12. Ancora

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12.

Il dizionario della lingua italiana parla chiaro: bacio: atto compiuto applicando le labbra e premendole, per un tempo più o meno lungo su persona o cosa in segno di amore, venerazione, affetto, devozione.
Joseph forse avrebbe inserito qualche miglioria, un non so che di poetico, qualcosa che ti facesse capire la reale importanza di quell'atto.
Avrebbe scritto del congiungimento di due anime e su quanto, per pochi secondi, ti sentissi parte di un qualcosa più grande di te. E ancora, il cuore che batte, le mani frenetiche che si appigliano a lembi di carne e il respiro spezzato. La disperazione che c'era, nel tentativo di avvicinarsi ancor più, nel tentativo di assaporare l'altro e farlo divenire parte di sé.
La dolcezza, la consapevolezza di essere accolto dalle braccia dell'altra persona. Il sangue che bolle nelle vene, che ti chiede sempre di più, ancora.
Era, però, d'accordo sul bacio come atto di devozione, di venerazione, perché Joseph venerava Sarah.
Più ci provava, e più faticava a trovarle un difetto: i capelli di seta, ondulati, il naso all'insù sporcato da piccole costellazioni terrestri, le labbra piene, gli occhi grandi, il corpo sinuoso.
Cercava di studiare ogni minima parte del suo corpo alla disperata ricerca di qualcosa che la rendesse meno perfetta, umana, lontana dagli Dei. E più la scrutava, più si rendeva conto che stesse perdendo tempo. Trovarle un difetto sembrava impossibile, e quindi si arrendeva e iniziava ad unire le lentiggini: immaginava di congiungerle, formando prima Orione, e poi Andromeda, l'Orsa Maggiore, e ancora il Sagittario e infine Cassiopea.
Ed ora lui la esplorava, le mani che viaggiavano sul suo corpo, mai troppo invadenti, mai indiscrete, sempre titubante di poterla distruggere, come fosse fatta di cristallo.
E poi lei strinse il tessuto della sua maglietta nelle mani, sui fianchi, alzandogliela. Lui se la lasciò sfilare, poi le disse, a metà tra un singhiozzo e un sussurro:"Se non vuoi, non sei obbligata."
E trovava sempre più difficile fermarsi con lei, perché lui la voleva, la desiderava da prima di quella notte di Capodanno, da prima di aver posato le sue mani su di lei. La desiderava da quando le sue dita volavano leggiadre sul pianoforte e intonava "del verde" e lui si perdeva nella sua voce. La desiderava da quando ai casting sapeva di lei solo il numero che le avevano affidato, attaccato alla maglietta. La desiderava da quando i suoi occhi si erano poggiati su di lei.
Tuttavia, sapeva quanto quel momento fosse importante per lei, quanto lei volesse sentirsi pronta e a suo agio. Quanto volesse che fosse perfetto, per poterlo ricordare con gioia.
"Ancora a chiedere stai."-mormorò, mettendogli una mano sulla spalla e avvicinandolo a sé.-"Non ho bevuto perché aspettavo solo questo."

Nota autrice: scena di sesso incoming, andare più avanti se non la si vuole leggere. Se siete i miei migliori amici, per la mia sanità mentale, saltate questa parte.

E Joseph si lasciò andare. Le sfilò il top bianco che indossava, constatando che al di sotto non aveva altro. I capelli ricaddero scomposti, a coprirla, ma Sarah decise di spostarli all'indietro.
Joseph ammiccò un sorrisino.
La baciò, prima sulla bocca, poi sul mento, scendendo sul collo e soffermandosi nell'incavo del seno, e poi ancora sull'ombelico dove luccicava il suo piercing.
Si fermò quando incontrò la sua gonna di jeans, e dal basso la guardò, chiedendole il permesso.
Lei annuì, gli occhi lucidi, il respiro spezzato, il petto che si alzava e si abbassava velocemente.
Joseph le sbottonò la gonna, che abbassò velocemente. Sarah lo aiutò, alzando il sedere per permettere di sfilargliela.
Holden si fermò a contemplarla, mentre lei si agitava sotto di lui chiedendone ancora; le posò una mano all'altezza della vescica, premendo leggermente, con l'altra le spostò lentamente il tessuto delle mutandine in pizzo nere.
Sarah trattenne un respiro quando Joseph la penetrò con un dito, che dopo poco venne seguito da un altro, mentre il pollice ruotava attorno al clitoride. Inarcò la schiena, andandogli in contro, mentre sulle pareti rimbalzavano i suoi sospiri.
C'era qualcosa nel donarsi all'altro, nel vederlo gemere grazie a te, che rendeva Holden orgoglioso.
Sarah era sotto di lui, mentre si contorceva, chiedendogli di non smettere e di continuare, mentre stringeva le lenzuola tra le mani; si portò una mano sul seno mentre l'orgasmo arrivava. Il suo corpo si irrigidì mentre le gambe iniziavano a tremare e Joseph cominciò a rallentare.
Sarah si portò una mano tra i capelli, mentre Joseph mappava nuovamente il suo corpo di baci, arrivando alla sua bocca.
Sarah respirava affannosamente sotto il suo corpo.
"Beh..."-mormorò.
Joseph rise, mentre scendeva sul collo, iniziando a mordere e succhiare la zona.
Sarah chiuse gli occhi, beandosi di quella sensazione.
"Voglio sentirti."-disse improvvisamente la ragazza.
Joseph allora aprì il cassetto del comodino affianco al letto, estraendone un preservativo che appoggiò momentaneamente sul letto.
Tornò da lei, mettendole una mano tra i capelli e baciandola. Sarah iniziò a sbottonargli il jeans, che lui si sfilò, buttandolo ai piedi del letto.
Insieme ad esso, caddero anche i suoi boxer e gli slip di Sarah.
Joseph prese il preservativo, aprendolo con i denti.
"Te prego, dimme se te faccio male."-le disse in un sussurro, le mani poggiate ai lati della sua testa per sorreggersi.
Sarah annuì.
Con una leggera spinta, entrò in lei. Sarah affondò le unghie nella sua schiena, gemendo per il dolore.
"Ti fa male?"-le chiese, muovendosi lentamente.
"Mhm."-mugugnò, annuendo.
"Se vuoi smetto."
Sarah scosse la testa, aggrappandosi ancor di più a lui per farlo entrare più in profondità; questo gesto strappò un gemito a Joseph.
Ci volle poco per abituarsi però, perché poi il dolore fece spazio ad un senso di completezza, che la mandò in estasi.
Joseph credeva che forse la sua cosa preferita-dopo la musica-fosse fare l'amore.
Sentiva come se la parte mancante di sé, il pezzo di puzzle che stranamente non era nella scatola, magicamente comparisse e si mettesse al suo posto.
La sensazione della pelle contro la pelle, la fronte imperlata di sudore, il piacere che ti fotteva il sistema nervoso, il desiderio di sentire la persona difronte a te parte di te.
Forse amava tanto l'atto in sé perché era la cosa che più si avvicinava alla congiunzione, al divenire una cosa sola con la persona che adoravi. Il sentirsi amato, parte di qualcosa che lo facesse sentire vivo.
E ancora, amava riempirsi gli occhi della bellezza, in tutte le sue forme, che fosse arte o persona, e lui amava riempiersi gli occhi di Sarah.
E quando, poco dopo il secondo orgasmo di Sarah, venne anche Joseph, si lasciò andare al suo fianco, mettendole un braccio attorno alla vita e stringendola a sé.
"Te prego, facciamolo sempre."-le mormorò, lasciandole un bacio sulla spalla.
Sarah si accoccolò nell'incavo della sua spalla, alzando il capo per guardarlo.
"Mi sembra una follia."-gli mormorò.
Joseph la guardò, lasciandole un bacio tra i capelli.
"Perché?"-le rispose solo.
"Essere qui, con te."-le parole si perdevano sulla pelle di Joseph.-"Non ho nulla addosso eppure non mi sento vulnerabile."
C'era coraggio nel mostrarsi nudi dinanzi ad un'altra persona, consapevoli di non aver alcun tipo di protezione.
"Non potrei mai farti del male."-le disse, con un'incrinatura nella voce, un piccolo tentennamento, come se sapesse in realtà di non poterlo promettere.
"Non fare promesse che sai di non poter mantenere."-un attimo di silenzio, un bacio a mezzaluna.-"Donarsi all'altro significa mettere in conto di poterne uscire distrutto. Io mi fido di te."
Joseph sorrise, un'amarezza nascosta dietro le labbra.
"Vorrei morire così."-sussurrò, sospirando, gli occhi chiusi. Con una mano carezzava il fianco di Sarah.
"Io vorrei vivere così, invece."
Joseph aveva sempre pensato che ci volesse coraggio per morire per qualcuno, ancor più per uccidere. Un giorno, però, una canna tra le labbra che a malapena aveva la forza di aspirare, la schiena poggiata sul muro fuori al suo balcone, gli occhi persi nel vuoto e l'aspetto di chi non si faceva una doccia da settimane, la mano di Tancredi sulla spalla, aveva riflettuto: morire per qualcuno era un atto fine a se stesso, che denotava coraggio, ma che allo stesso tempo nascondeva un senso di eroismo quasi egoistico, l'atto di chi era ossessionato, più che innamorato. Uccidersi per amore del prossimo? Avrebbe portato solo altro dolore. Morire per salvare l'altra persona? Sarebbe vissuta con un peso sul petto che le avrebbe reso impossibile anche solo respirare.
E morire per qualcuno dunque sembrava semplicistico. Dopo la morte non eri più presente sulla Terra e quindi le conseguenze non si sarebbero riversate su di te.
E ancora, uccidere per qualcuno? La presunzione di credere che una vita sia più importante di un'altra, di diventare una persona che non sei. Colei che t'ama ti guarderebbe con lo stesso sguardo, gli stessi occhi, dopo aver commesso un atto di tale crudeltà?
Sei davvero una brava persona se sei capace di spegnere la luce negli occhi di altri?
E quindi qual era l'atto d'amore per eccellenza?
Vivere per qualcuno.
Joseph allora era arrivato alla conclusione che ci volesse più coraggio nel vivere, nel continuare ad aprire gli occhi la mattina e sforzarsi nel trovare qualcosa che lo rianimasse, che gli facesse provare delle sensazioni, che lo portasse ad essere felice di essere ancora parte del mondo, e per lui era stata la musica.
Aveva vissuto, però, per qualcuno.
Aveva vissuto per Cecilia, tanto tempo prima, e quando se ne era andata l'unica cosa che era stato capace di tenerlo in vita era stata la speranza. Speranza che il passato potesse cambiare e che lei potesse tornare da lui con una luce nuova, una luce che lui avrebbe capito e accolto.
Speranza che lei non lo avesse trafitto dritto nel cuore con una spada, ma che fosse tutto un errore, frutto del suo inconscio.
Aveva vissuto con la speranza di vivere ancora per lei, un giorno. E nel frattempo, nell'attesa, aveva imparato anche a sopravvivere.
Poi la musica lo aveva ridestato, e aveva continuato a vivere per qualcosa.
La mattina si svegliava e correva in studio e la musica gli attraversava le vene e lui si sentiva finalmente capito, completo.
Si sentiva finalmente capace di star dando un senso al passato, un senso al presente e forse anche al futuro.
E si era reso conto che la musica non lo avrebbe mai tradito, perché inumana, perché parte di sé, e come possiamo tradire noi stessi?
E adesso c'era Sarah a colorare le sue giornate, insieme alla musica, eppure si sentiva frastornato.
Lui? Avrebbe vissuto per lei?
Era capace di rivivere tutto, fidarsi, con la consapevolezza di poter tornare di nuovo al punto di partenza, con la consapevolezza di dover, forse, un giorno, tornare a sopravvivere?
Aveva il coraggio di vivere ancora per qualcuno, di prostrarsi nuovamente a questo atto di amore incondizionato.
Lei era lì, adesso, stretta tra le sue braccia, il respiro regolare e gli occhi chiusi, la bocca semiaperta, la pelle d'oca sulle braccia.
La coprì con il lenzuolo, dopo aver notato il condizionatore posto a 18 gradi, e quasi aveva paura di graffiarla con le sue spine.
Sorrise, rendendosi conto che un essere talmente indifeso, proveniente dal regno delle fate, non avrebbe potuto fargli del male.
Lui, d'altro canto, aveva tante armi nascoste che avrebbero potuto ferirla.
Ma decise di vivere ancora una volta, per lei.
"Buonanotte piccolì."-le mormorò tra i capelli, chiudendo gli occhi.
E le sue parole si persero nel vento.

ANGOLO AUTRICE:
Sempre orari improponibili, capitolo un po' più corto, scusate.
Le scene di sesso mi cringiano molto, spero non si noti in stesura.
Niente non so che dire, vi ringrazio ancora per il supporto.
Come sempre, alla prossima!

Atelofobia; an holdarah fanfiction.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora