13.
Quando Sarah aprì gli occhi, sentì il braccio di Joseph sotto la nuca. Lei aveva una mano poggiata sul suo petto e il lenzuolo li copriva fino alla vita.
Sorrise, quando si soffermò sul suo viso: la bocca semiaperta, i capelli disordinati su cui picchiava il sole rendendoli quasi rossicci, le lentiggini che si mostravano appena si esponeva un po' al sole.
Soffocò una risata quando sentì che stava russando, non troppo da darle fastidio ma abbastanza per prenderlo in giro.
Qualcosa poi l'attraversò, un brivido lungo la schiena, la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato, un ricordo che affiorava e che era incapace di tenere a freno.Il sole filtrava tra i buchi delle persiane, mentre il suono di una sveglia le faceva aprire gli occhi impiastricciati di sonno.
Si portò una mano al collo, in cui sentiva mille aghi conficcati: non era il massimo della comodità dormire in un letto singolo in due persone.
Nello stesso momento, si svegliarono anche Joseph, Elia e Giovanni.
"Di chi è la sveglia?"-mugugnò il ballerino, rigirandosi dall'altro lato.
"È la tua, coglione."-esordì Ayle innervosito, mettendosi a sedere per raccattare un cuscino ai piedi del suo letto, che poi gli tirò addosso e portandosi poi il suo sulla testa con fare adirato.
Sarah, un sorriso ad adombrarle le labbra, aveva lo sguardo fisso su Joseph, che si era portato un braccio sugli occhi, un broncio a contrargli il viso.
"Me sa che stamattina ce svegliamo presto, eh Giovà."-sbottò, scostando violentemente il piumone e alzandosi.
In poco meno di un secondo, Sarah si rabbuiò.
"Scusa Saré, hai dormito bene?"-le disse poi, guardandola, mentre si scrocchiava la schiena.
C'era qualcosa però, nel suo tono di voce sbrigativo, secco, che la fece annuire appena.
Era ovviamente distaccato, ma Sarah era stata una stupida ad aspettarsi altro.
Joseph la soppesò con lo sguardo, poi uscì dalla stanza.
"Tu stai ancora appresso a sto deficiente."-borbottò Ayle, la voce rauca.-"Ma so solo le 7:30, Giovà se ti prendo, ti riempio."
Sarah rise, eppure gli occhi erano spenti mentre osservava le sue mani torturarsi le pellicine.Joseph aprì gli occhi e Sarah ebbe paura. Paura che potesse allontanarla, scrostarla violentemente con sdegno e abbandonarla lì, sul letto.
I sentimenti erano qualcosa di imprevedibile e di labile, e sapeva che un giorno Joseph si sarebbe svegliato e l'avrebbe abbandonata.
"Mhm, sei sveglia."-le sorrise, e con la braccia la circondò, stringendola a sé, lasciandole un bacio fugace sulle labbra.
Sarah permise ai suoi nervi di sciogliersi.
"Mi sono appena svegliata in realtà."
La sua voce venne soffocata dalle sue braccia che la stringevano, le mani che le carezzavano i fianchi nudi.
"Come fai ad esse così bella pure appena sveglia co l'alito che te sa de fritto misto?"-scherzò, mentre la guardava dall'alto, un ginocchio poggiato al letto.
"Non è che il tuo alito odori di rose eh."-disse, incrociando le braccia a nascondere il seno ancora nudo, facendo finta di essersi offesa.
"Ma..."-disse, strascicando la vocale.-"a che ora c'hai er treno?"
Sarah controllò velocemente l'orario sul cellulare, constatando fossero le 9:34.
"Tra circa 3 ore."
"Mhm, posso proporti una doccia insieme?"-ammiccò.
"Ah mo puzzo pure?"
"Se per convincerti a venire con me, devo dirti che puzzi, allora si, puzzi."
Le lasciò un bacio sul naso, poi le posò una mano sulla guancia e la attirò a sé in un bacio.
Poi Joseph scese dal letto, andando dal lato di Sarah e prendendola in braccio, dirigendosi verso il bagno.
La stanza venne riempita dalle loro risate, mentre Aria e Latte miagolavano ai piedi del letto, offesi di non essere stati salutati con una carezza.
Joseph pensò che la risata di Sarah fosse quello che più di simile c'era al canto delle sirene: era ammaliato e sapeva che non ne avrebbe avuto mai abbastanza. Non biasimava i marinai che cadevano vittima degli artefici delle sirene, lui provava le stesse sensazioni: si sentiva completamente soggiogato quando la sentiva ridere.12 giugno 2024.
"Semo tutti a Roma, o stasera organizziamo sta partita, o io abbandono il gruppo."
Sarah lesse ad alta voce nel gruppo intitolato "calcetto" proprio dalla persona che aveva inviato il messaggio: Holden.
Marisol la guardò sogghignando, l'iqos stretta in una mano e le gambe stese sul tavolino difronte a lei.
Si trovavano a casa di Sarah, fuori al piccolo terrazzino. La padrona di casa aveva velocemente comperato sedie a sdraio e tavolino da porre fuori per poter prendere il sole in tranquillità.
"Mi sa che stasera si gioca a calcio."-fece spallucce Sarah, la bocca arcuata in un sorriso.
Lei, a differenza di Marisol, si era rintanata nell'unico lembo di luce solare che era rimasto sul terrazzo, gli occhi chiusi mentre il sudore le imperlava la fronte. Ogni tanto si bagnava il viso con uno spruzzino riempito d'acqua.
"Faremo le cheerleader."-rispose la cubana.
"Ah sicuramente, Jo non ci farebbe giocare neanche sotto tortura."-ragionò, poi imitò un tono di voce grave, aggiungendo.-"Lui è il maschio alpha, le partite sono importanti, deve fare goal da centrocampo."
"Speriamo sia un campo regolamentare."-rise Marisol.-"Allora, come va con lui?"
Sarah aprì un occhio, guardandola, notando il suo sguardo accorto.
"Bene Mari."-disse con un sospiro.-"È tutto così... strano."
Ci fu silenzio, in cui Sarah cercava di raggruppare tutti i pensieri che le frullavano in testa e dargli un senso: invidiava questa cosa a Joseph, la capacità di saper formulare un pensiero che ti avrebbe reso trasparente, che l'altra persona avrebbe sicuramente capito. Lei era incapace di spiegare cosa provasse.
Non era come un'intervista: lì riusciva a sciogliersi, ad essere a suo agio e parlare della sua musica, a volte pure a mentire se necessario.
Eppure quando si trattava di parlare di ciò che provava, le risultava sempre difficile.
Credeva che il suo cuore fosse analfabeta e che non fosse in grado di inviare al suo cervello le informazioni adatte con cui tutti avrebbero potuto capirla.
Marisol però attese, come se riuscisse a vedere tutte le parole che le vorticavano attorno alla testa e che Sarah avrebbe voluto dire, ma che era incapace di mettere insieme.
"Ci sto tanto bene. Mi sento al sicuro, quando sono con lui. È tutto così nuovo, non mi sono mai sentita così."
"Però, c'è un ma, giusto?"
Marisol alzò un sopracciglio.
"Ma sono terrorizzata."-le diede ragione, sbuffando poi e mettendosi a sedere, piccole ciocche di capelli sfuggirono dal suo chignon improvvisato, ricadendole sul viso.
"Lui fa di tutto per me, per esserci anche quando non c'è: mi manda i fiori, mi manda la colazione, mi manda costantemente messaggi anche quando non potrebbe. Mi trova casa!"-disse esasperata.-"Non lo so, mi sembra che ci sia l'inculata dietro l'angolo."
"Sarah perché credi così fermamente che tu non possa interessare a qualcuno per quello che sei?"-disse la cubana, esasperata. Levò i piedi dal tavolino, poggiandoli a terra, e si schiaffeggiò violentemente le cosce con le mani, se le portò poi tra i capelli ricci, come se le mancassero le parole, poi però aggiunse:"Sì, sei una bella ragazza, lo vediamo tutti. Ma ti rendi conto che ci sono tante altre cose dentro di te che la gente riesce a notare? Non tutti notano solo il culo, o le tue labbra, o i capelli lunghi."
Sarah boccheggiò, spostò lo sguardo sul suo telefono che si era appena illuminato: un messaggio da Joseph.
"Tu hai paura, e non te ne rendi conto, perché pensi non sia parte di te. Tu sei allegra, giusto? Tu sei solare, sei gioiosa, nulla ti va mai storto, giusto?"
Marisol era ferrea, era rigida. Il tono era duro, ruvido come la carta abrasiva, e Sarah si ritrovò a dover accogliere tutta la sua fermezza, eppure si rese conto che era proprio quello che le serviva: qualcuno che le aprisse gli occhi davvero, che le permettesse di ragionare e di sviluppare un pensiero critico, non dettato solo dalle sue ansie.
"Sei umana, Sarah. È normale che tu abbia paura, è tutto nuovo. Ma ti credi che io non abbia avuto paura con Salvatore? Paura che mi abbandonasse alla fine del programma, paura per la distanza, paura per tutto? Ma dobbiamo schiacciarla, questa paura."-si diede un pugno sul palmo della mano aperta, per sottolineare il concetto.-"Permettiti di provare, lasciati attraversare dalle emozioni, qualsiasi esse siano. La possibilità dell'amore infonde sempre un po' di paura, ed è normale: stai dicendo ad una persona ecco, questo è il mio cuore, ti prego non fargli del male ma non puoi far niente per fare in modo che la persona difronte a te non lo schiacci tra le mani."
Calò il silenzio, ma Sarah riusciva a vedere tutte le parole di Marisol vorticare nell'aria, e le immaginava tutte con tanti piccoli spigoli smussati. Smussati cosicché non avrebbero potuto graffiarla; Marisol non lo avrebbe mai fatto.
"È che..."-la voce era incrinata, bassa, ma gli occhi erano asciutti.-"Io ho paura del contrario. Ho paura che lui tenga a me più di quanto io tenga a lui. Mi sembra di non fare nulla per lui. Lui sembra così preso ed io semplicemente mi limito ad essere la sua bambola."
"Sarah, siamo tutti diversi."
Marisol si era calmata, ora il tono di voce era più docile, quasi dolce.
"Ognuno esterna i propri sentimenti come meglio crede, non per questo sono meno validi. Io lo vedo, come lo guardi, come lo cerchi. E vedo la tua serenità, quando sei con lui. E vedo anche la sua serenità. Lo hai aspettato per mesi, senza neanche accorgertene. Non credi sia abbastanza come dimostrazione? Lascia che sia lui, ora, a dimostrare."
Sarah annuì, sorridendole. Si alzò, andando ad abbracciarla.
"Stupida che sei."-le mormorò, una mano tra i capelli e una sulla schiena, carezzandola.
Sarah la stritolò animatamente, eppure il suo sorriso era amaro.
Non si riteneva una persona superstiziosa, eppure sentiva un peso sul petto, come se ci fosse un non detto.
Il suo sesto senso le stava dicendo di fermarsi, che c'era qualcosa che non andava.
Un macigno sembrava bloccarle il respiro, mentre il cuore faticava a pompare il sangue necessario per tutti i suoi organi, e neanche le parole di Marisol-che sembravano così dannatamente giuste-erano riuscite ad alleggerirlo.
E la cosa che la faceva stare peggio, era che le sue sensazioni non sbagliavano mai.
Mai come prima, sperava che fosse tutto frutto della sua immaginazione.
Lo schermo del suo cellulare si illuminò nuovamente e Sarah si staccò da Marisol, rispondendo alla chiamata di Joseph.
"Dimmi tutto."-disse, l'ombra di un sorriso, una mano sul petto.
"Ma pe caso è 'n problema pe' te se stasera conosci i miei fratelli e mi cugino?"-sparò a bruciapelo.-"Te prego dimme de sì, ce servono 3 persone pe arrivà a 10, dovemo fa le squadre da 5."
Sarah sbiancò, però gli rispose:"Com'è che era? Il giorno che ti dirò di no..."
"Daje! Sei a vita mia."
Sarah riusciva ad immaginarsi perfettamente la sua mano stretta a pugno che fendeva l'aria mentre sorrideva. Le scappò una risata. Sembrava un bambino, la sua voce trasudava gioia e Sarah avrebbe venduto l'anima al diavolo per vederlo sempre così: sereno.
"Te devo abbandonà, ci vediamo stasera. Un bacio."-disse velocemente, facendo sentire lo schiocco di almeno cinque o sei baci ripetuti.
"Un bacio."-mormorò intenerita.
Il peso si affievolì. Lasciò ricadere la mano lungo il fianco."Uoooo!"-esultavano le ragazze.
In campo erano presenti praticamente tutti: in una squadra Joseph, ovviamente in prima linea, Tancredi, Elia, Jader e Jacopo, nell'altra Mida, Tiziano, Nicholas, Salvatore e Giovanni.
L'incontro con i fratelli Carta non era stato particolarmente traumatico, anche perché Joseph era in evidente fibrillazione e non vedeva l'ora di mettere piede in campo."Finalmente ci conosciamo, ti mentirei se non ti dicessi che Joseph ci ha parlato spesso di te. Io sono Jader."-l'abbracciò il ragazzo, un sorriso elegante e smagliante che gli attraversava il viso.
"Daje Jo, a poi lascià eh, nessuno te la prende."-rise Jacopo, notando le mani dei due ragazzi ancora intrecciate, che rendevano difficoltoso a Sarah l'abbraccio con Jader.
"Ma tu non perdi mai la voce? Un mal di gola, una tracheite?"-rispose ironico il diretto interessato.
"Sano come un pesce."-fece un sorriso sornione, mentre anche lui si presentava.
"Daje annamo a giocà."-tagliò corto, allontanandosi dai ragazzi e iniziando a saltellare verso il campo.
"Ma cosa ci vedi in lui?"-borbottò Jader, mentre osservava il fratello minore quasi inciampare sull'erba del campetto.
Improvvisamente Joseph si girò, correndo indietro.
Velocemente lasciò un bacio sulle labbra a Sarah, il quale la lasciò interdetta e anche divertita.
"Quasi me dimenticavo."-disse solo il giovane, per poi correre nuovamente verso il campo.
I fratelli Carta si portarono le mani al viso.
"Sta cotto marcio."-dissero all'unisono."Let's go guys!"-esultò Lucia, mentre la gonna plissettata le ondeggiava attorno ai fianchi.
"Oh oh sta per segnare!"-disse Marisol, indicando Joseph che correva in direzione della porta avversaria, dove ad attenderlo c'era Tiziano.
Kumo si lanciò, cercando di intercettare la palla, senza alcun risultato perché questa lo sorpassò, finendo in rete.
Holden iniziò a correre per tutto il campo, esultando e sfilandosi la maglietta, mentre Christian e Salvatore scuotevano la testa, inveendo contro Giovanni.
"Ma cazzo ma lo volevi marcare un po'!"-si lamentava Salvatore.
"E che devo fare tutto io?"-sbottò Giovanni.
Il suo accento barese calmò gli animi, provocando una risata generale.
Sarah improvvisamente vide Joseph venirgli incontro, salendo sulle tribune.
Avvolse le braccia attorno alle sue ginocchia, alzandola in aria, mentre continuava ad esultare.
Sarah rise, tenendosi stretta alle sue spalle.
Quando la mise a terra, le prese il viso tra le mani e disse, entusiasta:"Te lo dedico."
Mentre Sarah era in aria, stretta tra le braccia di Joseph, non avere paura di cadere.
Sapeva che, se anche avesse perso la presa, sarebbe stato in grado di salvarla, e piuttosto di farle male, si sarebbe buttato lui a terra per cercare di attutire la sua caduta.
L'aria le attraversava i capelli, mentre il sole tramontava. Erano più o meno le 20:30, e Sarah avrebbe voluto che quel momento non finisse mai: l'estate in arrivo che permetteva alla Luna di dormire un po' di più e al Sole di illuminare maggiormente le sue giornate, i colori del cielo che si tingevano di rosso e arancione, le braccia di Joseph stretta attorno a lei e le sue labbra che premevano sulle sue.
C'era qualcosa, nel modo in cui lui la stringeva, che le ricordava tanto l'infanzia: il modo in cui una figlia si fida completamente del padre, perché lui è il suo principe, perché nessuno sarebbe in grado di sconfiggerlo, perché il papà è sempre un po' l'eroe di tutte le bambine, l'uomo più coraggioso che mai conoscerai, l'uomo invincibile, che mai avrebbe permesso a qualcuno di anche solo avvicinarsi alla propria principessa.
E Sarah provava quella stessa sicurezza con Joseph, la spensieratezza del vento che le scompigliava i capelli e la libertà che solo l'estate era in grado di farti provare. La sensazione di potersi lasciare andare, di non temere del mondo circostante, perché c'era qualcuno a proteggerti.
Sarah sapeva che Joseph non l'avrebbe mai fatta cadere, eppure perché sentiva le gambe vacillare? Perché sentiva il vuoto, sotto di sé?ANGOLO AUTRICE:
Scusate per il ritardo, faccio mea culpa, ma sono poco ispirata.
Non è una novità che io pubblichi alle 4:59 di un sabato sera ormai.
Non è vero, l'ispirazione c'è, il problema è che i capitoli non vengono come vorrei e mi arrabbio. Le idee ci sono eppure non riesco a metterle per iscritto nel modo in cui meriterebbero.
In terza media scrivevo meglio probabilmente.
Vabbè, smetto di lamentarmi.
Spero vi sia piaciuto, e come sempre, alla prossima!
STAI LEGGENDO
Atelofobia; an holdarah fanfiction.
FanfictionHolden vive nel terrore del passato e del futuro e nell'incapacità di lasciarsi andare nel presente. Sarah vede ancora il mondo con gli occhi di una bambina, lasciandosi attraversare dalla vita. I punti di vista di due ragazzi ai poli opposti della...