4. 𝑵𝒐𝒏 𝒎𝒊 𝒊𝒎𝒑𝒐𝒓𝒕𝒂

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DENISE DE SANTIS'S POV:

Il dispiacere per non aver potuto aiutare Benedetta si è fatto sentire per tutto il resto del pomeriggio.
Sono rimasta chiusa in camera mia a studiare, mentre lei sistemava i bagagli e prendeva confidenza con la sua nuova casa.
Volevo lasciarle del tempo per ambientarsi, ma la verità è che mi vergognavo anche solo a rivolgerle la parola.
Il pensiero di Riccardo è costante, così tanto che al posto dei miei appunti mi sembra di vedere il suo volto.
Le lettere si deformano fino a diventare dei puntini immaginari che, se uniti, potrebbero dare vita al suo viso.
Sono ore che studio senza fare alcun passo in avanti, forse perché conosco la materia come le mie tasche, e rileggere allo sfinimento gli appunti non migliorerà in alcun modo le mie conoscenze in Psicologia del lavoro.
Se avessi accettato la proposta di Benedetta, lo avrei fatto infischiandomene delle conseguenze che l'incontro con Riccardo avrebbe potuto avere.
Ma non posso e non voglio farlo.
E allora perché non riesco a smettere di pensarci?
Perché sento che la scelta giusta in fondo non sia così giusta come pensavo che fosse?
Mia nonna mi diceva sempre di seguire il cuore.
È una frase fatta, ti dicono che se segui quello, di certo non sbagli.
Sono nata con un cuore buono, per mia sfortuna.
Un cuore aperto all'altro, ma timoroso di ferirlo.
È sempre nonna ad avermi trasmesso questo.
Quando ero piccola, i miei genitori spesso mi lasciavano da lei, impegnati con la loro professione.
Niente di straordinario: la mia era una famiglia normalissima.
Ma di nonna ho sempre apprezzato la straordinaria capacità di ascoltarmi, anche quando nemmeno io ne avrei avuto voglia.
Non importava cosa dicessi: potevo anche parlarle della più grande stupidaggine che mi passava per la mente.
Sapevo che a lei sarebbe interessato comunque.
E non era un finto interesse, il suo.
Lo capivo dal modo in cui mi guardava.
Non si perdeva una smorfia, un gesto, un cambio di tono della voce.
La nonna mi capiva perché mi ascoltava.
Capire l'altro non è facile, ma soprattutto non succede per caso.
Per capire, bisogna conoscere.
Per conoscere, bisogna ascoltare.

Tre anni fa, esattamente due giorni dopo il mio diciottesimo compleanno, nonna aveva smesso di ascoltarmi.
Me ne ero accorta per caso.
Avevo deciso di andare a pranzo da lei con una mia amica di scuola, e mentre mangiavamo, le avevamo raccontato la nostra giornata.
Le avevo detto del nove preso in Filosofia, la mia materia preferita, e mi ero lamentata per l'interrogazione di Matematica, che invece non era andata come speravo.
Nonna non mi guardava.
Non controllava se avessi finito di mangiare, e sembrava non importarle nulla delle mie disavventure scolastiche.
Flavia, la mia amica, non aveva notato lo strano comportamento di nonna.
Per Flavia era normale sedersi al tavolo, pranzare, raccontare la propria giornata e non essere ascoltati.
Lo è per la maggior parte degli adolescenti, in fondo.
Ma per me non lo era affatto.
E quando mi ero resa conto che nonna era con noi fisicamente, ma non mentalmente, avevo immediatamente avvisato la mamma.

Dopo poche settimane, si era scoperto che nonna aveva un principio di Alzheimer.
Il medico di base mi aveva detto che ero stata perspicace a cogliere i primi segnali della malattia.
Non mi andava di ripetere sempre le solite cose, ma mamma lo sapeva.
Io conoscevo nonna.
Io sapevo com'era, e sapevo anche che non si sarebbe mai potuta stancare, da un giorno all'altro, di ascoltarmi.
L'Alzheimer è una malattia neuro degenerativa.
Che significa? Che non c'è cura.
Che non può migliorare. Può solo rallentare.
La prima persona a cui l'avevo detto era Riccardo.
Lo conoscevo da sempre, eravamo migliori amici e non mi sarei mai sognata di dire una cosa così intima a qualcun altro, se non a lui.
E ricordo che lui aveva tentato di confortarmi, dicendo che nonna avrebbe lottato per non dimenticarsi me.
Io ero ben consapevole del fatto che un giorno non mi avrebbe più riconosciuta, e nonostante cercassi di affrontare la situazione con il sorriso, mi distruggeva dentro il solo pensiero.
Avere un amico vero come Riccardo accanto mi aveva aiutata molto.
Avevamo fatto fare una maglietta con la foto mia e di nonna insieme da darle, così le sarebbe bastato guardarla per ricordarsi tutto.
Era stata un'idea di Riccardo, e aveva insistito per pagarla lui.
Una maglietta del genere non costa nulla, ma da quando aveva firmato il primo contratto da calciatore professionista, insisteva per offrirmi ogni cosa, dal semplice caffè a cose più costose.
Non mi piaceva, ma sapevo che non potevo discuterne con lui.
Comunque, l'escamotage della maglietta era andato bene per un po', poi aveva smesso di funzionare.
Nonna aveva iniziato a non capire chi fosse la ragazzina sulla maglietta.

«Non la conosco lei, e quella vicino nemmeno.»,
ripeteva.
Non riconosceva né sé stessa, né me.
Quando sentivo quelle parole, a stento trattenevo le lacrime.
Anche lì, ad asciugarmele c'era Riccardo.
A volte, dopo gli allenamenti, veniva a casa mia solo per farmi compagnia e sentire come procedeva con la nonna.
Le cose andavano sempre peggio, e io sentivo di star trascurando la scuola.
Ma avevo capito che il mio obiettivo sarebbe stato quello di provare ad aiutare tutti coloro che si sarebbero trovati nella stessa condizione di nonna Clelia.
E Riccardo era sicuro che ci sarei riuscita.
Mi ripeteva che ero forte e determinata, e che sarei riuscita a realizzare il mio sogno.
Lui sarebbe stato sempre lì, anche nei momenti più duri.

Ma quando nonna mi aveva abbandonata per sempre, Riccardo non c'era stato.
Al suo funerale, erano venuti i genitori e la sorella di Riccardo, ma non lui.
Io non l'avevo visto, e non avevo avuto il coraggio di chiedere ai suoi familiari che fine avesse fatto.
Nonna era morta un anno e mezzo dopo la scoperta della malattia, quando Riccardo già non faceva più parte della mia vita.
Nonostante questo, speravo che venisse a salutare nonna per un'ultima volta, perché lei gli aveva voluto bene.
Non era stato così.
Credo di non aver mai pianto tanto come quel giorno.
Sentivo di non aver perso solo nonna, ma anche Riccardo, i due punti fermi della mia vita.
Fa ancora male.

Una lacrima mi bagna la guancia.
Non so che ore siano.
Non so perché io stia effettivamente piangendo.
Pensare a nonna è sempre estremamente doloroso, ma serve a ricordarmi perché sto studiando.
Non è quello che mi importa in questo momento, però.
Cosa avrebbe fatto lei nella mia stessa situazione?
Avrebbe affrontato Riccardo.
Non si sarebbe tirata indietro, e non avrebbe nemmeno mentito a Benedetta.
Ma ora è troppo tardi per dirle la verità.
Alzo gli occhi al cielo.
Perché le ho detto di no?
Di cosa ho paura?
Se a Riccardo non è importato di venire al funerale di mia nonna, come segno di rispetto verso di me, potrebbe forse importargli della mia presenza allo stadio?
Non sono forse trasparente per lui?
Non mi parla e non mi vede da due anni.
Potrebbe innervosirsi, fare una sceneggiata, prendersela con Benedetta... ma questo non farebbe altro che risaltare la sua totale mancanza di maturità.
L'unica perplessità è: cosa potrebbe dire Benedetta venendo a conoscenza del fatto che io e Riccardo ci conoscevamo e in un tempo nemmeno troppo lontano eravamo stati migliori amici?
Forse, una soluzione c'è.
Ed è quella che sto per proporle, mentre mi precipito fuori dalla mia stanza.

«Puoi aprire un secondo?»,
dico, battendo sulla sua porta.
Credo che non mi abbia sentita.
E allora busso in modo ancora più energico.
E finalmente Benedetta mi apre.

«Scusa, stavo ascoltando la musica..»,
mi dice con aria colpevole, togliendosi le cuffie.

«Non fa niente, volevo dirti che sono disposta a venire con te in Germania, ma ad una condizione: io allo stadio ti accompagno ma non entro.
Così ho più tempo per studiare.»

Non credo che abbia sentito la condizione che le ho messo, perché mi butta le braccia al collo e mi dà un bacio sulla guancia, contenta come non mai.
Ricambio l'abbraccio e penso a come basti poco per rendere felice una persona.

«Si, si, si! Lo sapevo! Sei super! Prendo subito i biglietti!»

«Per lo stadio, prendilo solo per te. D'accordo?»,
le ripeto.

«Cosa? No, ho paura, è pieno di ubriaconi!
Vieni con me anche lì.»

«No, ho bisogno di quelle ore per studiare...»

Benedetta non sembra convinta.

«Ma cosa ti cambia? Un'ora in più, una in meno...»

«Ti prego!»,
la supplico.
Sembra dispiaciuta, ma sa di aver già ottenuto molto da parte mia.
In fondo, ci conosciamo a malapena.

«E va bene, ma devi accompagnarmi e venire a riprendermi!
E devi essere SEMPRE rintracciabile!
D'accordo?»

Sorrido.

«D'accordo!»

❥ 𝑻𝑰 𝑹𝑰𝑪𝑶𝑹𝑫𝑰 𝑫𝑰 𝑴𝑬? || Riccardo Calafiori Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora