Mercato

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"Klytië li avrebbe amati."

Mormorò la donna con un sospiro sommesso, scorrendo il suo sguardo lungo le corolle gialle riposte nei vasi di terracotta, volte verso il cielo. Nel loro stelo scorreva un respiro flebile, un'ultima esalazione intrisa nella disperazione; un tempo brillavano dei raggi caldi, mentre ora giacevano spezzati dalle loro radici, destinati presto a accasciarsi verso la terra brulla, con un ultimo addio all'azzurro sereno.

Percepì una fitta al cuore, e deglutì. Con un gesto involontario, strinse la presa fra le dita dell'uomo al suo fianco, coprendosi il volto abbronzato con il tessuto chiaro, celando i suoi tratti delicati. Rivedeva in ognuno di quei petali cadenti, ognuna delle lacrime che avevano solcato le sue guance, non appena oltrepassato il tramonto; come lei piangeva, devota al silenzio della notte, si inclinavano al suolo, i girasoli sofferenti.

Androtimo, accorgendosene, emise un sospiro e frenò i suoi passi, non curandosi delle persone che scorrevano ai loro fianchi ininterrottamente, del trambusto che li circondava e che poteva trascinarli altrove, se solo ci si fosse persi d'occhio un solo istante. Lui sapeva che non avrebbe mai corso questo rischio. L'amata, aveva già rapito i suoi sensi il primo momento in cui su di lei aveva posato lo sguardo. Sarebbe potuto crollare l'intera città, e l'unica cosa in cui lui avrebbe continuato a porre attenzione sarebbero state le onde che s'infrangevano nelle sue iridi celesti; e se solo avesse parlato, anche solo una parola, al suo udito sarebbe parso il suono più melodioso che un uomo potesse mai sentire, più dolce del canto delle sirene che si dicesse inebriasse i mari, più soave del cinguettio che accompagnava lo sbocciare della primavera.

Solo lui, e lei. Come era sempre stato da quel mattino d'estate, dalla sabbia fra le tuniche e i rivoli delle acque che si infrangevano sulle caviglie, dalla felicità nei polmoni e dall'amore che trasudava da ogni respiro.

Le voltò il viso per permetterle di osservarlo, sfiorandole la guancia rosea con il pollice, senza farle alcun male; nonostante avesse le mani rovinate da un'intera vita vissuta fra le onde, e ancora portasse le cicatrici della durezza dell'essere un marinaio, amava trattarla come il dono migliore che gli dèi potessero concedergli, dopo loro figlio. Non lo faceva perché dovesse, ma agiva perché lo voleva, con il cuore e con la mente; ogni cosa sarebbe valsa la pena, se solamente ciò le avesse procurato un sorriso fra le labbra.

Era come quando, dopo una lunga spedizione in mare, individuava la terraferma; avrebbe voluto bere, avrebbe voluto mangiare, avrebbe voluto godersi la sensazione di stabilità che si radicava sotto ogni suo passo. Ma non poteva esimersi, invece, dall'inginocchiarsi nella sabbia ardente, raccogliendo fra le dita consumate la conchiglia più bella che avesse mai visto. Essa, riflettendo i raggi chiari nella sua superficie lucida, appariva di ogni tonalità e ogni sfumatura, dall'azzurro al bianco pallido, dal colore dell'argilla a quello dorato, e se avvicinata al suo orecchio, sembrava poter udire il brontolio quieto del mare; e ancora, il suo unico pensiero, fu quello della moglie che lo aspettava a casa, ancor più bella e preziosa, di quel sorriso che le avrebbe donato, se avesse affidato nelle sue candide mani quel gioiello ottenuto con il suo stremo.

"Li sta amando ancora, ricordi? Li abbiamo piantati, solo per lei."

Sussurrò, intrecciando le loro dita in una presa salda, che avrebbe sperato poter essere eterna.

Era sempre più complicato reggere, soprattutto quando di forte dentro di sé non era rimasto più nulla; quando, nel tocco dell'amata, percepiva ancora le piccole dita della piccola avvolgere la sua mano, cercando in lui un po' di vita. Quell'insormontabile nodo alla gola che falciava il suo ossigeno ogni notte, che lo faceva ricadere in quel pianto quieto, così lancinante per il dolore da aver ormai smarrito ogni sua lacrima.

Il tramonto di un dioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora