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Il sole del mattino filtrava attraverso le tende sottili, riempiendo la stanza di una luce calda e dorata. Mi stiracchiai lentamente, assaporando gli ultimi momenti di quiete prima di affrontare la giornata. Mi alzai dal letto con cautela, godendomi il freddo del pavimento sotto i piedi, e iniziai a prepararmi per la prima lezione del secondo anno di Psicologia. Mentre mi rendevo accettabile allo specchio, i pensieri si affollavano nella mia mente, una miscela di eccitazione e nervosismo. Il nuovo anno universitario rappresentava per me un'opportunità di crescita e scoperta, ma anche una fonte di ansia.

Ho scelto di studiare psicologia perché sono sempre stata affascinata dalla mente umana e dal modo in cui le persone pensano, sentono e si comportano. Fin da piccola, ho amato ascoltare gli altri, cercando di comprendere le loro emozioni e le loro storie. L'anno scorso è stato un turbinio di nuove amicizie, esami impegnativi e cambiamenti costanti, ma mi ha confermato che questa è la strada giusta per me. Ogni volta che mi siedo in aula o apro un libro di testo, sento di scoprire qualcosa di profondamente significativo.

Rivolsi l'attenzione al mio orologio da polso e mi accorsi che era ora di andare.

Il campus universitario era già animato quando arrivai per la prima lezione del giorno. Gruppi di studenti camminavano insieme, ridendo e parlando, mentre il cinguettio degli uccelli riempiva l'aria. Con un caffè in mano, mi diressi verso l'edificio, pronta ad affrontare la giornata. Entrando in aula, percepii subito una certa tensione tra gli studenti. Alcuni parlavano a bassa voce, scambiandosi sguardi preoccupati. Mi sedetti accanto alla mia amica Giulia, che sembrava turbata.

«Che succede? Perché tutti sembrano così strani?» le sussurrai, cercando di non farmi sentire dagli altri.

«Non hai sentito? Il professor Rossi sta male. Ha una brutta malattia e non tornerà per un po'. Oggi conosceremo il nuovo professore che lo sostituirà» mi disse con un respiro affannoso.

«Oh no, poverino. Speriamo si riprenda presto. Chi è il nuovo professore?» Giulia scrollò le spalle.

«Nessuno lo sa ancora. Dovrebbe arrivare a momenti.»

Proprio in quel momento, la porta dell'aula si aprì e vidi entrare l'uomo della notte precedente. Sentii il cuore fermarsi per un istante. Era impossibile. Eppure, eccolo lì, in piedi davanti alla classe, con un'aria seria e determinata. Non potevo credere ai miei occhi. Era lì, di fronte a me e a tutti gli studenti della mia facoltà. Mi resi conto che mi stava guardando, cercando di mantenere un'espressione impassibile. Sentii una morsa allo stomaco mentre cercavo di capire come gestire questa situazione.

Cosa sarebbe successo se qualcuno avesse scoperto che avevo passato la notte con il mio professore? La situazione sarebbe diventata estremamente complicata. Mi portai involontariamente la mano alla fronte, cercando di nascondermi dalla vergogna e dal terrore delle possibili conseguenze.

«Buongiorno a tutti. Sono il professor Nathan Carter, e sarò il vostro docente di Psicologia dello Sviluppo per il resto del semestre. Mi dispiace per le circostanze, ma spero che possiamo lavorare bene insieme.»

Abbassai lo sguardo, sentendo il cuore battere forte nel petto. La mia mente correva a mille all'ora, cercando di mettere insieme i pezzi di questa situazione surreale. Come avevo fatto a non capirlo? Dovevo assolutamente mantenere la calma e non farmi scoprire dai miei amici.

La lezione iniziò e per me era difficile concentrarmi. Ogni volta che Nathan parlava, sentivo un'ondata di emozioni contrastanti: attrazione, imbarazzo e un pizzico di paura. Non potevo credere di esser stata con il mio professore. Ora le opzioni erano due: affrontare la situazione o fare finta di niente.

Nathan iniziò a parlare, la sua voce ferma e professionale.

«Oggi parleremo delle fasi dello sviluppo cognitivo secondo Piaget. È fondamentale capire come i bambini evolvono le loro capacità di pensiero e di ragionamento. Questo ci aiuterà a comprendere meglio i processi mentali negli adulti.»

Cercai di prendere appunti, ma la mia mente continuava a tornare alla sera precedente. Giulia mi lanciò uno sguardo curioso.

«Tutto bene?» mi chiese a bassa voce.

«Sì, solo un po' stanca,» mentii, sperando che non insistesse.

Alla fine della lezione, Nathan ci assegnò un progetto di gruppo da presentare entro due settimane. Mentre tutti cominciavano a radunare le loro cose e a discutere dei compiti, mi avvicinai alla cattedra, cercando di non attirare troppa attenzione.

«Professor Carter, posso parlarle un attimo?» chiesi, cercando di mantenere la voce ferma.

Mi guardò per un istante, i suoi occhi rivelavano una leggera preoccupazione.

«Certo, lei è la signorina...» disse aspettandosi che finissi la frase.

«Signorina Emily Harper.»

«Signorina Emily Harper,» ripeté con uno sguardo di intesa, «al momento sono impegnato. Se voleva parlarmi del progetto, mi mandi pure un'e-mail.» Prese la sua borsa di lavoro e si diresse verso l'uscita dell'aula. Stavolta non ero io a lasciare la stanza, stavolta era lui, aspettandosi che quanto accaduto la sera prima al pub non avrebbe influenzato il nostro rapporto o ruolo che avevamo. Dovevo stargli alla larga, il più possibile. Avrei dato l'esame a fine semestre e poi ognuno per la propria strada.

Il mio stomaco si contorse in un nodo mentre lo guardavo allontanarsi. Era chiaro che voleva evitare qualsiasi conversazione in pubblico. Respirai profondamente, cercando di raccogliere i miei pensieri e di mettere insieme un piano. Dovevo trovare un modo per gestire questa situazione senza compromettere il mio percorso accademico.

Giulia si avvicinò, un'espressione curiosa dipinta sul viso. «Cosa volevi chiedergli?» chiese sottovoce.

«Nulla, solo una questione sul progetto» risposi con un sorriso forzato.

Giulia alzò un sopracciglio, ma non fece altre domande. Con un sospiro di sollievo, raccolsi le mie cose e uscii dall'aula. Dopo la lezione, mi diressi con Giulia alla caffetteria del campus.

«Che ne pensi del nuovo professore? È un vero pezzo di uomo, vero?» mi chiese eccitata Giulia.

«Sì, è... decisamente attraente.»

«Dai, non fare la timida. Scommetto che tutte in classe hanno pensato la stessa cosa» disse ridacchiando. Se solo sapessero... pensai, cercando di mantenere un'aria di normalità.

Fu proprio in quel momento che sentii un bip provenire dal mio cellulare. Presi il telefono e vidi un messaggio da un numero sconosciuto. Il messaggio recitava:

"Possiamo parlare? Aula 204, tra 10 minuti."

Non ci voleva un genio per capire chi fosse.


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