Capitolo 8

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CAPITOLO 8



Michele non avrebbe dovuto essere a casa di Liam e Nicolas, quella sera. Aveva altri piani, doveva uscire a cena con degli amici, amici che forse è azzardato definire tali, che forse non sono davvero amici. Amici che non vede mai, perché non ha tempo. Anche se è solo una bugia, e lo sa. Forse lo sanno anche loro. Ma a volte non può fare a meno di accettare i loro inviti.

Perché sono amici, in fin dei conti. Perché ci sono sempre stati.

E lui a volte è troppo stanco per mentire e trovare scuse. E forse una parte di lui, dopotutto, vuole davvero vederli. E sperare che siano suoi amici.

Era questo che doveva fare, quella sera. Sperare. Mentire a se stesso.

Ma era stato un pessimo pomeriggio, a lavoro.

Tre nuovi pazienti, di cui uno particolare, se così può definirlo. Aveva avuto quattro colloqui con i suoi pazienti, ma l'ultimo l'aveva innervosito. Glielo dicono sempre, ancora oggi, che non deve farsi influenzare da loro, perché rischiava di fargli ben presto compagnia, legato ad un letto.

Eppure, non sempre ci riusciva. A volte c'erano storie –vere, o inventate, perché non tutti dicono la verità- che lo scuotevano più del necessario.

In particolare, il giorno prima, il suo giorno di riposo per fortuna, era scoppiata una rissa in sala mensa, durante il pranzo, e nel tentativo di dividere i due che l'avevano scatenata uno dei suoi colleghi ci aveva quasi rimesso un dente.

Adesso, lui non era tipo da struggersi al pensieri che avrebbe potuto esserci lui al suo posto, anche perché non avrebbe pensato nemmeno per un istante di mettersi in mezzo, lui. Sarebbe andato dritto a chiamare le guardie non armate dell'ospedale.

Lui mica è lì per farsi prendere a pugni. Lui è lì solo per cercare di instaurare un rapporto con loro e cavare un ragno dal buco.

È però particolarmente fastidioso quando ti rendi conto non solo che fino a quel momento non ha funzionato nulla, ma soprattutto che ti stanno prendendo in giro.

Quando il signor Alberto gli si è seduto davanti, Michele era già nervoso, stanco e non vedeva l'ora di andarsene. Ha fatto una gran fatica a reggere senza alzarsi e mandarlo a quel paese, e la mezzora che ha dovuto passare al telefono con il collega anziano per cercare di convincerlo che la terapia di quel tipo andava cambiata tutta, o la prossima volta l'avrebbe fatto sedare e legare a letto fino a tempo indeterminato, gli aveva fatto venire un gran mal di testa.

È uscito dall'ospedale con più di mezz'ora di ritardo, la testa che gli scoppiava e ben poca voglia di fare quello che avrebbe dovuto fare. Di mentire, nascondersi e inventare altre scuse.

È per questo che alla fine ha dato buca ai suoi amici e ha chiamato Liam, e appena l'altro gli ha confermato che, sì, Nicolas non c'era, è andato dritto a casa sua.

Lì, Liam l'aveva accolto con un abbraccio, una pastiglia per il mal di testa e una piadina vegetariana fumante. È tutto quello di cui aveva bisogno.

L'assenza di Nicolas si era fatta sentire –in positivo- nel comportamento di Liam, l'aveva vezzeggiato e coccolato e non era stata lunga la strada dal salotto alla camera da letto. Liam ha dato un calcio alla porta, che però a quanto pare si era solo accostata.

Nessuno dei due ci ha fatto caso, ben presi da altro.

Non avrebbero mai potuto sentire la porta dell'ingresso che si apriva. O la voce di Nicolas, ammesso che abbia parlato per farsi sentire, chiamarli. Non ha sentito nemmeno la porta della camera che si apriva.

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