Promesse infrante

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I.

"Sono passati otto mesi Andrealphus" Paimon se ne stava erto e immobile, gli occhi semichiusi a scrutare qualsiasi omissione nell'animo del suo interlocutore "Otto mesi e nemmeno la più blanda traccia di un erede."

"Vostra altezza, come ben saprà per queste cose non è...ehm... automatico. Talvolta ci vuole più tempo, lo stress, le complicazioni, le condizioni fisiche..." L'inflessione della voce vibrò di timore sul finire della frase.

"Già" Paimon mosse il capo in segno di assenso "Le condizioni fisiche..." tacque, meditabondo, "forse la principessa non è in grado di, come dire, adempiere al proprio compito."

"Signore... ehm... vostra altezza io non credo che..." Andrealphus non avrebbe osato accennare a delle colpe condivise tra sua sorella e il figlio del suo signore, ormai sposini da ben otto mesi e senza neppure l'accenno di una gravidanza.

"L'accordo era che fosse di sangue reale, di ottima educazione, bella e fertile." lo interruppe il re dei Goetia.

Andrealphus si passò una mano sul volto, ingoiò un grumo di saliva che gli si era accumulato in bocca "Io non credo che ci siano... io so che non ci sono dei problemi di... ehm... fertilità."

"Sai bene che tua sorella non era l'unica scelta... né la prima. Ho lasciato che questo matrimonio si facesse per la stima che mi lega a tuo padre, Andrealphus, e perché me l'avete educata bene, come desideravo, e perché la pubertà è stata clemente con lei."

Andrealphus era pieno di rabbia e di una sensazione nuova e terribile che non sembrava aver conosciuto prima, un brivido gli percorse la spina dorsale, sentì la bocca farsi secca e pastosa e le parole morirgli in gola.

"Un anno" sentenziò Paimon "Tra un anno o avrò un nipote, o avrò un figlio nuovamente scapolo."

Andrealphus non riuscì a controbattere, accennò un "sì" con il capo e si congedò.

Uscendo ebbe l'impressione di aver sentito il fruscio di una veste, il ticchettare di tacchi sul pavimento di marmo, ma nell'ampio corridoio non c'era nessuno; ma in fondo, dietro una delle porte chiuse, la principessa se ne stava accovacciata, in silenzio, nel buio, a soffocare con entrambe le mani i singhiozzi, mentre grosse lacrime le rigavano il viso.

***

Il principe era, come sempre, nella sua biblioteca, nel torrione est del palazzo. Un velo di malinconia sul cuore, mentre si esercitava nell'evocazione di portali dimensionali. Altri mondi, una fuga, dalle responsabilità, da suo padre che lo considerava una delusione, dalla sua vita già scritta.

"Me lo avevi promesso Stolas" la voce di Stella, rotta dal pianto, gonfia di rancore "Mi avevi promesso che non avremmo mai più dovuto fare niente!"

Stolas la fissò confuso, spalancando gli occhi cremisi in un'espressione di sorpresa e preoccupazione.

"Te ne stai tutto il giorno rinchiuso con le tue fottute piante, e le tue fottute magie mentre mio fratello discute con tuo padre di come io si inutile a questa famiglia se non ti do un maledetto erede." Stella lo colpì goffamente al petto, più volte, non gli faceva alcun male, non fisicamente almeno.
Lui le prese delicatamente i polsi, e ne percorse la linea fino a stringerle le mani.

"Io... loro sapranno che ci vuole tempo e se non arriverà sarà stata sfortuna, noi non dobbiamo per forza... insomma...lo sai" balbettò "Possiamo essere buoni amici, farlo funzionare, io non ti toccherò più se non lo vuoi. La notte del nostro matrimonio..." sospirò "...quella notte noi abbiamo dovuto, ma non dobbiamo, mai più, ne abbiamo parlato..." Sospirò, avvicinando le sue mani alla bocca le posò un bacio leggero sulle dita. "L'amore, lo sapevamo fin da bambini, non è qualcosa che ci avrebbe dato questa vita; ma noi possiamo... andare d'accordo, passare dei momenti sereni... So che non ti piaccio Stella, non voglio piacerti, voglio solo che questo matrimonio non sia una prigione."

"Ma non lo capisci?" Stella gli lanciò uno sguardo duro, di disappunto e delusione "Non lo capisci che queste sono inutili fantasie? Se io non ti darò un erede e allora ti daranno una nuova scintillante moglie migliore, e io sarò la povera ragazza ripudiata perché inutile all'unico compito che conta davvero. Non mi prenderà neppure l'ultimo dei fottuti imp dell'Inferno Stolas, e mio padre, mio padre... lui..." Iniziò a piangere istericamente, ricadde sulle ginocchia mentre ancora Stolas le teneva le mani. L'ampia veste la faceva apparire come un angelo caduto in gesto di preghiera.

La bocca del principe si arcuò in un'espressione di tristezza e impotenza "Alzati" la supplicò a mezza voce.

Ma lei non era più lì, la sua mente era altrove, nelle stanze di un palazzo diverso, in un corpetto troppo stretto per quella che era ancora una bambina. Vedeva il volto severo di suo padre scrutarne il portamento, la disapprovazione nei suoi occhi se non era perfetta nel canto. Sentiva il bruciore di uno schiaffo sulle sue guance quando osava contraddirlo, i lividi sulle cosce per le botte troppo forti quelle volte che aveva trovato la forza di disobbedire.
E adesso gli avrebbe dato un'altra delusione, l'ennesima delusione, avrebbe solo voluto essere una buona moglie, riuscire a farsi piacere suo marito, ma non c'era nessuna connessione, nessuna chimica, non funzionavano. Era un bravo ragazzo, nulla di più: dolce, anche troppo, non aveva più osato toccarla da otto mesi, solo perché lei glielo aveva chiesto. Forse avrebbe dovuto ritenersi fortunata, che lui non la forzasse, che non si aspettasse nulla. Ma il rispetto del principe sarebbe stata la sua rovina. Le sue compagne del collegio, violate ogni notte dalle mani egoiste di un marito che non ricorda nemmeno il loro nome, le sembravano le più fortunate della terra, avevano avuto figli, reso fieri i loro genitori, e soprattutto non avrebbero mai più dovuto rimettere piede nella casa paterna. Dopotutto sarebbe stato solo sesso, e forse non era niente di insopportabile rispetto alle botte e le umiliazioni che l'avrebbero aspettata a casa di suo padre.

STORIA DI UN MATRIMONIODove le storie prendono vita. Scoprilo ora