Alzandosi il polso, l'orologio segnava le nove ed un quarto mentre percorreva il parcheggio sotterraneo quasi privo di macchine. Sospirò, camminando a passo veloce attraverso l'eco fino alla sua macchina: una vecchia corolla arancione con una graffiata lungo tutto il lato destro. Schiacciò il tasto del portachiavi, la macchina suonò e lei ci si fiondò dentro, lanciando la borsa sul sedile passeggeri; a terra, sui tappetini: cenere, terra secca e qualche mozzicone raggrinzito.
Appena messa in moto, la radio assordante suonava una hit degli anni novanta con dei richiami alla decade precedente, ben lontana dalla scena grunge. Girò il bottone fino a portare il volume a zero e fece retromarcia facendo scivolare per un attimo le gomme contro il pavimento in resina.
In strada si prendeva alcune libertà per tagliare il prima possibile le curve accelerando a volte più del dovuto. Una volta arrivata si affrettò a parcheggiare nell'unico posto libero davanti alla centrale; prese la borsa e scese sbattendo la portiera. Entrò e corse fino all'ascensore: secondo piano; uscì. Gli uffici erano in subbuglio, tutti parlavano tra di loro, volavano fogli e documenti: in fondo alla serie di cubicoli, il suo ufficio, attraverso le persiane vedeva la figura di Remington seduto davanti alla sua scrivania, chinato a scrivere qualcosa.
Si affrettò ed aspettò qualche secondo davanti alla porta per riprendere fiato. Abbassò la maniglia ed entrò: lo sguardo dell'uomo si alzò quasi all'istante.
-Ma buongiorno -disse l'uomo vivacemente, per quanto alzasse il tono, questo rimaneva quasi identico-. Fine settimana difficile? -chiese ironicamente.
Sarah si avvicinò alla scrivania e si sedette davanti all'uomo, poggiando la borsa sul ripiano.
-Diciamo di sì -la sua voce era ancora addormentata. L'uomo aggrottò leggermente le sopracciglia, scansionandola da cima a fondo con un sonoro sospiro-. Dimmi, cos'abbiamo?
-Contento che tu me l'abbia chiesto -spostò il foglio su cui stava scarabocchiando ed alzò la sua borsa, tirando fuori un raccoglitore. Girò la copertina verticale, lo posò sul tavolo e lo girò verso di lei-. La vittima, Harley McLean -posò il dito sulla foto in alto a destra-, donna di ventisei anni, vedova, un metro e sessanta sette, capelli castani, corti; trovata questa notte alle cinque e mezza circa davanti ai bidoni del complesso di appartamenti in cui viveva. La stanno attualmente studiando al piano di sotto per capire meglio causa ed orario della morte -girò il foglio e posò il dito sulla foto di un uomo.
-Sospettato: Julian Bully, ventidue anni, single, avvistato da un senzatetto che ramistava nella spazzatura approssimativamente alle due di notte, ha precedenti penali, in attesa di essere interrogato -Remington si ritirò, sprofondando nella sedia a braccia incrociate e gambe distese.Sarah rimase a guardare le foto, leggendo quel poco che c'era scritto in entrambe le pagine e poi rigirò il raccoglitore verso l'uomo.
-Andiamo dal nostro uomo, allora -disse con un leggero sospiro, sistemandosi i capelli che le andavano in faccia. Il suo collega sorrise scrocchiandosi il collo.
Piano sottoterra. Dieci del mattino. I due detective passavano tra le celle, la maggior parte vuote accompagnati dalla guardia. Arrivati davanti alla cella del sospettato, Saraha la indicò con la testa e dando la giustificazione: "per interrogare".
Passato qualche minuto, Sarah, Remington e Julian erano nella stessa stanza: il sospettato incatenato per i polsi al tavolo; teneva lo sguardo basso ma li osservava come un cane bastonato verso l'alto. Remington era seduto davanti a lui mentre la sua collega stava poggiata al muro.
-Bene, Julian, iniziamo con le domande di prassi: dov'eri la notte tra domenica quattordici ottobre a lunedì quindici ottobre? -Chiese incrociando le dita tra di loro sul tavolo.
Il sospettato continuava a guardarli senza dire niente. Il volto di Remington mutò immediatamente alla "puzza di seccatura" da un'espressione condiscendente ad una seria, più adatta al suo lavoro.
-Sei sordo o fremi per rendere legale la tortura? -Chiese ironicamente, anche se il suo tono nascondeva un palese sentimento genuino nelle sue parole.
Il sospettato abbassò lo sguardo sul tavolo di metallo. Prese un respiro.
-Ero a casa della mia ragazza.
-A che ora -chiese il detective.
-Alle... Undici... Circa -Stringeva una mano dentro l'altra.
-A fare cosa?
-Avevamo appena finito di... Litigare.
-E dopo?
-Sono uscito...
-A che ora per l'amor d'Iddio!
-A mezzanotte! -Julian non aspettò a rispondere, impaurito dall'investigatore. Era un uomo minuto, costretto ad un tavolo di metallo in pasto ad un orso.
L'investigatore sospirò raucamente, girandosi verso Sarah.
-Sarah, fammi un piacere: vai dai forensi e chiedi novità, a quest'ora avranno già qualche risposta. Dopodiché portamele, per favore. Io mi occupo di lui.
Sarah alzò gli occhi al cielo e si staccò dal muro con una spinta ed un sospiro.
-Non entrare troppo nel personaggio, Ben, prima che ti tiri un calcio in culo. -Disse con un tono infastifito ed uscì accompagnata da un sonoro "Grazie" da dentro la stanza. A qualche porta di distanza, alla fine del corridoio, la targa "Autopsia" da cui usciva l'eco di musica jazz, indicava il suo nuovo incarico.
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*Nota dell'autore*
Sto provando molto piacere nello scrivere questa storia in un formato del genere e soprattutto mi interessa scrivere questa parte dell'interrogatorio: ho grandi piani per questa storia e questo non è nemmeno l'inizio.
Restate connessi per nuovi capitoli!!!
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L'Ombra di Dio
Misteri / ThrillerSarah Faraday è un'investigatrice incaricata di trovare l'elusivo e prolifico "mostro di Fresno" la cui scia di morte sembra interminabile. Tra intrighi amorosi, politici e vicoli ciechi, Sarah dovrà affrontare la sua ricerca nell'oblio mentre tenta...