10. 𝑺𝒄𝒖𝒔𝒂

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RICCARDO CALAFIORI'S POV:

Ho visto tante volte Denise piangere: quando si è sbucciata entrambe le ginocchia cercando di giocare a calcio con me e i miei amici, quando le hanno negato la lode all'esame di terza media, quando suo padre ha stinto la sua maglietta preferita, quando le hanno comunicato della malattia della nonna e quando la sua insegnante di matematica le ha detto che con quel carattere introverso non sarebbe andata da nessuna parte nella vita. 
Il suo pianto, però, in quei casi, non dipendeva in alcun modo da me.
Adesso si.

Durante l'adolescenza, Denise si era scontrata con la durezza del mondo, e aveva cercato rifugio dove sapeva che lo avrebbe sempre trovato.
Io sentivo l'impulso di proteggerla, perché non volevo che cambiasse.
Quando ti dicono che il tuo modo di essere è sbagliato, c'è il rischio che nasca in te la volontà di cambiarlo.
Ho imparato sulla mia pelle, però, che in quei casi ad essere sbagliato non sei tu, ma l'ambiente che ti circonda.
Basta avere il coraggio di andare alla ricerca del proprio posto nel mondo, senza la necessità di stravolgersi.
Denise, fragile com'era, aveva provato a cambiare per ottenere l'approvazione del mondo esterno.
Ricordo che una volta me lo disse chiaramente: ci trovavamo a casa sua, in un freddo pomeriggio di Dicembre.

«Io devo cambiare, altrimenti qua non sopravvivo.»,
mi aveva detto.

«Chi ti dice che sei tu quella sbagliata?»,
le avevo risposto io, che ero a conoscenza delle critiche che le venivano rivolte da alcuni insegnanti.
Che Denise fosse timida, era vero.
Ma io che lo ero come lei, avevo capito che la capacità di dire una parola in meno invece che una in più andava preservata, perché nel nostro mondo mancava sempre di più.
Denise, tuttavia, stimava i suoi professori, e mai si sarebbe sognata di mettere in dubbio le loro parole.

«Senti, se a te va bene non metterti mai in discussione, sono fatti tuoi.
Io se delle persone più grandi di me mi dicono che c'è qualcosa che non va nel mio modo di comportarmi, ci rifletto su.»,
mi aveva risposto, tradendo un certo nervosismo.

«È vero, ma questo non significa che tu debba cambiare per loro. Tutto qua.»

«Invece secondo me dovrei provarci.
Ti rendi conto che io in diciassette anni non ho mai baciato un ragazzo?
Non sono mai salita su una moto, non ho mai fumato una sigaretta, non ho mai preso un'insufficienza...
Non ho mai rischiato!»

«Da quando prendere un'insufficienza la consideri una cosa buona?»,
l'avevo presa in giro io, che di insufficienze ne avevo viste.
Denise mi aveva rimproverato tutte quelle volte che avevo tralasciato lo studio per via del calcio.
Il mio amore per quello sport era superiore a tutto, e figurarsi se mi sarebbe potuto importare di un quattro in più o uno in meno.

«Da mai, e questo è il punto!»,
aveva replicato Denise.
Il modo in cui lei insistesse nel voler cambiare se stessa solo per quello che le avevano detto degli insegnanti, mi mandava fuori di testa.
Da quel giorno decisi che l'avrei tenuta sempre d'occhio, per assicurarmi che non facesse cazzate per uniformarsi alla massa.

Quella sensazione di essere fuori posto, la provai pochi mesi dopo di Denise, e ancora una volta potei capirla.
Mourinho, l'allora allenatore della squadra in cui giocavo, la Roma, mi comunicò, senza mezzi termini come era solito fare, che dovevo considerarmi fuori dal progetto, dopo una partita storta contro il Bodo Glimt.
Il mondo mi cascò addosso: mi avrebbero mandato sei mesi in prestito al Genoa, e poi chissà.
Denise, in quella occasione, mi disse delle parole che tenni a mente durante tutta l'esperienza a Genova.

«Tu non vali meno per quello che ti ha detto Mourinho.
Tu rimani Riccardo, con i tuoi pregi e i tuoi difetti, ma sempre Riccardo.
Se per una vita ti hanno detto che avevi delle qualità, e una singola persona ti dice il contrario, perché soffermarsi su quella e non su tutte le altre che hanno sempre creduto in te?»

❥ 𝑻𝑰 𝑹𝑰𝑪𝑶𝑹𝑫𝑰 𝑫𝑰 𝑴𝑬? || Riccardo Calafiori Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora