37.Martenitza

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Sofia, marzo 2010

Sofia, marzo 2010

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Vento. Primavera. Vita.

Yordanka inspirò a pieni polmoni il profumo della vegetazione, che sembrava insinuarsi tra le narici dei presenti quasi volesse convincerli a sbocciare insieme ai fiori; non restava altro da fare che abbandonarvisi ed eseguire ciò che la natura ordinava loro, fino alla meta.

Non facevano spesso quel genere di uscite di famiglia, e Yordanka si chiese perché. Forse erano tutti troppo presi dai propri pensieri e dalle rispettive preoccupazioni. O magari era perché passavano la maggior parte del tempo assieme all'Ephia, tanto da rischiare di iniziare a reputarsi scontati.

Yordanka, invece, non avrebbe mai commesso quell'errore. L'aveva pagato caro troppe volte.

Quel giorno non riusciva proprio a levarsi quel sorriso radioso dal viso, nonostante Cicio Vasko l'avesse sbeffeggiata amichevolmente già almeno tre volte.

«Che hai, uno spillino nel palato che ti tira in su le guance?» chiese anche in quel momento, affiancandosi a lei nella spaziosa strada che serpeggiava a lieve pendenza verso le basi del rilievo montuoso.

Yordanka rise. No, nessuno spillino; solo la primavera e la gioia di vivere. Non le era mai servito altro, e non aveva mai desiderato nulla di più. Potevano sembrare cose semplici, e invece le erano state negate per tanto di quel tempo, e in così numerose occasioni, che raramente si trovava a sorridere come in quel momento, e forse per questo Cicio Vasko lo reputava un evento tanto bizzarro.

«Semplicemente mi sto godendo il momento» rispose, chiudendo gli occhi per prendere un altro respiro profondo.

La città si stendeva come un oceano di cianfrusaglie accatastate tra loro e nascoste dalla nebbia che a bassa quota era più lieve, per disperdersi in quadrilateri colorati, e infine fondere il verde che si tuffava nel blu, miscelandosi con esso fino a rendere indistinguibili tra loro terra e cielo. Conosceva la sua casa meglio delle sue stesse tasche, non aveva bisogno di schiudere le palpebre per vedere Sofia.

Non era tuttavia la città a farla sentire a casa, e non era mai stata nemmeno l'Ephia; il vulcano poteva anche eruttare e ridurre in lava incandescente e macerie di pietra l'intero panorama che si estendeva ai suoi piedi, ma finché i suoi figli fossero stati sani e salvi, e soprattutto felici, avrebbe avuto un motivo valido a sufficienza per sorridere e considerarsi viva.

Chissà perché non se ne era mai resa conto prima.

«È un paesaggio stupendo, non mi stancherò mai di guardarlo!» commentò, da dietro, la voce briosa di Li Wen, che si fuse con il tepore lieve, ma intenso, dei raggi di sole che riuscivano a scavarsi un'uscita tra le nuvole e raggiungere i loro capi.

Voltandosi, scoprì che pure lei e Georgi si erano fermati a osservare la vista panoramica da quel punto. Anche il passeggino in cui era sprofondata Na Mei era rivolto al pendio in discesa, ma la piccola, nata da appena tre settimane, sembrava più interessata a fissare ammaliata una piccola foglia verde che era caduta per caso sul suo pancino. Yordanka, come in una reazione a catena, si incantò a osservare la sua nipotina concentrata e rilassata come non l'aveva mai vista. Ancora faticava a realizzare appieno il fatto di essere diventata nonna, condizione che però non faceva che accrescere ulteriormente il suo istinto materno.

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