Chapter X

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Era una sera qualunque. Come al solito, seguivo Jeongin. Come al solito, Felix mi mandava una miriade di messaggi chiedendomi di tornare a casa.
E se Jeongin avesse cambiato Felix per qualcun altro? Per il suo spacciatore, ad esempio. Ricordiamoci che era comunque un tossicodipendente.
Se fosse stato così, Felix mi avrebbe mai perdonato per ciò che avevo pensato di lui?
Jeongin mi aveva chiesto di accompagnarlo in chiesa.
Ho bisogno di parlare con Dio, aveva detto. Dio. Esisteva un Dio?
Non ero entrato con lui. Camminavo nervosamente davanti l'entrata, fin quando non sentii il telefono vibrare.
Jeongin
Panico. Gli avevo detto di chiamarmi solo ed esclusivamente se fosse successo qualcosa.
Mi precipitai all' interno e vidi subito Jeongin in piedi, immobilizzato. Guardai nella sua stessa direzione. Un ragazzo esile, con il viso completamente coperto da una mascherina nera e un cappello con visiera. Avevo davanti colui che da 19 mesi stavo cercando?
Era troppo distante per poterlo identificare.
Presi la pistola e gliela puntai contro. «Non ti aspettavi i rinforzi?» Strinse i denti e io ghignai.
Fece per prendere la pistola, ma io sparai per primo. Gli colpii il braccio, in modo di fargli cadere l'arma a terra.
Emise un mormorio di dolore e si portò la mano sul braccio ferito.
Girò i tacchi, provando a fuggire, ma i miei colleghi gli fecero da muro e lui si ritrovò con il culo a terra.
Prima di entrare in chiesa, ovviamente, avevo chiesto rinforzi. E, ringraziando Dio, erano arrivati giusto in tempo.
Mi avvicinai, tremante. Non volevo vedere ciò che sapevo avrei visto.
Arrivai davanti a lui. Era ancora seduto a terra, dandomi la schiena. Si teneva il braccio, probabilmente dal dolore o per evitare di perdere troppo sangue.
Da sotto il cappello, sulla nuca, s'intravedevano i suoi capelli biondi. Scossi la testa.
«Chan?» Chiese Minho.
«Alzati.» Ringhiai. E lui lo fece, senza farselo ripetere. Non ebbi bisogno che si girasse, per poter riconoscere quella corporatura. Le lacrime iniziarono a rigarmi il volto. Strinsi i denti. Gli strappai la mascherina di dosso e vidi Minho portarsi la mano sulle labbra. Strappai le manette dai passanti dei pantaloni di Minho, poi buttai Felix in ginocchio. Gli misi le braccia dietro la schiena e strinsi le manette sui suoi polsi.
«No» Disse, quando lo presi per la vita e iniziai a trascinarlo. «No!» Inizio a dimenarsi, provando a scappare dalla mia presa. «Chan, che stai facendo?» Iniziò a piangere «Chan, sono io!»Lo presi in braccio, buttandomelo sulla spalla, a mo' di sacco di patate. Più lo sentivo urlare e piangere, più era difficile trattenermi dal scoppiare in un pianto liberatorio.


Voglio raccontarvi questa cosa, anche se non è il momento migliore per farlo.
Una cosa che non c'entra assolutamente nulla con la storia, ma è un capitolo della mia vita che ho raccontato solo a mia cugina, considerando che è l'unica che mi capisce.
Dovete sapere che, come lavoro, faccio l'assistente di volo. Il 10/07 mi mettono la tratta Francoforte-Milano (io sono basata a Francoforte). Stavo già passando un periodo orribile, considerando che i miei bimbi sarebbero andati a Milano ed io ero così lontana.
Mentre facevo il mio servizio, tranquillamente, sento il call bell (quel pulsante sopra le vostre teste, in aereo, per chiamare un hostess). Vado da quelle tre ragazze ed una di loro mi dice che l'amica non sta bene. Corro a prendere una sick bag e dei fazzoletti. Torno, sto un po' con lei, poi mi rendo conto di questo lupetto che sbucava fuori dalla sua felpa. Urlo "Ma state andando al concerto?!"
Beh, che dire, la ragazza si è ripresa, l'ho fatta parlare un po' degli Stray, per farla distrarre da quel senso di nausea.
Io no. Io ero ancora più depressa, perché mi sono resa conto di quante stays che andavano a Milano ci fossero in quel volo. E ad ogni ragazza che usciva, io dicevo, con un sorriso falsissimo, un "Bye, thank you for flight with us, enjoy the concert".
Niente. Questo. Ho bestemmiato in tutte le lingue del mondo. Proprio a me dovevano dare quella tratta, quel giorno?

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