La maschera [Howard]

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« And my heart was pumping, chest was screaming
Mind was running, air was freezing
Put my hands up, put my hands up
I told this kid I'm ready for a fight »

[Boy in the Bubble - Alec Benjamin]


TW solitudine, ansia

─── ⋆⋅☆⋅⋆ ──

– Puoi iniziare raccontandomi chi sei, se te la senti.

– Non credo di sentirmela.

– D'accordo. Allora ti piacerebbe raccontarmi come sei arrivato qui?

Abbasso lo sguardo. Le dita si aggrovigliano sul cordino del Dispositivo al polso, che tira fastidiosamente sulla pelle sudata. Mi pungo i polpastrelli con l'ardiglione della fibbia, sfilato malamente dai fori.

Non è piacevole.

Ho le mani fredde, arrossate, appiccicose di sudore. C'è un ché di viscido e sbagliato, nel giocherellare con qualcosa quando ho le mani sudate, come se stessi stuzzicando un animale morto. Eppure, se non lo facessi, finirei per far stritolare le mani tra loro.

Freddo contro freddo. Contatto umido e gelido che disegna solchi bianchi e scomposti nella carne avvampata. E allora il morto diventerei io.

Il pavimento, se allungo lo sguardo oltre il tremore delle ginocchia, è fatto di piastrelle esagonali, rosate e granulose come gelato alla fragola.

Non è un bel colore. Ho la sensazione che se appoggiassi completamente l'intera suola della scarpa a terra, invece di sfiorarla soltanto con le punte, potrei sprofondarci del tutto.

Perché sono qui?

Stringo le labbra. Ci rifletto a lungo, o almeno fingo di farlo, perché in realtà non sono sicuro di saperlo o di volerci davvero pensare.

Ma il silenzio mi fa stare male, mentre lei mi osserva.

Rialzo lentamente gli occhi sulla dottoressa Garcia.

Mi accorgo che mi sta studiando le mani e mollo subito il cordino, come scottato. Mi ricompongo. Richiudo i pugni e lascio che le maniche del maglione li inghiottano, bloccandoli con forza sulle cosce. So che non ci metteranno molto per tornare ad avvilupparsi agitati attorno a qualcosa, non appena avrò smesso di controllarli; un filo sul polsino; il bordo appuntito di un'unghia, tirata fino a frastagliarla e riempirla di sangue...

Non sono mai stato bravo a tenere ferme le mani.

– Si può mettere un po' di musica? – lo chiedo in un mormorio incerto. Tasto il silenzio, evito la domanda. La guardo battere le palpebre, sorpresa. Abbozzo un sorriso, che è come una pezza affissa sopra il nervosismo che cresce spiacevole, come un filo di sabbia che precipita dal collo di una clessidra e mi si accumula gradualmente nel petto – O anche no – mi rispondo da solo, prima che lei possa aprire bocca – Non c'è problema.

Ma non è vero. La musica in realtà aiuterebbe tanto.

Qualche nota dolce in sottofondo. Senza voce. Solo stilli timidi di colore vivo, per interrompere il rosa smorto e granuloso del gelato alla fragola.

– Ti piace la musica, Howard? – chiede invece lei. Ha una voce grave, ma non è cattiva. I suoi occhi, però, profondi e scuri come grandi tazze di caffè, non vacillano nemmeno. Sono fissi e imperituri, alla ricerca determinata dei miei schivi.

Il tempo di un respiro [OCs - Oneshots - Raccolta]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora