7 - Il Prescelto

23 2 14
                                    

Era un continuo susseguirsi di morti, il sangue era sparso ovunque, da ogni parte vedeva cadere corpi inermi e pallidi, talvolta accompagnati da strazianti urla, o meglio, le urla erano secondarie, ormai ci aveva fatto l'abitudine. Le urla di terrore erano diventate parte del sottofondo musicale al quale era portato ad assistere contro la sua stessa volontà, senza che lui avesse mai espresso il desiderio di vedere quelle strazianti scene di dolore, ma era questo il trattamento che gli veniva riservato. Perché? Perché lui era il Prescelto, l'unico che sarebbe riuscito a non cadere nel peccato salvando la specie umana, o che l'avrebbe condannata facendo la stessa fine di tutti gli altri peccatori.

Perché proprio lui? Questo era indecifrabile.

Per un momento, egli preferì essere morto, preferì non dover assistere a quel tremendo scenario senza poter far nulla, lasciando solo che la situazione si evolvesse senza averne il controllo.

I corpi cadevano ogni secondo, scandivano il tempo. Il ticchettio era soppiantato dalle loro soffocate grida, come un orologio difettoso ma allo stesso tempo fin troppo preciso.

Non voleva restare a guardare, non poteva. Aveva ormai prosciugato le lacrime.

Vedeva tutti coloro che conosceva anche solo di vista perdere la vita per mano di un bambino.

Per la prima volta in vita sua constatò che le persone erano davvero importanti, che tutti coloro che lo circondavano avevano un ruolo nella sua vita, fosse esso da protagonisti o da comparse: tutto era regolato da un tremendo equilibrio.

Voleva scappare.

Provò a chiudere gli occhi ma non riuscì, le sue pupille perfettamente dilatate accoglievano ogni immagine apocalittica, le palpebre non osavano sbattere.

Tentò di scappare, ma le sue gambe non ascoltavano i messaggi mandati loro dal cervello, i suoi piedi non si spostavano, come se fossero rimasti incollati al terreno da uno dei più resistenti collanti, come se fosse stato per metà immerso nel cemento.

Provò ad urlare, ma il corso del fiato ebbe una battuta d'arresto ancora prima di raggiungere la laringe.

Era paralizzato.

Si svegliò ansimante e le gocce di sudore gli cadevano dal ciuffo informe di capelli che gli ricoprivano la fronte. Gli occhi serrati e spalancati come se non avessero mai goduto della luce mostravano terrore.

Clarence si era appena risvegliato dal più terribile dei suoi incubi.

Un incubo... è stato solo un incubo.

Tutto ciò che sembrava essere accaduto nei giorni precedenti era in realtà frutto della sua fervida immaginazione, un demoniaco fratello, la scomparsa dei primogeniti, la morte del fratello di Oliver... era tutto un incubo.

Allietato da questo pensiero, chiuse gli occhi tranquillizzato e sospirò. Si passò una mano sul viso e, sebbene gli sarebbe piaciuto passare ancora del tempo avvolto dalle calde e morbide lenzuola, si alzò stiracchiandosi e scese le scale dell'abitazione per festeggiare con un evento raro: la colazione.

Nella casa, l'unico rumore percepibile era quello dei gradini della scala a chiocciola in legno che scricchiolavano al passaggio del ragazzo: fatto insolito.

Clarence pensò che i suoi familiari stessero ancora beatamente dormendo nei loro letti e ne fu sollevato. Per la prima volta provava una gioia indescrivibile, capì quanto in realtà tenesse ai suoi cari e quanto fosse felice di non avere tra i piedi Gabil: per fortuna era solo un brutto sogno. Non sarebbe riuscito a sopportare l'idea di dover vivere per sempre vicino a quell'essere spaventoso dal colorito pallido.

La Vendetta dello SpecialeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora