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Harry's point of view...

«Dormi?» non risposi «eddai Harry non dormire» piagnucolò, alzai gli occhi al cielo tuttavia divertito.
«Cosa vuoi che faccia allora?» risposi nel buio della mia stanza, lei ridacchiò.
«Non lo so, parlare?» propose ingenuamente.
Sospirai appena e mi voltai verso di lei poggiando la testa sulla mano per poterla guardare, i miei occhi ormai abituai alla penombra, riuscivano a scorgere meglio i tratti fin troppo pallidi del suo viso.
Si vedeva lontano un miglio che non apparteneva a quella città, lo capivi solamente dal suo modo di guardarti, in qualche modo diverso da tutti quelli che prima di lei qui erano venuti.
Non sapevo perché mi ritrovassi a pensare a delle cose fottutamente inutili come quelle, ma lei era un dilemma per me, così misteriosa e scostante, come se fosse costretta a portare un peso troppo grande per le sue spalle esili.
Non sapevo niente di lei nonostante in quel momento fosse mezza nuda nel mio letto, con i miei vestiti addosso e stessimo parlando come se fossimo una melensa coppietta del cazzo. Non che fosse la prima volta per me ritrovarmi in un letto con una ragazza che non conoscevo, ma solitamente eravamo troppo occupati per scambiarci inutili convenevoli.
«Io avrei un'idea migliore» feci un sorrisetto e allungai una mano accarezzando la sua coscia, ricevetti una sottospecie di pugno sul braccio.
Risi ritirando la mano «non scherzare o quanto è vero che mi chiamo Katherine, ti taglio le palle» mi avvisò con un cipiglio minaccioso.
Scoppiai a ridere «D'accordo Katherine, va bene. Allora dimmi qualcosa» azzardai.
«Che cosa vuoi sapere?» rispose sulla difensiva. Per essere ubriaca e sicuramente per nulla cosciente della situazione in cui si trovava, sentiva comunque la necessità di proteggere i suoi segreti. Per quale fottuto motivo?
Tanto valeva cominciare da qualcosa che mi aveva accennato lei stessa «Blake» lei fece un breve rantolo, come se avesse appena trattenuto un altro conato di vomito.
«Era un idiota» rispose con uno sbuffo, sorprendentemente si strinse a me intrufolando il viso nell'incavo del mio collo, i suoi capelli profumavano di shampoo all'albicocca.
Mi sfuggì un sorriso, non avevo mai sentito un profumo infantile come quello su di una ragazza, era bizzarro ma tuttavia non mi dispiaceva.
«Perchè tua madre si è suicidata?» il mio cervello smise di agitarsi per un attimo e tacqui. Avrei voluto saperlo anche io, nonostante conoscessi già la risposta.
«È stata tutta colpa mia Kat» risposi nascondendo il viso tra i suoi capelli profumati «se non fossi nato, non sarebbe mai successo» le rivelai, tanto avrebbe dimenticato ogni cosa.
«Io non penso» disse solo.
«Oh piccola, tu non mi conosci» ribattei, non aveva idea di tutta la merda che avevo in testa e di tutte le puttanate che avevo fatto.
Non rispose, il suo respiro divenne più regolare e forse si stava abbandonando al sonno, così provai un'ultima volta «qual è lo scheletro che cerchi di nascondere nel tuo armadio?»
Le sfuggì una risatina assonnata «Io non ho nessuno scheletro nell'armadio»
«Tutti abbiamo uno scheletro nell'armadio, Kat. Chi nega, fidati, è perché il suo è ancora cadavere.» sussurrai. Lei annuì stregando il naso lungo mio collo e automaticamente, mi ritrovai a desiderare di poterle sfilare quei fottuti vestiti e farle passare la voglia di parlare.
«Hai ragione, il mio è ancora un cadavere» biascicò, riportandomi bruscamente alla realtà.


«Fottuto me!» sibilai venendo.

«Cosa?» rispose Angie affannata.
Scossi la testa e mi scostai per gettare il preservativo nel cestino di fianco alla porta. Non aveva alcun senso, come potevo pensare a quella fottuta santarellina mentre mi scopavo la figlia di Johnny nel suo ufficio? Angie era davvero strepitosa: alta, bionda, curve mozzafiato e con un paio di labbra carnose che sapeva decisamente come usare, che fosse una troia poco importava, in quel momento non avrei dovuto pensare alle inutili chiacchiere e ai fottuti misteri di qualcun altro

«Tuo padre ti starà cercando» dissi per togliermela di torno, lei si risistemò la gonna e saltò giù dalla scrivania.
«Probabilmente è te che sta cercando, la gara è tra dieci minuti» m'informò.
Diedi uno sguardo all'orologio che avevo sul polso, era vero! «Cazzo» imprecai risistemandomi i pantaloni.
«Dovremmo rivederci» propose lei sciogliendo i lunghi capelli per potersi coprire il collo marchiato.
«Vedremo» risposi sul vago facendole l'occhiolino.
Uscii dalla stanzetta che suo padre si ostinava a chiamare ufficio e scesi la rampa di scale che mi separava dal pavimento grezzo del capanno industriale -in quel momento vuoto- e mi diressi fuori. Quella sera c'era più gente del solito, probabilmente erano stati informati che a gareggiare ci sarebbe stato anche il leggendario figlio di puttana di Seth Hunter, la scommessa preferita di Nick Jhonson. Beh, almeno finché io non gli avevo soffiato il titolo.
Mi avvicinai alle piste e un paio di mani mi diedero delle pacche sulle spalle, raccomandandomi i loro fottuti soldi.
Entrai nel garage e Johnny mi venne incontro «ragazzo!» sbraitò «sei in ritardo, come al solito» continuò, con un cipiglio severo.
Feci un cenno di saluto agli altri prima di rispondergli «avevo da fare» con tua figlia. Aggiunsi maligno nella mia testa, anche se fondamentalmente Johnny era soltanto un idiota che giocava a fare il gradasso, era meglio non troppo sfidare la sorte, specie quella sera.
Lui alzò gli occhi al cielo e prendendomi per un braccio mi spinse sulla destra, nell'ultimo box del garage «avanti. Sbrigati a salire, Hunter è già qui fuori ed è incazzato nero» mi avvisò.
«Evidentemente prevede il futuro, sa bene che perderà» risposi con un sorriso beffardo.
Eccolo lì, proprio davanti a me, il mio scheletro nell'armadio. Una grande carcassa di freddo e lucido metallo: un Audi r8, completamente nera. Probabilmente era una delle macchine più veloci presenti sul circuito quella sera, li avrei stracciati.
Aprii lo sportello ed entrai nell'abitacolo, la tappezzeria era di pelle e una luce azzurrina proveniva da sotto i sedili che si spense quando richiusi la portiera. Misi in moto stringendo le mani sul volante, schiacciai il piede sull'acceleratore sentendola rombare e sorrisi euforico, mi piaceva avere il pieno controllo su qualcosa di tanto potente.
Quella sensazione mi faceva stare bene, quasi quanto il sesso. Solo quando correvo sentivo di poter davvero dettare le regole della mia vita, sfidando persino la morte.
Uscii dal box con una sgommata e raggiunsi l'unico posto vuoto della fila di sei auto poste lungo la linea di partenza, vidi Angie sculettarci davanti e posizionarsi al margine.
Tese la bandiera e al fischio assordante provocato da Johnny, la rialzò di scatto. VIA.

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