𝕾𝖊𝖉𝖎𝖈𝖎

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Seconda lezione
Mai sottovalutare la magia


«Stai scherzando?».

Fisso l'oratore sbalordita mentre cerco di ripetere le sue parole nella mia mente, perché è impossibile che abbia detto davvero che vuole darmi il suo potere.

Mi guarda male, come se lo avessi offeso. «Non ti ucciderà».

Non capisco se sia nervoso per la mia reazione o perché deve separarsi dal suo potere, ma in ogni caso non credo neppure che m'interessi. «Buono a sapersi, allora magari sarò io a uccidere te per questa proposta».

Ancora una volta, lo vedo fare appello a tutto il suo autocontrollo. Libera le mie mani, ma la sua gamba non si sposta, continuando a impedirmi di andarmene. Il suo stupido corpo, tutto vortici neri e vene in rilievo, luccica sotto le luci perenni della stanza.

«Nessuno morirà» replica freddamente, scostando i capelli scuri con un gesto secco. Quando ricadono sulla sua fronte è più bello e stronzo che mai. «Anche se sarà un'impresa tenerti in vita».

Non so cosa mi offenda di più: se il suo tono ironico, o il fatto che mi stia fissando come se fossi una seccatura. «Dormo con un pugnale sotto il cuscino ogni notte» sibilo, guardandolo storto. «Ricordatelo, se mai ti venisse voglia di dimostrarmi quanto è difficile tenermi in vita».

Le altre bambine ricevevano bambole e giocattoli, io da mio padre ricevevo pugnali.

L'oratore mi osserva sotto di lui, soffermandosi sulle nostre gambe intrecciate e sui bacini che si sfiorano. Lo fa in un modo così evidente e intenso, che mi viene la pelle d'oca. «Non credo che mi interesserebbe molto parlare di armi, a quel punto».

La sua voce roca mi arriva dritta allo stomaco.

Alzo gli occhi al cielo per dissimulare la tensione. «Perché vuoi darmi il tuo potere?» chiedo, cambiando argomento.

Ed eccolo lì, lo sguardo diffidente di chi non vuole rispondere alle mie domande. L'oratore mi fissa ma poi scuote la testa, un gesto così lento e disinvolto che mi si annoda lo stomaco. «Vedi, Lhena, è questo il bello di un patto: non devo spiegarti il perché».

Un'ondata di rabbia innalza le mie pulsazioni. «Era questo il tuo piano? Fare un patto con me per darmi il tuo potere?». Lui resta immobile a fissarmi, il suo respiro è troppo vicino alle mie labbra, i suoi occhi sondano il mio viso come se volessero imprimervi il loro passaggio. «Mi hai fregata» mormoro.

Un sorrisetto compiaciuto fa innalzare l'angolo della sua bocca. «Se ti fossi voluta tirare indietro, non avresti dovuto accettare».

Dèi, mi conosce troppo bene e la cosa mi fa incazzare. Sapeva che non avrei rifiutato una sfida e sapeva che avrebbe vinto. Io sono stata così stupida da non pensare che la posta in gioco potesse essere più alta dell'ultima volta, quando gli ho dovuto permettere di tornare in camera mia. Cosa che non ha più fatto, per altro, se non quando è stato allertato dalla mia paura per Aval. Ha usato quella prima scommessa per valutarmi e, diamine, c'è riuscito alla grande.

L'oratoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora