🥀Untouchable🥀
«Non fidarti mai di me, Lehna».
Una principessa ribelle.
Un prigioniero talmente potente da uccidere chiunque lo sfiori.
Una promessa infranta così tanti anni prima da non temerne più le conseguenze.
Fino ad ora.
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Ottava lezione Mai fidarsi ciecamente della famiglia
Io non mi fido di nessuno.
Avrei voluto dirlo all'oratore, ma la sua uscita di scena è stata così veloce e drammatica, che mi mordo ancora la lingua per non essere stata sufficientemente rapida nel rimetterlo al suo posto.
Io non mi fido di nessuno e non ho bisogno che sia lui a ricordarmelo. Se non fosse così, non avrei già preparato in camera mia uno zaino d'emergenza con cui scappare. Non che intenda usarlo davvero, accetterò il destino scelto dai miei genitori, ma voglio tenermi aperta qualche opportunità.
Fumo rabbia mentre raggiungo le scale che mi porteranno alla biblioteca. Non riesco a togliermi dalla testa la sua accusa - il fatto che mi lasci manipolare - così come non riesco a togliermi dalla testa la sua espressione sprezzante, il tono secco con cui mi ha detto di non fidarmi di lui, l'incredulità quando gli ho chiesto per una dannata volta di dirmi la verità.
Io non mi fido di nessuno, per quello non mi fido neppure di lui, delle sue parole, del fatto che mi dica di ribellarmi solo per me stessa e non per un suo tornaconto personale. Ho passato diciassette anni con la mia intera famiglia a dirmi ciò che dovevo fare. Perché con lui dovrebbe essere diverso?
Faccio per imboccare il primo gradino quando getto un'occhiata sotto di me, al corridoio dove ho visto Hans con quella domestica e dove ho visto lui per la prima volta incazzato davvero.
Ecco, preferisco quello: la rabbia. Voglio togliermi dalla testa la delusione della sua voce, perché non la reggo. Non reggo mai la delusione di nessuno attorno a me.
Sto ancora pensando a quella sera, quando all'improvviso un'immagine saetta nella mia testa. È come un frammento. Una piccola scheggia rimasta conficcata nella mia corteccia celebrale che all'improvviso ha deciso di staccarsi. La ragazza bionda sta correndo ancora di fronte a me, ma questa volta non entra in nessuna porta. Si ferma in mezzo al corridoio, solleva l'indice sulle sue labbra. Mi sta dicendo di fare silenzio. Poi, le sue dita si sollevano fino a una crepa tra due pietre. Le conta: quattro dal muro di sinistra, sette dal pavimento, e ci infila dentro un pezzetto di carta.
Mi sto ancora tenendo la testa quando quell'immagine scompare dalla mia mente e torno a mettere a fuoco le scale davanti a me.
Quella ragazza, la sorella dell'oratore, ha lasciato un messaggio nel castello.
Non devo neppure decidere.
Inverto i miei passi e mi getto sulle scale sotto di me. Quando arrivo nel corridoio ho il fiatone e una guardia di ronda mi osserva incuriosito. Aspetto che se ne vada prima di scattare al muro.
Quattro da sinistra, sette dal pavimento.
Due pietre uguali a quelle del mio sogno mi fissano. Hanno la stessa scanalatura obliqua, la stessa superficie lucida con un accenno di graffi dovuti al tempo. Non può essere una coincidenza. Controllo attorno a me che non ci sia nessuno e poi, con cautela, infilo le dita tra le pietre.