La finestra aperta permetteva alla cocente aria estiva di entrare nel salotto della modesta casa, questo rendeva la stanza ancora più calda e afosa. Quando il telefono squillò si trovava dall'altra parte della stanza rispetto al divano sul quale Morgan era distesa mentre faceva zapping sulla tv, in realtà non stava nemmeno realmente guardando lo schermo, completamente annoiata e disinteressata dai colori e dai suoni che avrebbero dovuto riempire la stanza. Lentamente, come se il corpo fosse un pesante macigno, si alzò dal divano e con lentezza rispose:
<<Mor, Haley ha finito prima gli allenamenti e io non sarò a casa prima della 21. Ho bisogno che vada tu a prenderla.>>
Morgan sbuffò sonoramente, non avrebbe voluto uscire con questo caldo e non pensava nemmeno fosse responsabilità sua andare a prendere sua sorella minore.
<<Mamma, la macchina la hai tu, dovrei andare in bicicletta. A questo punto può tornare a piedi.>>
<<Tesoro lo sai che non voglio che tua sorella torni da sola. Ti ho chiesto un favore e la conversazione finisce qui.>>
Che ingiustizia. Pensò Morgan dopo aver bofonchiato qualcosa e attaccato la cornetta del telefono. Sua sorella aveva già sedici anni, non era più una bambina e la palestra dove faceva gli allenamenti di pallacanestro distava solo poco più di un chilometro. Ormai la frustrazione stava iniziando a calare mentre montava in sella alla sua bici.
Una vecchia bici verde petrolio presa ad un mercatino dell'usato tre anni prima, era stato il regalo per i suoi quindici anni e Morgan la usava per andare ovunque, adorava sentire il vento in faccia mentre sfrecciava per le strade del quartiere. Le conosceva a memoria quelle strade, avrebbe potuto percorrerle ad occhi chiusi, ogni svolta, palazzo o incrocio. Abitava li da tutta la vita, il classico quartiere del ceto medio-basso americano. La loro famiglia non era mai stata ricca, riuscivano a malapena a mantenere la casa grazie ai doppi turni che faceva sua madre come infermiera in ospedale e che spesso la tenevano lontana da casa quasi tutto il giorno.
Ripensando a tutti i sacrifici che sua madre faceva per loro Morgan si pentì di aver usato quel tono durante la conversazione al telefono. In fin dei conti le aveva sempre cresciute da sole, suo padre era sparito subito dopo la nascita di Haley eppure Penny non si era mai scoraggiata, sapeva di non essere mai stata una madre perfetta ma sicuramente aveva sempre fatto del suo meglio.
<<Mamma, perchè io non ho un papà?>>
Aveva solo cinque anni quando alla festa della scuola fece questa domanda a sua madre. Penny sospirò, ponendo Haley nel passeggino e con uno sguardo che faceva trapelare un lieve velo sconforto e risentimento si rivolse alla figlia più grande.
<<Tu hai un padre, Mor. Tutti ne hanno uno. Semplicemente il tuo ha scelto di andare via.>>
La risposta sbrigativa della madre aveva lasciato la bambina turbata. Perchè mai aveva scelto di abbandonarle? Le sembrava una cosa sbagliata ed innaturale. Guardava tutti gli altri genitori radunati davanti allo squallido buffet che la scuola aveva proposto per festeggiare la fine dell'anno scolastico. Le mamme impegnate a riempire i piattini dei mariti con salatini e patatine in busta del discount. Era come se fossero pacchetti preconfezionati da due pezzi, Mamma e Papà. Invece la sua di mamma se ne stava in disparte, troppo presa a cullare il passeggino, con una espressione stoica e fiera. La sua mamma era sola e se la cavava piuttosto bene. Dopo quell'episodio Morgan non si sentì mai più triste di avere solo la mamma, anzi si sentiva orgogliosa di come Penny non avesse bisogno di nessuno a differenza delle altre donne della stanza che sembravano quasi dei trofei e si preoccupavano se il marito avesse il bicchiere vuoto o se si fosse sporcato di sugo la camicia.
Crescendo Morgan represse la sensazione di mancanza nel profondo dentro di lei, così in basso che quasi aveva cessato di esistere.
Quel ventisette agosto l'aria era particolarmente torrida nonostante il sole fosse calato già da quasi un'ora ma Morgan, nonostante si fosse lamentata all'inizio, era contenta di cavalcare la sua bici. Nelle cuffiette attaccate al suo Ipod la musica risuonava a tutto volume, la nuovissima canzone "poker face" di Lady Gaga. Le piaceva tutto ciò che riguardava la cultura pop e trovava quel brano molto innovativo e orecchiabile. Le piaceva il progresso e tutto ciò che comportava, avere diciotto anni nel 2008 dopotutto aveva i suoi vantaggi, aveva potuto assistere alla lenta evoluzione dei telefoni cellulari e sapeva che sarebbero stati sempre più all'avanguardia. Non vedeva l'ora di vedere che cosa il futuro avesse in serbo per lei.
Era sempre stata una ragazza curiosa ed intraprendente anche se, suo malgrado, non era sempre stata esattamente popolare, soprattutto al liceo, aveva poche amiche ma erano quelle giuste. Fu una doccia fredda quando non venne selezionata per andare al college dei suoi sogni e dovette accontentarsi di quello più vicino a casa. Le sue amiche andavano tutte in college prestigiosi e Morgan sapeva che le avrebbe perse di vista una volta finita l'estate. La questione l'aveva scossa molto e al momento era in cima alla lista delle catastrofi più gravi che le potessero capitare. Cosa mai poteva esserci peggio di quello?
Un secondo. Chiuse gli occhi solo per un secondo, voleva assaporare il profumo estivo e godere della brezza fresca sulle gote. Voleva smettere di pensare a suo padre, alle sue amiche e al college almeno per un minuto. E poi successe.
Lei non sentì quasi nulla se non un forte rumore e il suo corpo venire sbalzato via dalla sella. Sentiva calore irradiarsi per tutto il corpo e un liquido denso tra i denti, per un istante riaprì gli occhi e tutto quello che vide fu la sua bici verde dall'altro lato della strada. Poi venne il buio.
Si sentiva leggera e per un tempo che non seppe quantificare si lasciò cullare della sensazione di completo nulla che la avvolgeva, come se fosse in una bolla che la isolava dal resto del mondo, ci sarebbe rimasta per sempre. Si sentiva come se fosse sott'acqua. Quella sensazione le aveva ricordato il periodo in cui aveva fatto nuovo, è stato solo per qualche anno però le era sempre piaciuto immergersi dentro l'acqua con la testa, non c'era nessun rumore e il peso del proprio corpo, robusto ma atletico, non gravava sulle gambe e sulla schiena.
Ad infrangere quel confortante tepore arrivò un lancinante bruciore ai polmoni, voleva gridare e probabilmente lo fece, ma non ne era sicura. Aveva una percezione strana del suo corpo al momento, non lo riconosceva e ogni movimento che provava a fare gli costava moltissima fatica. Sentiva delle persone che parlavano intorno a lei, voci ovattate, come se fosse tornata nella bolla. Delle braccia la avvolsero ed uno strano istinto si fece spazio dentro di lei, si sentiva al sicuro e protetta.
"Forse mi hanno portata in ospedale." pensò Morgan. Aprì gli occhi ma la sua vista era completamente appannata e riuscì a distinguere solo la sagoma di un volto che la guardava. Tenere gli occhi aperti era estenuante e Morgan si addormentò.
<<Signora, come si chiamerà la bambina?>>
Chiese l'infermiera di fianco al letto della sala parto. Min-jee aveva le lacrime agli occhi e la fronte rigata dal sudore. Il travaglio era stato lungo ma ne era valsa la pena, strinse la piccola a se.
<<Ye-sol, si chiamerà Ye-sol.>> disse con voce rotta.

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Nasci, cresci, nasci
Genel KurguImmaginate di nascere, poi morire e poi nascere di nuovo. Tutto sembra nuovo e senza senso per Morgan che ha un solo obiettivo: tornare dalla sua famiglia.