"Dov'è lui? Dov'è il re?"
Una sola ombra, riflessa nei corridoi pallidi, gridò. Si muoveva rapidamente, assalendo con lo sguardo ogni squarcio che la circondava, turbata nell'animo.
Forse era solo vittima della sua memoria, ma aveva la percezione che nulla fosse al suo posto.
Intorno a lui percepiva solamente figure slanciate, avvolte da bianche tuniche; senza tregua si snodavano nell'oscurità, impercettibili quanto un brivido che scuote la pelle, invisibile ad occhio nudo. Sbiascicavano inquiete, dai volti deturpati dal flebile bagliore delle fiaccole, e, sopra ad ogni altra cosa, nessuna di queste sembrava badare la sua presenza. Alcune di esse sorreggevano delle vecchie pergamene leggendone freneticamente il contenuto, rischiarato delle torce consumate; le altre disperdevano frettolosamente fumi e aromi ad ogni passo, mentre il terrore diramava i loro volti. Non ne riconobbe alcuno, e giunse a tal punto di domandarsi se quelle presenze avessero un'identità; scosse la testa, affrettando il passo.
Quelli non erano uomini, erano paura.
Ne scostò alcuni, mosso dall'impazienza, usufruendo delle sue robuste spalle: essi rimasero vuoti, senza dare alcun segno di vita. Come spighe di grano colpite dalla falce, essi calavano ancor di più lo sguardo all'irregolare pavimento, quasi a toccare terra, farfugliando in un bisbiglio ancor più sommesso le loro suppliche.
Corse, corse senza più osservarsi intorno, sopportando le sue membra stanche, imploranti pietà, lasciando che l'irrequietezza prendesse il sopravvento, offuscando la sua ragione.
"Devo vedere il re. Devo vederlo."
Sbraitò l'uomo con ferocia, dopo essere sopraggiunto all'entrata delle stanze del monarca, avventandosi sulle guardie che la presiedevano. Le dita callose, ricamate da un'intricata tela di cicatrici, entrarono immediatamente a contatto con la durezza gelida delle corazze; non riuscì a spostarle neppure d'un passo, nonostante la veemenza esasperata del suo gesto.
Alzò lentamente lo sguardo, senza mai allentare la sua presa, incrociando quello dei due soldati. Difesi dal bronzeo elmo, erano inflessibili nel portamento; ma, a pochi centimetri di distanza dal loro volto, poté leggere nei loro occhi un'inconsueta esitazione, che tradiva la loro fermezza apparente. Fissavano in silenzio davanti a loro, immobili, il corridoio vuoto. Il respiro dell'uomo si fece sempre più affannoso, stremato, nel vano tentativo di piegare la loro resistenza, il suo tentativo sempre più debole.
"Fatemelo vedere, ve ne prego."
Mormorò ancora, mantenendo a stenti la sua presa al bronzo, contemplando con angoscia l'accesso serrato a soli pochi metri da sé.
I capelli bruni ricadevano nelle sue tempie, cosparse di sudore, facendo ricadere nel suo volto un sinistro bagliore. Il profumo di salsedine inebriava ancora i suoi sensi, rendendolo ancora più disorientato; né gli era stato concesso il tempo necessario per sostituire le vesti lacerate dalle frenetiche onde del grande mare, né quello per familiarizzare ancora una volta con la terra salda sotto i suoi sandali stracciati. Sebbene ogni muscolo del suo corpo avvampasse per lo sfinimento, esso tentò ancora e ancora di smuovere i due soldati, anche solamente di un passo; ma persino gli ultimi residui di vigore persistenti iniziarono a cedere, smarriti fra le tormentate cantilene del corridoio e l'infrangersi sereno delle distanti acque, scalfito nella sua memoria.
"Solleva il tuo spirito, sciogli la tua estenuante opposizione, ammiraglio. E voi, guardie: scostatevi. Che sia sgombra la sua via, così come siano benedetti gli Dei per il suo avvento."
La voce si espresse alle sue spalle, marcata da un forte accento macedone, e da parole lente, ben scandite. Davanti a lui, le sentinelle parvero fomentarsi all'improvviso, abbandonando lo stato di impassibilità in cui erano indotte, e riposero lo sguardo sull'interlocutore. E contro le sue aspettative, non lo attaccarono. Chinando il capo con rispetto, lasciarono scoperto il breve tratto che conduceva alle stanze regali, come richiesto; ripresero a osservare il corridoio, con le sue ombre, danzanti con malinconia nelle pareti.
STAI LEGGENDO
Il tramonto di un dio
Historical FictionBabilonia, 323 a.C. Il palazzo reale era silenzioso. Erano perdute le discussioni lungo i corridoi illuminati dalle torce, perdute le risate che risuonavano nelle ampie sale, perduti sembravano essere persino i respiri, nella morsa indomabile della...