6. L'ultima volta

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6.

La strada sembrava infinita, o forse era Joseph a sbagliare costantemente svincoli, e avrebbe dato la colpa al suo non saper leggere il navigatore, se in realtà dentro di sé non sapesse già che la colpa era della sua ossessione: non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, dai suoi capelli, dalle sue gambe scoperte, dalle labbra carnose, dalla pelle lucente.
Cantava, una mano fuori dal finestrino, mentre lui le borbottava appena:"Statte attenta, che se passa un motorino te fai male..."
E lei rideva, e sembrava quasi che fossero da soli in macchina, e Joseph si chiese se fosse quella la vera felicità.
E probabilmente non lo era, perché nonostante il sorriso che gli aleggiava costantemente sulle labbra alla sua sola vista, dentro di sé provava una grande malinconia al solo pensiero che era tutto illusorio perché non poteva neanche banalmente metterle una mano sulla coscia, non poteva dirle quanto fosse bella con la luce delle stelle che le illuminava gli occhi color miele e non poteva baciarla ad ogni semaforo rosso. E provava anche un forte senso di disgusto verso se stesso perché la sua mente non era in grado di non produrre pensieri perversi, di non immaginarla sui sedili posteriori o stesa sul letto di casa sua. Lei, che rappresentava la purezza e la genuinità in tutte le sue sfaccettature.
Ed era vero, non era la felicità, ma si avvicinava, perché ormai erano anni che quella cosa astratta, fallace, apparante che tutti chiamavano felicità, non gli apparteneva. Come due rette parallele, non c'erano punti di intersezione ed erano destinati a non incontrarsi mai.
Eppure lei era capace di scombussolargli anche quella certezza, 'che lei era in grado anche di capovolgere teoremi e assiomi, comprovando che la matematica fosse una semplice opinione e non verità scientifica.

Quando arrivarono a destinazione, c'erano già tutti. Holden non sapeva chi fosse stato effettivamente invitato, sapeva solo che avrebbe voluto essere ovunque tranne che lì.
Quando entrò in casa, accolto con un bacio sulla guancia dalla padrona, venne investito da una testa bionda che gli saltò addosso, abbracciandolo.
"Bro, mi sei mancato!"-esclamò Valentina, stritolandolo.
Joseph sorrise, stringendola a sé.
"Ma che ce fai a Roma, come stai?"-le disse quando si staccarono. In quella settimana non aveva avuto tempo neanche di rispondere a sua madre, figurarsi parlare con uno di loro.
"Sono scesa per questa rimpatriata. Va meglio Jo, va meglio."-disse solenne, un sospiro seguito da un sorriso.-"Ci sono tutti di là, Mat e Simone ti vogliono salutare."
"Anch'io li voglio salutare."
E lasciò andare un sospiro: aveva provato un profondo senso di inadeguatezza, di pesantezza al solo pensiero di quella serata. Aveva sentito un peso comprimergli la gabbia toracica, impedendogli di respirare e spesso si era ritrovato a boccheggiare, con i polmoni poveri di ossigeno. Eppure rivedere quelli che erano stati i suoi pilastri all'interno della casetta, le sue spalle, le sue colonne portanti, lo aveva rilassato e mai come allora si rese conto di quanto la sua ansia lo portasse a perdersi dei momenti che di spaventoso e invalicabile non avevano nulla.

"Mi rifiuto di credere davvero che nessuno abbia pensato quanto fosse una brillante idea comprare qualche grammo. Siamo a Roma, ci sono spacciatori pure dietro la caserma di polizia."-esclamò Angela, sottolineando la parola brillante, stravaccata sul dondolo situato nell'enorme terrazzo della villetta di Martina, tutto intorno solo pace.-"Parit e pall."-aggiunse decisa, ricevendo sguardi confusi, seguiti da una risatina di Petit.
"Parete?"-borbottò Sarah, che aveva già bevuto qualche bicchiere.
"Parit, Sarah. Sembrate."-spiegò Salvatore, appoggiato alla ringhiera del terrazzo.
Holden rise, mettendo le mani nella tasca posteriore dei pantaloni e lanciando una bustina trasparente in direzione di Lil Jolie.
"No fra, ma tu sei la mia vita."-si illuminò, alzandosi.-"Quanti grammi so?"
"Abbastanza, inizia a girare. Tié, pure 'e filtri cor tritino t'ho portato."-rise, consegnandole anche quelli.
"Ma tu sei un tossico."-disse Sarah, strascicando un po' le o e socchiudendo gli occhi.
"Me rilassano."-fece spallucce, mettendo una mano nella tasca anteriore e cacciando una canna già fatta e mettendosela tra le labbra.
"Ma già la tenevi!"-strillò Angela.
"Seh, e a casa mia questa se chiama personal."-mugugnò, mentre la accendeva.
Lil alzò le mani, entrando dentro alla ricerca di un tavolo dove poter compiere le sue magie.
Holden non si era reso conto che in terrazza erano rimasti solo lui e Sarah.
"Ma non ti fa male?"-gli disse nel silenzio.
"Le collere fanno male, Saretta."-disse mestamente, guardando l'orizzonte.
Erano in aperta campagna, c'erano solo alberi e prati difronte a sé e dentro di sé sentiva una profonda pace. Se porgevi l'orecchio, ogni tanto riuscivi perfino a sentire il bubolare dei gufi.
"E smettila di chiamarmi Saretta."-piagnucolò, mettendosi affianco a lui e poggiando la testa sulla sua spalla.
Joseph rise, ciccando sulla ringhiera, facendo finta che la sua pelle non stesse bruciando attraverso il tessuto sottile della t-shirt bianca che indossava, nel punto in cui i suoi capelli lo solleticavano.
"Ti si addice però. Vuoi provà?"-le propose, passandole la canna e guardandola di sottecchi.
"Non era un personal?"-lo scimmiottò, ma la prese.-"Non ho mai provato sai."
Non ebbe il tempo di avvisarla, che lei aspirò e iniziò a tossire, passandogliela subito contrariata.
Joseph rise di petto, poi però le mise una mano sulla schiena e la guardò intenerito:"Vuoi un po' d'acqua?"
"No, sto bene."-borbottò, ancora la voce rauca.-"Ma come fa a piacerti?"
"Perché so abituato. Non è più pesante per me ormai."
"La mia bocca è arida."-si lamentò la ragazza.
Holden sghignazzò: delle volte si dimenticava quanto fosse effettivamente più piccola di lui e quanto determinate cose ancora non avesse avuto il tempo di sperimentarle.
Si incupì però, iniziando a volare con la mente.
"Ci pensi mai che è tutto un sogno e non lo sai?"-le mormorò.
Sarah si andò a sedere sul dondolo, facendogli cenno di sederlesi affianco.
"La vita intendi?"-rispose lei, prendendolo sottobraccio.
Ancora una volta, Joseph dovette far finta che quel contatto non gli avesse provocato la pelle d'oca.
"Già. Che vivemo 'na simulazione e in realtà è tutta 'na farsa. Tutto sto dolore pe niente."
"Se le canne ti fanno questo effetto, mi sa che dovresti... come si dice a Roma? Accannare?"
Accannare in corsivo gli era nuova.
"Non fa pe te er romano, accanna."-rise, un altro tiro.-"So serio, non te guardi intorno e pensi de star vivendo gli Hunger Games?"
"Delle volte mi fermo a guardare le stelle e credo sia assurdo che esistiamo, che magari stiamo tutti in una bolla di vetro e degli strateghi muovano i nostri fili dall'alto."-gli rispose, stendendosi sul dondolo e poggiando le gambe sulle sue. Holden spontaneamente le mise una mano sul ginocchio, iniziando a disegnare ghirigori immaginari con l'indice.
"Pensa svegliatte 'ngiorno e renderti conto che t'hanno tutti pigliato per il culo, tipo Truman Show."
"E pensa svegliarti un giorno ed essere felice, Jo."-mormorò, eppure a Joseph sembrò che stesse urlando.
Quelle parole lo graffiarono e si gelò sul posto, la mano bloccata sul suo ginocchio. Una vera e propria scultura, immobile, pietrificato.
"Te lo giuro Jo, nessuno vuole prenderti per il culo. Nessuno ti odia segretamente e nessuno cerca di farti del male. Il dolore sta tutto qua."-sussurrò ancora, mettendosi a sedere e toccandogli la tempia con l'indice.
"Forse me so preso a male 'sta canna."-cercò di sdrammatizzare, e Sarah sembrò assecondarlo, ridacchiando appena. Però gli lasciò una carezza sulla barba ispida, i suoi occhi che lo avvolgevano in una morsa bollente.
Sarah in realtà gli stava dicendo che li capiva, i suoi pensieri, che i suoi viaggi la affascinavano e che anche lei credeva che il mondo fosse solo una grande incognita. Gli stava dicendo che non c'era bisogno di fingere con lei, perché lei riusciva a scorgere i piccoli pezzi di Joseph che si intravedevano attraverso la corazza di Holden.
"Forse dovresti smettere di fumare."-gli consigliò la ragazza.
"Smetterò de fuma' quando una mattina me sveglierò freddo e cor papillon."
Sarah rise di cuore, buttando la testa all'indietro.
"Sei bella Saré."-gli uscì di getto.
Lei gli sorrise. Lui si avvicinò, allungando una mano, che si perse nei suoi capelli.
Sarah si alzò, e Joseph venne attraversato dal gelo che la sua assenza aveva portato. Lei, che era fuoco puro.
"Ti servirà molto più di una Luna e due parole apparentemente poetiche per convincermi che ne vali la pena."-si chinò, le mani a coprire la scollatura, sfiorandogli appena la guancia con il fantasma di un bacio e lasciandolo sul terrazzo in balia dei suoi pensieri.
Solo che Sarah già sapeva che Joseph ne valeva la pena, che lo avrebbe seguito in capo al mondo se avesse significato stare con lui, che le sue mani avevano lasciato cicatrici dove lui l'aveva toccata.
Era Sarah a non credere che lei valesse la pena, 'che lei aveva paura lui notasse quanto poco profonda fosse, quanto la superficialità che occupava ogni centimetro del suo corpo fosse in realtà padrona di lei stessa, quanto fosse un dramma per lei scegliere se mettersi un vestito rosa con le paillettes o uno nero di velluto, quanto amava divertirsi ai festini alcolici muovendosi a ritmo di canzoni che tutti conoscevano ma che a nessuno piacevano e quanto ridacchiasse nel leggere un romanzo leggermente più spinto.
Sarah aveva la certezza che lui si fosse fatto un'idea completamente sbagliata di quella che era, e non voleva che lui capisse chi fosse realmente: le piaceva la persona che lui si ostinava a vedere, e che in realtà non era.
Amava la persona che viveva nei suoi occhi.
Joseph era una persona migliore di quanto lei mai sarebbe stata, ma aveva anche il terrore che lui prima o poi si rendesse conto di aver bisogno di una donna al suo fianco, e non di una ragazzina che non sapeva dove scendere il sabato sera, la quale Sarah ancora si sentiva. Aveva paura che lui si stancasse facilmente della pochezza del suo intelletto.
Ed era vero che Sarah era fuoco, e scioglieva il ghiaccio di Holden, ma allo stesso tempo quel gelo che circondava il ragazzo faceva evaporare le sue fiamme, e insieme si consumavano.
O forse si miglioravano, forse era necessario che entrambi tornassero a temperatura ambiente, per riuscire a mettere pace nel loro cuore.
Eppure il suo corpo fremeva ogni volta che lui le era vicino, la pelle prudeva quando lui non la toccava e i suoi occhi si perdevano tra folla, cercandolo, quando lui non era con lei.
Sarah però non sapeva che una qualità di Joseph era osservare dove gli altri guardavano solo, e che lui aveva imparato a conoscerla molto più di quanto lei stessa si conoscesse.

Atelofobia; an holdarah fanfiction.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora