7.
"Sei ancora a Roma?"-leggeva sul display del suo cellulare Sarah Toscano.
Trattenne un respiro e fu difficile ammettere che il suo cuore saltò qualche battito.
Effettivamente Sarah era ancora a Roma: erano giorni ormai che cercava un appartamento in una zona che fosse centrale ma neanche troppo affollata. Lei, Marisol e Sofia si erano messe già precedentemente d'accordo che, almeno per i primi mesi, avrebbero convissuto. Per il momento, però, soggiornavano ancora nello stesso hotel a pochi passi da Piazza Navona.
"Sempre qui. Hai bisogno di qualcosa?"-rispose, e le dita le iniziarono a tremare quando vide che già stava scrivendo.
"Perfetto, perché sono giù da te."
Sarah sgranò gli occhi, correndo davanti allo specchio e notando le occhiaie che le solcavano gli occhi, reduce da quattro ore di sonno a notte dovute ad ospitate in televisione e interviste, oltre che a un gran sano divertimento.
"Ma come sapevi che ero in hotel?"
Domanda non molto banale, contando che era pieno pomeriggio di una giornata soleggiata nella capitale, e dopotutto Sarah era stata anche una turista nei giorni precedenti.
"Un aiutino da Marisol:)"
Sorrise a quel messaggio, ricordandosi però di dover legare la ballerina ad un lampadario come vendetta.
"Scendo."-scrisse velocemente, raccattando le chiavi dell'hotel e dandosi una sistemata veloce ai capelli.
Quando scese, però, di Holden nemmeno l'ombra. Sentì però un clacson e spostò lo sguardo verso sinistra, e dall'altra parte della strada vide una sorta di camioncino bianco che a Sarah ricordava molto quello dei gelati nei film americani.
Spalancò la bocca quando vide Joseph scendere proprio da lì, agitando la mano nella sua direzione.
Attraversò velocemente la strada, e nel frattempo Joseph iniziò ad aprire due finestre poste sul lato del camioncino, rivelando una vetrina.
Quando ci fu davanti, le si illuminarono gli occhi: c'era il gelato nelle vaschette, dal variegato all'amarena, al bacio perugina, al semplice cioccolato.
Joseph nel frattempo era salito nel retro del camioncino, e ora si trovava proprio dietro la vetrina, un cono in una mano e un porzionatore per gelati nell'altra.
"Che gusto preferisce signorina?"-sorrise, e Sarah riuscì solo a guardarlo esterrefatta.-"I veri intenditori di gelato, quale lei sicuramente é, preferiscono sempre il cono, quindi non gliel'ho chiesto."
"Jo... sei pazzo."-riuscì a dire quando ritrovò l'abilità nel parlare.-"Ma dove l'hai trovato un camioncino dei gelati?"
"Ho tante conoscenze piccolì."-le fece l'occhiolino.-"Quindi, che gusto preferisce?"
"Ti lascio indovinare."-decise di stuzzicarlo.
"Team cioccolato bianco Saré, lo so."-la guardò con aria di sfida, e Sarah si ritrovò nuovamente costretta ad aprire la bocca dallo stupore.
"Ma..."
Joseph subito la bloccò:"Non potevo prende' questa iniziativa e non guardare le tue storie in evidenza solo di gelati, non pensi?"-fece spallucce mentre prendeva il gelato dalla vaschetta, posizionandolo sul cono.
"Poi mi è sembrato tu sia tipo da pistacchio."-ragionò, cercando con gli occhi la sua approvazione.
Sarah sorrise, annuendo e dondolandosi su una gamba, imbarazzata.
"Ecco a lei. Offre la casa."-le porse il gelato, la bocca che si apriva mostrando tutti i denti.
Sarah si lasciò andare ad un gemito quando assaggiò il cioccolato bianco, per poi dire:"Io amo il gelato."
Nel frattempo Joseph l'aveva raggiunta, un cono anche nella sua mano.
"Che gusto?"-gli chiese distratta, dedicandosi completamente al suo gelato.
"Bacio e kinder, so' un bambino."-poi aggiunse, indicandola con la mano libera.-"Ma te stai a sbrodolà, te cola ovunque!"
Sarah rise, mentre tentava di pulirsi le mani leccandosele velocemente.
Joseph venne attraversato da una serenità mai avuta prima quando la sua risata gli attraversò il corpo facendogli vibrare persino le ossa.
"Aspe, tiè."-le disse, porgendole dei fazzoletti.-"T'aiuto."-mormorò, mentre si avvicinava, ad un palmo dal suo viso, passandole il tovagliolino ruvido, che tutto faceva fuorché pulire, sull'arco di cupido.
Sarah lo guardò inebetita, una scarica di adrenalina che le attraversava il corpo mentre sentiva il respiro del ragazzo fondersi al suo.
"Che vuoi da me, Jo?"-riuscì a mormorare, boccheggiando appena.
"Voglio fa' le cose per bene Saré. Te voglio portà al mare co' la salsedine che ce pizzica addosso, ma io non ce penso perché sto con te. E a me la salsedine me dà fastidio. E te voglio porta' a dipinge' il tramonto..."-abbassò il tono, quasi sussurrandole, quasi le stesse per confessare i segreti più reconditi della Chiesa Cristiana.-"...che nessuno dei due sa dipingere e io non guarderei il tramonto ma te."
Sarah non gli rispose. Aveva i residui del gelato appena mangiato sui vestiti e sulle mani.
"Damme una possibilità. Lo vedo, come mi guardi. Non so' un visionario."
Lui il suo gelato neanche lo aveva finito, lo aveva abbandonato al suo destino nel cestino posto sugli scalini del camioncino. Aveva la bocca semichiusa, in attesa, mentre le porgeva il suo cuore di spine tra le mani; Sarah aveva paura di pungersi, con quelle spine, e di dormire per 100 anni. E la verità è che forse avrebbe acconsentito, se ci fosse stata anche la più recondita delle possibilità che poi, dopo quel secolo, sarebbe stato lui a spezzare la maledizione con il bacio del vero amore. 100 anni di occhi chiusi ne sarebbero valsi la pena, se quando li avesse aperti avrebbe incontrato i suoi.
Sorrise, eppure c'era dell'amarezza. In qualche modo, sapeva che le spine erano l'epilogo che meno le avrebbe fatto male.
"E quindi, quando mi porti al mare?"-gli disse, e a malapena riuscì a terminare la frase che Joseph aprì le braccia, stringendola a sé e lei affondò il viso nel suo petto, chiudendo gli occhi. I suoi vestiti erano impregnati dell'odore del tabacco, e di qualcos'altro, più acre, che assomigliava tanto all'odore delle foglie cadute in autunno. Assomigliava tanto all'odore del dolore in una giornata estiva seduti su una sedia di plastica, le gambe appoggiate su un tavolo traballante come i pensieri.
Joseph le affondò le mani nei capelli, sospirando, il mento poggiato sulla sua testa.
Chiuse gli occhi, e per un momento la paura scomparì, facendogli prendere una boccata d'aria fresca. Si inebriò dell'odore della primavera che i capelli di Sarah trasudavano, l'odore della malinconia di un estate adolescenziale.
L'odore, però, della paura che, in un modo o nell'altro, riusciva ad insinuarsi nei suoi neurotrasmettitori, che poi diffondevano l'informazione a tutte le sue cellule. La paura del buio che ti avvolge in una morsa soffocante, o forse in un abbraccio che ti culla.
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Atelofobia; an holdarah fanfiction.
FanfictionHolden vive nel terrore del passato e del futuro e nell'incapacità di lasciarsi andare nel presente. Sarah vede ancora il mondo con gli occhi di una bambina, lasciandosi attraversare dalla vita. I punti di vista di due ragazzi ai poli opposti della...