22.Točno kato...

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...queste mille domande
che si ramificano
non portano, in fondo,
che ebbrezza e follia;

-L'età dell'oro-
(Rimbaud)

Sofia, gennaio 1996

Sofia, gennaio 1996

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Faceva freddo. Tanto freddo che il bambino era scosso dai tremori. Perché le basse temperature facevano sì che il suo corpo vibrasse in modo incontrollato?

La grande stanza era immersa nell'oscurità, la quale però era stemperata da un fascio di luce proveniente da una piccola finestrella di vetro troppo in alto perché Kiril riuscisse a raggiungerla sia con gli occhi che con la punta delle dita, anche se si allungava verso l'alto con un braccio o se faceva un saltino. Tuttavia, aveva notato che per distinguervi qualcosa del mondo esterno gli era sufficiente retrocedere fino alla parete opposta, anche in posizione accovacciata come quella in cui si trovava al momento, le piccole gambine nodose allacciate dalle braccia esili. Era così affascinante quel meccanismo visivo, che il primo giorno Kiril aveva percorso avanti e poi indietro l'intero locale una quantità spropositata di volte solo per studiarlo meglio – e per scaldarsi un po' al tempo stesso. Anche i giorni seguenti, per la noia, aveva ripetuto lo stesso giochino in un paio di occasioni.

Non vedeva l'ora di raccontarlo a suo papà una volta che lo avessero fatto uscire di lì. Chissà quando gliel'avrebbero permesso? Ci aveva pensato spesso in tutte quelle ore di silenzio trascorse a tremare dal freddo, ed era giunto alla conclusione che si trattava di una conseguenza della valanga di neve con cui aveva voluto spiegare a Maksim il funzionamento di quel concetto che l'uomo pareva non aver compreso appieno. Non sembrava averla presa molto bene infatti, e quando poi l'altro, infuriato, l'aveva colpito, l'impatto era stato tale da piegarlo in due per la sensazione di essere stato trafitto da un macigno. Da quale meccanismo era causato il dolore? Come mai le fitte erano continuate anche per diverso tempo dopo? In quel momento, però, si era sentito soprattutto confuso, perché lo stavano accusando di una sorta di colpa. Non era stato lui a sommergerlo con la neve, era stata... la neve! Kiril non aveva fatto altro che interagire con ciò che lo circondava, allo stesso modo con cui era solito fare con Ran e occasionalmente Gogo, con la differenza che, per la prima volta nella sua vita, quel qualcosa gli aveva risposto!

Kiril si faceva domande continue – principalmente perché, e se...? – sul funzionamento dei meccanismi che muovevano l'ambiente in cui si trovava in ogni attimo della sua vita. Pur non conoscendo ancora il significato della parola algoritmo, si sentiva attratto in modo incontrollato dal desiderio, anzi, la necessità, di scavare nella realtà, estrapolarne tutte le caratteristiche possibili, e immaginare certe circostanze sensate a partire da quella determinata situazione di partenza. La sua mente non smetteva mai di pensare e vagare tra quesiti continui, fino a comporre interi mondi immaginari e confusi tra loro, tutti originati da e se relativi all'ambiente che lo circondava, quasi fosse in grado di distinguere verità alternative a quella comprovata dagli occhi di tutti gli altri. Individuare intorno a lui le leggi che regolavano l'ordine delle cose lo affascinava infinitamente, perché era ciò che gli permetteva di individuare il tortuoso sentiero per la consapevolezza anche nei suoi pensieri sempre affastellati alla rinfusa tra loro.

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