Nascosti dalle stelle

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La luna era calata nel cielo di Babilonia.  Con sé, aveva trascinato le candide stelle; insieme vegliavano quiete nel cielo, indisturbate dalle nubi, osservando le terre diramarsi sotto di loro.

Nearco avanzava silenziosamente nei corridoi dell'ampia struttura, trascurando la sua ombra riprodursi vacillante nelle mura pallide. Procedeva anch'essa lungo la sua strada, come una compagna fedele. Ad ogni passo, ad ogni metro che esso percorreva, lei era sempre lì: oscurava le pareti che si susseguivano attorno al suo movimento svelto, senza mai separarsi da lui.

Era tenebra, eppure non era altro che il suo riflesso.

Accelerò la sua andatura, inquieto. I bisbigli si erano attuiti, ma non avevano mai smesso di rieccheggiare nella sua mente. Non riusciva a scorgere più nessun'altra figura umana, in nessun meandro del palazzo; non poteva sapere se ciò potesse essere considerato un fattore positivo o meno, ma non se ne curò. L'unica compagnia era la sua ombra.

Finché anch'essa lo abbandonò. Si spense nella notte, dissolta nella brezza notturna, lasciandolo solo. Nearco innalzò lo sguardo alla volta celeste, e comprese; la luce tenue della notte l'aveva rapita, conducendola a sé, nelle tenebre.

Era ormai sopraggiunto alla terrazza reale, e volgendo lo sguardo verso ciò che sovrastava, rimase senza fiato. Nonostante i mille timori e le mille apprensioni, non poté non lasciarsi immergere dall'ambiente, conquistato dal suo aspetto meraviglioso. Si affacciava sulla città, abbracciandola nella sua completezza: poteva posare gli occhi sulle abitazioni, ancora brillanti dai pochi e fievoli bagliori delle torce; sui rari carri che pestavano le vie di terra battuta, trainati da stanchi animali, o ancora su qualche uomo che, offuscato dall'alcol in circolo nelle sue vene, vagava senza un'apparente meta.

Si perse nelle sue riflessioni, contemplando la sterminata volta celeste che incombeva al di sopra della sua figura. Si sentiva così vulnerabile, dinnanzi quello scenario.

Pensò a quante confessioni dovessero essere state bisbigliate, rischiarate dalla flebile luce della luna, e quante di esse lei ne avrà colte; al pronunciare di quanti segreti avrà assistito, senza mai dar giudizio, nel suo quieto ammirare la terra. A quanti altri uomini, nello stesso attimo, stessero contemplando la stessa stella. In luoghi diversi, in circostanze diverse, con occhi diversi, ma rasentati sempre dallo stesso chiarore, cullati dallo stesso conforto.

"Nearco, che gli dèi ti benedicano. Sei giunto, alla fine."

Una voce alle sue spalle interruppe repentinamente la quiete, inducendo gli incessanti pensieri che interferivano nella sua mente a rovinarsi, disperdendosi nel baratro dell'oblio. L'uomo non si voltò, continuando a scrutare la volta celeste, riconoscendo solamente dal tono chi lo avesse raggiunto.

Lo stava aspettando.

"Si, dovevo.

Panteleimon, che gli dèi possano avere cura di te e del nostro Re.

Calcai questa terra quando si levò il sole all'orizzonte, agli albori di questo giorno, amico mio; ma già ora sento come se sotto i miei piedi non vi fosse nulla, se non il vuoto, retto dall'angoscia.

Potei entrare in quei locali, ma nulla andò come me ne illusi; non ebbi le risposte che disperatamente cercavo, ed ora brucia nel mio animo un fardello ancor peggiore.

Mi struggo e fallisco, nell'inseguine le vane parole per rievocare quanto vidi. Tu che già ne sei a conoscenza, concedimi delle spiegazioni; non credi che io le meriti, pover'uomo devoto, dalle membra spossate dalle acque, il cui pensiero è orientato solo al proprio re? Le fiaccole, gli incensi, i sacerdoti che imperversano ovunque il volto si posi, che sta accadendo quaggiù?

Il tramonto di un dioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora