"Vattene, ora! Non voglio udire più neppure una singola parola uscire dalla tua bocca, ti è chiaro? Vai fuori da quella porta, adesso!"
La gola stridette all'emettere quell'urlo, l'ennesimo dei tanti che avevano infestato la sua vita, in quelle ultime giornate. Il suo capo era accasciato alla parete, mentre era colto da sussulti violenti; il sudore cospargeva la sua pelle febbricitante, cerea quasi quanto il marmo delle colonne, sempre più simile alle candele che rischiaravano fievolmente il salone. Le sue narici bruciavano, inalando continuamente l'intenso odore di alloro e di altre piante rituali che ardeva nei vari bracieri. Nonostante la sofferenza, ciò sembrava non aver alcuna utilità, al contrario. Rispetto ad ottenere la sperata benevolenza degli dèi, sentiva solo la sua anima separarsi sempre più dal suo corpo, i suoi sensi offuscarsi, la testa girare pericolosamente, mentre smarriva sempre più la lucidità su quanto effettivamente lo circondasse. Il petto nudo si sollevava e si abbassava freneticamente, guidato da un ritmo irregolare; persino un solo respiro sembrava costargli una buona dose delle sue poche forze rimaste.
Il suo volto, scarno e provato, era solo un pallido residuo della bellezza che usava definire i suoi tratti. Era un fiore, dopo aver perduto il calore confortante del sole; con l'avvento dell'inverno lentamente appassiva, abbandonando i suoi colori sgargianti e accogliendo la debolezza che dentro di lui si insinuava, sempre di più, sino a accompagnarlo all'addio alla sua vita.
Distorto in una maschera di dolore, trafiggeva d'ira con il suo sguardo stremato l'ennesimo sciagurato medico a cui era stato affidato il compito di curarlo.
Guarirlo, insomma, si fa per dire. Ci avevano già provato in tanti, a tal punto che non ne poteva più neppure rammentarne il numero; provenivano dalla Grecia, dalla Macedonia, dalla Persia, dall'Egitto. Da ogni angolo, persino dai più remoti del suo impero, i migliori curatori sembravano essersi mossi solo per aiutarlo. Ma allora, perché il finale era sempre lo stesso, ogni volta?
Perché nessuno poteva trovare un esito, salvarlo da quella malattia che lo stava consumando? Ogni visita era diventata una semplice ripetizione della precedente. Gli venivano somministrati i rimedi naturali più disparati, dai peggiori odori e sapori, che non erano altro che il volergli dare una finta consolazione: alla fine, non curavano assolutamente nulla. Alleviavano, delle volte, i sintomi che si abbattevano nel suo corpo; ma era solo un sollievo temporaneo, perché era solo questione di poche ore perché essi ritornassero, ancora più lancinanti della volta precedente. Accresceva, nel suo spirito stremato, una stanca frustrazione, dovuta a quella che aveva l'aspetto di essere una condizione incurabile.
Lui, Alessandro il Grande, segregato in quei maledetti locali babilonesi, in quel suo giaciglio sempre più stretto e soffocante, che si stava tramutando lentamente nel suo letto di morte. In fondo, che speranze più poteva percepire, se il massimo che otteneva erano sguardi di compassione? Lui, costretto a ricevere pietà dagli altri. Che fine indegna era questa, per un re?
Ormai, per lui non valeva più la pena di mentire. Avesse continuato a farlo, a persistere nell'esistere nel suo intricato castello di menzogne, non gli sarebbe mai avanzato il tempo necessario per essere sincero. In fondo, se non ora, quando? Gli sembrava di essere costretto a contare i suoi respiri, senza riuscire a rinvenire da ciò più alcun conforto. Non poteva più indurre quiete nel suo animo, non se il pensiero fisso nella mente era che ognuno potesse essere l'ultimo che esalava.
Alessandro, aveva sfiorato spesso la morte, nel corso della sua vita. Così tante volte, ma mai quanto in quell'ultimo periodo: credeva che fosse ormai l'unica cosa che era in grado di valicare i confini stabiliti dalla sua febbre, a superare la sua collera per il suo stato d'animo umiliante. Gli sembrava fosse ormai una vita passata, ma non era trascorso neanche più di un decennio, da quando ella gli sembrava irraggiungibile.
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Il tramonto di un dio
Historical FictionBabilonia, 323 a.C. Il palazzo reale era silenzioso. Erano perdute le discussioni lungo i corridoi illuminati dalle torce, perdute le risate che risuonavano nelle ampie sale, perduti sembravano essere persino i respiri, nella morsa indomabile della...