17.Skŭsana vrŭska

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Russia, gennaio 1996

Russia, gennaio 1996

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«Mio.»

Con tono annoiato, Aleksander raccolse nel suo mazzo le carte di Konstantin e Hristo poste sul tavolino, dato che la sua era la più grande. Alla mano successiva toccò a Konstantin, e quella dopo a Hristo. I loro tre mazzi vantavano le medesime dimensioni, carta più e carta meno, e la partita si stava svolgendo nel modo più equilibrato possibile, tanto che, di quel passo, poteva anche finire per prolungarsi per ore.

Giocare a Voina¹ senza Dance e i bambini era tremendamente noioso. Di solito lei si beccava tutte le carte più basse e lui la prendeva in giro a ogni mano, così metteva il muso e poi litigavano finendo per strapparsi le carte a vicenda, entrambi molto competitivi in ogni tipo di gioco. Certe volte arrivavano addirittura al punto di lanciarsele addosso mettendo in atto una vera guerra di carte, con tanto di palizzate dietro al divano o a delle sedie. A occhi esterni sarebbe potuto sembrare un comportamento infantile, ma né a Gogo, né a Ran né a Kiril era mai dispiaciuto, anzi, partecipavano anche loro alleandosi chi con l'uno e chi con l'altro.

Però né Yordanka né nessuno dei suoi splendidi bambini erano lì a giocare con loro.

Aleksander continuava a non vedere altro che il suo viso. Gli sorrideva dal vetro appannato del get Ophliro in cui lui, Hristo e Konstantin soggiornavano al momento, soffiava aria calda sul suo collo dal condizionatore posto sul soffitto, e gli solleticava le narici con il profumo di un dolcetto indiano offertogli da Denali.

Perché ne sentiva così tanto la mancanza? Non si trattava di una separazione definitiva, una volta salvata Violeta, infatti, si sarebbero riuniti e tutto sarebbe tornato come prima. Questo era ciò che la parte logica e razionale di sé cercava di ricordare in ogni momento, unico pensiero fisso che gli permetteva di rimanere focalizzato sulla missione in corso impedendo allo sconforto di spingerlo a terra. Eppure... perché, nel momento in cui si era voltato per uscire dall'Ephia, aveva avuto l'impressione che fosse l'ultima volta che vedeva la donna che amava? Era stato una sorta di strano presentimento, forse solo causato dal fatto che l'Ephia era diventata una sorta di roccaforte e prigione al tempo stesso, uscirne e farne addirittura ritorno non era affatto facile, anzi, era quasi impossibile.

E lui non era riuscito nemmeno a salutare i suoi figli. A dir la verità Kiril erano anche due settimane che non lo vedeva, e sul momento, forse non aspettandosi che se ne andasse, anche Gogo e Ran erano rientrati seguendo gli zii, mentre Ilia lo aveva scorto di sfuggita in braccio a Konstantin. Era successo tutto così in fretta che, anche continuando a ripercorrere in testa gli avvenimenti che lo avevano portato a giocare a carte con Konstantin e Hristo in un jet colmo di Ophliri, diretto a nientemeno che Gamsutl, stentava a trovarvi un senso logico. Non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce ma, forse perché c'era troppo da perdere, aveva una terribile paura di non riuscire a...

«Tocca a te» ruppe il flusso soffocante dei suoi pensieri Konstantin, indicando le tre carte sul tavolo di gioco. Eh già, la sua era la più grande, notò, pervaso da un moto di stupore. Ne dedusse che aveva preso ad agire meccanicamente, ponendo una carta sul tavolo a ogni turno, mentre la sua mente veniva ghermita da pensieri autodistruttivi e nocivi.

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