Confini e Sconfinamenti

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Stella l'aveva raccolto: si era chinata e gli aveva porto entrambe le mani per aiutarlo a tirarsi su. A Stolas aveva ricordato tutti quei momenti in cui, da ragazzini, durante un litigio lei lo spingeva per terra nell'aranceto o nella serra e si allontanava arrabbiata, minacciando di non tornare più.
Non passava molto tempo prima che tornasse sui suoi passi e, noncurante della propria incoerenza, si chinava a riprenderlo e gli diceva in tono canzonatorio:

"Se non sai rialzarti da solo, come farai a guidare un regno?"

Ma lui non si rialzava perché sapeva che sarebbe tornata, stava seduto a guardare le foglie scintillare al sole, le farfalle blu sparpagliarsi nello spazio sopra la sua testa, i petali dei fiori cadere lenti come neve, stupendosi della bellezza semplice delle cose note.

Poi lei tornava e lo afferrava goffamente per la giacca, con la sua figura esile e lo sguardo imbronciato, e lo tirava su di peso.
"Togliti il fango dai pantaloni o se la prenderanno di nuovo con me!"
"Ma è stata colpa tua."
"Non importa, sono cose nostre, non loro, arrabbiati con me piuttosto!"

Ma lui non si arrabbiava, non si arrabbiava mai, era un gioco di fiducia, lo spingeva per terra e fuggiva, ma lui sapeva che sarebbe tornata a riprenderlo, e temeva in cuor suo il giorno in cui non lo avrebbe più fatto.
Ora sentiva la stessa figura esile, con le stesse braccia magre, afferrarlo per la vestaglia e tirarlo nuovamente su, con un movimento meno goffo e più risoluto, senza fare nessun'altra domanda se non quella a cui non aveva ricevuto risposta.

"Sei pieno di tagli, imbranato incosciente." gli diceva mentre lo accompagnava nella camera da letto, ma il suo tono non era il solito tono canzonatorio. Era più morbido e lieve.

Un piccolo gruppo di maggiordomi e cameriere si era avvicinato alle stanze del principe. Sbriciavano incuriositi dalla porta del salottino, si accalcavano uno dietro l'altro, incuranti di una qualsiasi forma di discrezione; una cameriera forse più coraggiosa, forse solo più curiosa degli alti, era entrata con la scusa di pulire il disastro dello specchio in frantumi.

Stella aveva lanciato loro uno sguardo feroce.

"Ma che fate? Andate via!" Aveva gridato "Vi ho forse chiamato? Andatevene!"

E la massa disordinata della servitù era scomparsa, com'era comparsa, in una fuga goffa e disordinata. Lei aveva sbattuto la porta alle sue spalle, borbottando qualcosa in un ringhio. Stolas avrebbe giurato di averla sentita sussurrare: "Sono cose nostre, non loro."

***

Il disinfettante sui tagli bruciava, lei era meticolosa, era partita dalle gambe, su cui si concentravano gran parte delle ferite più profonde, proprio dove le forze lo avevano abbandonato e si era accasciato sui cocci di ceramica e le schegge di vetro.
Al disinfettante seguiva una strana pomata vischiosa e semi trasparente, e poi una piccola benda o un cerotto per i tagli più piccoli. Sembrava lo avesse già fatto un milione di volte.
Era seduto sul bordo del letto, con la testa leggermente inclinata di lato, e la guardava: gli appariva concentrata e assorta, inginocchiata ai suoi piedi, e si stupiva di come anche così gli sembrasse forte, come se avesse perfettamente il controllo. La fronte aggrottata, il broncio familiare della quattordicenne che era stata, le dita delicate al tocco pur nella loro risolutezza; si era tolta i guanti di seta e li aveva gettati in un angolo, lui notò c'erano delle piccole macchie di sangue sopra.

"I guanti..."

Lei aveva guardato nell'angolo, e poi lui, con sguardo interrogativo. Aveva due occhi grandi e accigliati, velati di leggera preoccupazione.

"Mi dispiace...li...li faremo lavare."

Lei scosse il capo. Tornò a tamponare una ferita con il disinfettante.

STORIA DI UN MATRIMONIODove le storie prendono vita. Scoprilo ora