14 - Il ritorno

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L'alba è sempre stata la principale fonte di ispirazione per gli ottimisti e positivi artisti. Le sue luci e i suoi colori risuonavano come una dolce e al tempo stesso emblematica melodia che rapiva e annebbiava la mente di tutti. Era un po' come la notte, ma, al posto di dar vita a insicurezze e fobie, rappresentava la sicurezza della vita, l'inizio di un nuovo giorno e l'augurio di vivere infiniti momenti come quello: per questo si dice "buongiorno".

L'augurio non era solo rivolto a quella specifica giornata, ma un po' all'unico, grande e lungo giorno che è la vita, la quale comincia all'alba e va a spegnersi al tramonto fino a essere totalmente oscurata dalla notte che con il suo scuro manto ricopre ogni cosa.

Guardando quel vecchio e desolato paesino, l'alba si era fusa con la notte, creando una situazione di tremenda e angosciante pace, una distesa grigia e senza vita, senza rumori e senza senso: la morte. Stare a Middletown significava sperimentare una divisione spazio-temporale, significava provare una sensazione di tranquillità come quella che dona il sonno... il sonno eterno, quello dal quale nessuno è capace di uscire.

Erano ormai passati dieci anni dal fatidico giorno apocalittico, dal tramonto dell'era d'oro di Middletown: era rimasta spoglia e, ufficialmente, senza vita.

Tutti erano stati uccisi dall'azione dello Speciale, Middletown era stata dimenticata da tutti, proprio come era accaduto a Detelville.

Clarence poteva considerarsi l'unico sopravvissuto a quella catastrofe, ma il tempo era passato e la magia cominciava a fare effetto anche sulla sua mente incorruttibile facendo venir meno i ricordi.

Il giovane non abitava più a Middletown, come prevedibile. La sua valigia era pronta dal giorno del suo diciassettesimo compleanno e i motivi che lo portavano a rimanere nel suo paesino natale erano scomparsi insieme al pentacolo.

Non passò molto dall'accaduto perché si trasferisse definitivamente a Lussville, ampliò di poco il suo bagaglio e si imbarcò sul primo treno disponibile.

All'inizio ambientarsi fu dura, dopotutto, aveva solo diciassette anni.

Seppur leggermente a malincuore, fu costretto ad abbandonare gli studi e, dopo aver vissuto le prime settimane su un cartone in mezzo alla strada, si diede da fare e riuscì a trovare un discreto lavoro in un pub per adolescenti non molto distante dal centro di Lussville.

Passò i primi sei mesi nello scantinato del locale, ma poi incontrò Mia.

Mia era una giovane frequentatrice del locale e aveva mostrato non poco interesse per il Buster, senza però essere a conoscenza delle sue condizioni di totale miseria.

La ragazza era già una madre, madre di uno splendido bebè di pochi mesi, avuto con un giovane fidanzato da dimenticare che la abbandonò poco dopo. Non nascondeva il suo odio per il ragazzo, ma, in fondo, era il primo coetaneo che avesse mai amato e dal quale pensava di essere amata.

Anche lei cadde in miseria, la sua, però, non era una miseria economica, dato che apparteneva a una famiglia più che benestante, ma si trattava di una miseria mentale e sentimentale che l'aveva portata in un forte stato di smarrimento e di depressione. Sulle sue spalle aveva una grande responsabilità, ovvero quella di portare avanti una vita umana che lei stessa aveva generato e che amava, ma non riusciva a non cedere ai suoi momenti di debolezza.

Il pub era l'unico luogo in cui poteva sentirsi se stessa, luogo nel quale era solo Mia, un'adolescente che voleva godersi gli anni, cosiddetti, migliori della sua vita. Ella, però, si recava al locale sempre da sola, mai in compagnia di qualche amico o di una nuova fiamma e questo, al posto di giocare a suo favore, la condannava a occhiate poco amorevoli e alla solitudine.

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