non desiderare che venga torturato?»
«Cheryl!»
Antoinette le diede uno schiaffetto sulla coscia. Poteva anche darsi che Cheryl fosse abbastanza fredda e distaccata da far ironia su qualcosa di tanto crudele come un'eternità di tormenti, ma Antoinette non avrebbe mai potuto essere così cinica. Se fosse andata via subito di lì, non avrebbe mai dovuto esserlo.
«Siamo arrivati,» commentò Cheryl, facendo sobbalzare Antoinette.
Era crollata dal sonno un'altra volta?
Erano proprio fuori dalle stalle, dove Eustachys le stava aspettando. Cheryl la aiutò a smontare. Antoinette si appoggiò di peso a Cheryl, poiché faceva fatica a reggersi in piedi. Abbassò lo sguardo, e capì che Cheryl doveva averle riallacciato i sandali prima di riportarla a casa. Cioè, prima di riportarla al palazzo.
La debolezza di Antoinette non era simulata. Riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti, mentre Cheryl la scortò nella sua stanza.
«Ti è stata lasciata la cena. Ti senti poco bene?» le domandò Cheryl. Tastò la fronte di Antoinette col dorso della mano. Antoinette scosse la testa.
«No, sono solo stanca.»
Fece a Cheryl un sorriso tremolante, e la sbirciò da sotto le ciglia.
«Vi spiacerebbe scusarmi per stanotte?»
le domandò, col cuore in gola.
«Potrei mandare qualcuno a vegliare su di te...»
«No!» Antoinette si maledisse dentro di sé. «No,»ripeté a voce più bassa. «Vi prego. Sono stanca, tutto qui.»
«Molto bene,» replicò Cheryl, prima di baciarla. «Buonanotte.»
«Buonanotte, Cheryl.»
Antoinette volò nella sua stanza e chiuse la porta, poi vi poggiò la schiena contro e la sentì chiudersi. Era sola. Cheryl l'aveva lasciata sola per la prima notte da quando si erano sposate.
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Prigioniera Degli Inferi - Choni
FanfictionConosciamo tutti la storia... Ade rapisce Persefone, figlia di Demetra, e la conduce di forza con sé negli Inferi, per.... ecc. Ma vi siete mai chiesti come la storia sarebbe andata...se... SE il dio degli Inferi fosse stata in realtà una DEA bellis...