Lividi e lucciole .

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Karma mi posa il volto sull'incavo della spalla, avvolgendomi in un abbraccio da dietro. Il fuoco scoppietta caldo ed oscilla mosso dalla brezza che s'insinua tra le montagne ed ora riscuote le fronde. Chiudo gli occhi e vedo quel calore, quella luce arancione soffusa che mi si para davanti agli occhi e sembra essere immortale. Comincio a singhiozzare e, all'unisono, il mio pianto e quello della ragazza alle mie spalle si fondono. Voglio solo piangere tutto quello che ho in corpo per ripulirmi dallo sporco. E vedo quegli occhi cristallini nella sporcizia. Spalanco le palpebre e sussulto, poi un altro singhiozzo mi sovrasta.

«Mi dispiace tanto.» mi sussurra Karma «Non ti ho protetta come avrei dovuto».

Scuoto la testa e mi sfrego il naso contro il dorso della mano «non hai nessuna colpa».

Lei sospira con violenza «sei stata tu a salvarci. Non mi sono mai sentita così impotente in vita mia».

«Già,» mormoro con un filo di voce «impotente».

Karma si solleva da terra con un gemito di dolore, e poi si allontana zoppicante verso il resto del gruppo. Resto seduta ad osservarli ; tutti attorno a quell'albero nel limitare del bosco, dove vi è legato l'unico Errante sopravvissuto per nostro volere. Lo stanno interrogando. Yuri dice che gli Erranti si tengono alla larga dai Ribelli, in genere, e che dietro questa piccola imboscata vi è sicuramente di mezzo lo zampino della Confraternita. I volti che osservano la scena inebetiti, si tengono a debita distanza da Kiran. E' al centro del gruppo e sferra colpi a non finire. Muove le labbra, chiedendo probabilmente qualcosa, poi il suo pugno impatta con violenza contro il viso dell'Errante e questo si accascia inerme su se stesso, tramortito. Vorrei alzarmi per fermarlo, ma non so se sono in grado di guardare quell'essere immondo negli occhi. Ho bisogno di stare sola, di riflettere, di sentirmi grata per come sono andate a finire le cose. Ma come potrei, in fin dei conti?

Una voce dolce e maschile risuona nell'oscurità alle mie spalle «Ethel».

Mi volto, è Samuel. Ci scambiamo una lunga occhiata che parla più di mille parole. Le sue iridi blu si fondono con le mie. Brillano di lacrime, le labbra si stringono in una smorfia di dolore e, subito dopo, in un sorriso tirato.

«Come ti senti?» mi chiede, sedendosi sull'erba al mio fianco.

Una risata amara mi esplode involontariamente dalle labbra «mai stata meglio, Samuel».

Allora la sua mano s'infila tra le ciocche di capelli e mi accarezza fino a scivolare lungo lo zigomo e poi lungo la guancia. Un gesto delicato, come fatto ad una bambina dal proprio padre. Adagio la nuca contro le sue dita e poi contro la spalla. Restiamo in silenzio ; i nostri respiri che si fondono assieme al calore del fuoco.

«Non credo di aver mai avuto così tanta paura in vita mia» ammette, con un moto di tristezza nella voce «pensavo che fossi morta».

Scuoto la testa. Una lacrima mi scende rapidissima lungo il viso e la imprigiono con i polpastrelli.

«Hanno provato a...»

Samuel mi porta le dita contro le labbra e le lascia lì, poi mi cinge le spalle con un braccio e mi avvicina a sé.

«Non dirlo, ok? Altrimenti vado lì e uccido all'istante quel selvaggio».

«E a che servirebbe?» chiedo, soffocando un singhiozzo muto.

Lui fa spallucce «servirebbe a calmare la mia rabbia, Ethel. Lo voglio morto con tutto me stesso».

Silenzio. La sua mano calda che scivola lungo le ciocche umide dei miei capelli. Mi sento al sicuro tra le sue braccia. Il mio amico, la sua voce morbida che non mi abbandona mai. Vorrei poter dimenticare tutto, ma so di non esserne in grado.

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