Occhi nella tenebra .

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Nonostante i miei piedi si trascinino sbadatamente sulla polvere e contro la terra, mi viene da chiedermi se anche in situazioni come queste valgano ancora le regole della Confraternita. Voglio leggere cos' hanno da dire, ma mi sento colpevole soltanto al pensiero di poterlo fare. Forse questo è il prezzo che si paga dopo anni di repressione : il disgusto verso se stessi ed il più completo disprezzo per la qualità che invece ci rende davvero speciali. Comunque non importa. Io non vedo, non sento, non parlo. Posso fingermi morta? Posso sparire da qui, ora?

Poi, però, non resisto alla tentazione.

Mi sento un verme schifoso al pari dei bastardi che se ne stanno qua dentro devi muoverti ragazzina cammina più svelta ci sono alle calcagna e dobbiamo raggiungere l'uscita al più presto.

Allora mi blocco di botto e le mie gambe traballano come gelatina sotto il mio stesso peso. L'uscita? L'uscita dalla città Subterranea?

«Ragazzina, vuoi camminare?!» mi grida, ad un soffio dal mio viso, il Ribelle che mi tiene per il braccio.

«Non potete!» grido di rimando, pentendomi immediatamente di aver sprecato così tanto fiato.

Un'altra strattonata mi fa perdere l'equilibrio e, se non fosse per la mano forzuta che ancora mi sostiene, sarei sicuramente caduta a terra.

«Ma che cos'hai che non va? Devi camminare, ora!»

«Kiran, qual è il problema?» chiede spazientita una voce poco distante.

«Non ne ho idea. Questa qui ha smesso di camminare all'improvviso».

«Questa qui ha un nome, maledetto pezzo di merda che non sei altro!»

Un'altra strattonata più forte della precedente e mi ritrovo distesa per lungo contro il pavimento. A tentoni mi sollevo da terra e sferro un paio di pugni che vanno completamente a vuoto.

«Tu» dice il Ribelle di poco prima, strappandomi via il sacco dalla testa «cammina. Ora.»

I miei occhi si sorprendono di ritrovare luce lì dove erano convinti di perdersi nella più completa oscurità. Le fiaccole sono ancora accese e, nella penombra della galleria sotterranea, mi rendo finalmente conto di quello che mi circonda. Quattro ribelli, suppongo gli stessi che ci hanno selezionate nel dormitorio, di cui tre impegnati a mantenere la presa su di noi prigioniere ed uno in testa che guida la fila. Butto gli occhi su quello che è tornato a circondarmi un braccio e noto quanto sia alto rispetto alla mia gracile figura. Sembra soltanto l'ennesima ombra in un mosaico di centinaia di altre ombre, ma le fessure del passamontagna mi permettono di scorgere i suoi occhi e sono verdi come lo smeraldo più puro.

«Cos'hai da guardare?» borbotta lui, fissandomi a sua volta «Cammina».

Controvoglia, confusa dalle circostanze e sul punto di cadere tramortita a terra, riprendo a muovermi sospinta da quella mano grande dalle dita sottili. Smeraldo, smeraldo come gli occhi grandi dell'amica che è stata lo scarto della cucciolata. Trascorrono alcuni minuti e l'ossigeno sembra il regalo più prezioso che mi sia mai stato fatto fino ad ora ; persino quello polveroso delle gallerie. L'ultima fiaccola accesa che illumina il corridoio sembra volerci dire addio con il suo tremore irregolare. Il Ribelle a capo del gruppo si ferma e si volta verso quello al mio fianco.

«Kiran» si limita a dire, con un gesto del capo in direzione della fiaccola.

Kiran dagli occhi color smeraldo annuisce e lo stupore prende il posto della paura. La fiaccola si solleva dal gancio di ferro fissato nella parete e comincia ad oscillare in aria, la fiamma ancora vivida. Sorvola le nostre teste sino a raggiungere quella del capogruppo che l'afferra con un balzo e la stringe tra le mani.

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