Stavo ballando in una sala da ballo illuminata a candele con Nathan, la musica soffusa e il suo sguardo intenso fisso su di me. Mi svegliai con il cuore che batteva forte, ancora intrappolata nelle emozioni del sogno. Scossi la testa per scacciare l'immagine e mi alzai dal letto.
Mentre facevo colazione, i pensieri su Nathan e la nostra conversazione del giorno prima continuavano a riemergere. La sua espressione seria, le parole misurate, la promessa di mantenere tutto segreto... Tutto sembrava surreale. Avevo accettato il patto, ma l'inquietudine non mi abbandonava.
Decisi di immergermi nello studio, sperando che la routine accademica mi aiutasse a distrarmi. Presi i miei libri e il mac e mi diressi verso la biblioteca, il mio rifugio sicuro. Nonostante la tensione latente, mi sentivo determinata a non permettere a quella situazione di compromettere i miei obiettivi.
Seduta a un tavolo isolato, iniziai a lavorare sul progetto di psicologia. Giulia e Luca sarebbero arrivati più tardi, quindi avevo un po' di tempo per organizzare le mie idee. Mentre prendevo appunti, il ricordo di qualche anno fa si fece strada nella mia mente.
Ero seduta con mio padre sulla veranda della nostra casa al lago. Era un giorno caldo e umido, tipico dell'estate. Lui stava leggendo un libro di psicologia che aveva preso in prestito dalla biblioteca della città, uno dei tanti che consultava per il suo lavoro di insegnante. Mi guardò con un sorriso e mi chiese se volessi ascoltare una storia.
«Sai, Emily, c'è una cosa che ho imparato negli anni studiando» iniziò. «La nostra mente è come un giardino. Se non la curiamo e non ci prendiamo cura dei semi che piantiamo, le erbacce inizieranno a prendere il sopravvento.»
Ricordo di averlo guardato con curiosità, cercando di capire cosa intendesse. Ero ancora giovane, ma quelle parole mi colpirono profondamente.
«Vedi, la psicologia ci aiuta a capire come curare quel giardino» continuò. «Ci insegna a identificare le erbacce, a nutrire le piante sane e a creare un ambiente dove possano crescere forti e rigogliose.»
Era affascinante vedere quanto mio padre fosse appassionato di questo argomento. La sua passione era contagiosa e mi sentii ispirata. Fu in quel momento che decisi che volevo studiare psicologia. Volevo aiutare le persone a prendersi cura del loro giardino interiore, proprio come mio padre aveva fatto con me.
Tornai al presente con un sorriso malinconico. Quei momenti con mio padre erano preziosi e avevano plasmato la mia vita in modi che allora non potevo immaginare.
Mentre continuavo a lavorare sui miei appunti, mi sentii rafforzata da quel ricordo. Mio padre mi aveva insegnato a non arrendermi mai, a cercare sempre di capire e a trovare soluzioni anche nelle situazioni più complicate. La situazione con Nathan era solo un'altra sfida da affrontare, un'altra erbaccia da estirpare.
Quando Giulia e Luca arrivarono, ero pronta a immergermi nel lavoro. Luca propose alcune nuove idee per il progetto e subito ci trovammo a discutere animatamente.
La giornata passò rapidamente e ci ritrovammo alla fine della sessione di studio con un piano dettagliato e tante idee nuove. Ero esausta ma soddisfatta. Avevamo fatto grandi progressi, ma adesso era ora di andare ad una nuova lezione.
Mentre io e Giulia camminavamo lungo il corridoio che portava all'aula non potei far a meno di domandarle come stesse andando con sua madre. Sua madre stava combattendo la leucemia e per Giulia vederla soffrire era terribile ma cercava sempre di mascherarlo.
«Come sta tua madre?» le chiesi con dolcezza, sperando di non toccare un nervo scoperto. La malattia di sua madre era un argomento delicato, ma sapevo che apprezzava il mio sostegno. Lei sospirò, guardando dritto davanti a sé. «Sta combattendo come sempre» rispose, il tono della sua voce misto tra stanchezza e determinazione. «I dottori sono cautamente ottimisti, ma non è facile vederla passare attraverso tutto questo.»
Mi venne naturale appoggiarle una mano sulla spalla. «Se hai bisogno di parlare o se c'è qualcosa che posso fare per aiutarti, sono qui.» Giulia mi sorrise, un sorriso triste ma riconoscente.
Sapevo cosa significava il pensiero di perdere qualcuno e non vederlo più. Io avevo perso mio padre. La sua assenza era una ferita che, anche se con il tempo si era attenuata, non si è mai del tutto rimarginata. Perdere una persona cara è come trovarsi in un mare in tempesta senza una bussola. All'inizio, il dolore è così intenso che ti toglie il respiro, ogni ricordo è un colpo al cuore e ogni cosa che ti circonda sembra priva di significato.
La morte improvvisa di mio padre è stata un fulmine a ciel sereno, un evento che ha stravolto la mia vita. Ricordo ancora quella telefonata, il mondo che si fermava mentre la notizia si faceva strada nella mia mente. Un momento era lì, sorridente e pieno di vita, e quello dopo era svanito, lasciando un vuoto incolmabile. È stato come se un pezzo del mio stesso essere fosse stato strappato via. La cosa più difficile è stata accettare che non avrei mai più potuto parlare con lui, chiedergli consiglio o semplicemente godere della sua presenza rassicurante. La sua voce, le sue risate, i suoi insegnamenti – tutto era diventato un ricordo lontano.
Entrammo nell'aula e ci sedemmo vicino alle finestre. L'insegnante era già lì, intento a sistemare alcuni materiali per la lezione. Mentre attendevamo l'inizio, Giulia si girò verso di me, decisa a cambiare argomento.
«Quindi, pensi che riusciremo a finire il progetto entro la scadenza?» mi chiese con un accenno di sorriso.
«Sì, penso di sì» risposi, cercando di infonderle fiducia. «Abbiamo un buon piano e stiamo lavorando bene come squadra. Luca ha davvero portato una ventata di energia.»
Giulia annuì. «Sì, è vero. Non mi aspettavo che fosse così coinvolto.»
Dopo la lezione, ci dirigemmo verso l'Haven, la caffetteria del campus, per una pausa. Il locale era affollato di studenti che chiacchieravano animatamente, e l'odore del caffè fresco pervadeva l'aria. Trovammo un tavolo libero vicino a una finestra e ci sedemmo.
Le sedie erano comode, e la luce del sole filtrava attraverso le tende semi-trasparenti, creando un'atmosfera accogliente. Prendemmo posto con un sospiro di sollievo, lasciando che il tepore del locale ci riscaldasse dopo la lezione in una aula gelida.
«Finalmente un momento di tranquillità» esclamai, lasciando la mia borsa cadere pesantemente a terra «Questa giornata sembra non finire mai»
Presi un sorso dal mio caffè.
Giulia sorrise, digitando qualcosa sul suo mac. "Almeno abbiamo qualcosa su cui concentrarci oltre ai compiti. Cosa ne dici della festa di venerdì sera? È l'unica cosa che mi sta tenendo in piedi in questo momento."
«Assolutamente sì!» esclamai, accendendomi al pensiero di un po' di divertimento dopo giorni di studio intensivo. «Dobbiamo assolutamente andare. Sarà la nostra meritata fuga»
Intanto, notai che il mio telefono aveva un messaggio. Era da parte di Ben, il mio compagno di studi ma anche amico, che stava seduto dall'altra parte della caffetteria. Il testo diceva:
"Hai capito qualcosa della lezione di oggi? Sembra che stiamo affogando nello stesso mare."
Scrollai le spalle, ridendo leggermente prima di rispondere:
"Non preoccuparti, penso di essermi persa anch'io. Possiamo affogare insieme."
Ben sollevò gli occhi dal suo libro e sorrise quando ricevette il messaggio. Alzò il pollice in segno di approvazione e tornò a concentrarsi sui suoi appunti.
Dopo un po', il nostro ordine arrivò. Il profumo di croissant appena sfornati si diffuse per la stanza mentre la cameriera posava i nostri piatti davanti a noi.
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OLTRE I LIMITI
RomanceEmily Harper , una giovane e appassionata universitaria, si ritrova coinvolta in un incontro casuale e passionale con il professore Nathan Carter, un uomo affascinante del dipartimento di Psicologia. Tra loro nasce una forte attrazione, ma la diffe...