Gli furono imputati 102 ergastoli, uno per ogni vittima. Doveva fare regolarmente delle cure psichiatriche e io mi proposi di essere il suo accompagnatore. Avemmo la certezza che Han Jisung non avesse niente a che fare con tutto quello. Sia Felix che la macchina della verità lo avevano confermato.
Ricevetti una promozione, per aver risolto il caso. Eppure, ciò che volevo, era avere una vita normale. Con un marito normale.
Felix era ormai dentro da un anno, non lo ero mai andato a trovare, ma era arrivato il giorno della visita. Come avrei reagito, vedendolo?
Non mi ero, ovviamente, rifatto una vita. Come avrei potuto?Arrivai davanti la sua cella e rimasi a fissarlo.
Era da solo, lo avevano dovuto spostare perché, come previsto, veniva perennemente torturato per ciò che aveva fatto.
Diedi un colpo di tosse e colpii le sbarre con un pugno. «Alzati, devi andare in ospedale.» Dissi, senza guardarlo. Si tirò seduto e rimase a fissarmi «Perché non sei a fare colazione con gli altri?» Non rispose. Perché sentivo una forte necessita di piangere? «Devi rispondere quando un agente ti fa una domanda!»
Lui non rispose ancora, ma si avvicinò alle sbarre e posò le mani su di esse. «Ancora non rispondi?!» Finalmente riuscii a guardarlo. Fu come ricevere una coltellata nello stomaco. Aveva delle bende attorno collo. Il viso totalmente sfigurato. Le labbra spaccate, numerosi lividi, delle occhiaie spaventose e gli zigomi ancora più marcati di prima, per tutto il peso perso.
Si toccò il collo e scosse la testa.
«Non riesci a parlare?» La scosse di nuovo. La voglia di piangere aumentò. Cosa ti stavano facendo, Felix? Mi passò una mano sul viso e, per un attimo, chiusi gli occhi, godendomi il suo tocco. Tornai alla realtà, allontanandomi subito. «Vuoi che ti accompagni a fare colazione?» Scosse di nuovo la testa. «Ti hanno accoltellato?» Gli indicai la gola e lui annuì.
Presi un respiro profondo. Aprii la cella, per farlo uscire. «Ti accompagno a cambiarti»Se la faccia era rovinata, il corpo era peggio. Non c'era un punto in cui non aveva un livido. Era dimagrito veramente tanto, gli si potevano contare tutte le costole semplicemente guardandolo. Non sapevo nemmeno come potesse reggersi in piedi. Più lo guardavo, più la voglia di piangere aumentava. La sua bellezza non era scomparsa, era ancora l'essere vivente più bello del sistema solare. Era semplicemente una rosa a cui stavano strappando i petali.
«Sei pronto?» Annuì, sistemandosi i capelli con le dita.«Io rimango qua fuori, mh? Non provare a scappare» Gli dissi. Lui mi prese per mano ed io mi sentii morire per un attimo. «Che c'è?» Spostai la mano e tirai su col naso. Non potevo per nessun motivo al mondo iniziare a piangere in quel momento. «Devi entrare Felix»
«Vieni con me» Sussurrò, con la voce ancora più rauca del normale.
«Vengo con te, l'importante è che non sforzi le corde vocali» Annuì.
Quanto avrei voluto baciarti la fronte, amore mio.Quell'incontro era stato parecchio noioso.
Il medico faceva le domande, Felix rispondeva scrivendo su un foglio, a monosillabi.
Il primo, dopo la visita, mi aveva avvisato che mio marito era depresso. Fortemente depresso, aveva detto. E, a parer suo, lo era da molto più tempo di quanto ci immaginassimo. Pensava, addirittura, che il tutto fosse iniziato con la morte della madre. Felix non aveva nulla, dentro. Era solo un involucro contenente oscurità e angoscia.
Mi aveva detto che avrebbe dovuto parlare con lui ancora, ma se ciò che aveva presunto era vero, Felix, in carcere, non poteva starci. Doveva essere trasferito, per avere cure specifiche.Ogni tanto spostavo lo sguardo su di lui. Era ipnotizzato dal mondo esterno, teneva il lato della testa sul finestrino e non aveva emesso nessun tipo di suono per tutto il tragitto.
«Alla fine, le carte per il divorzio, non le ho mai compilate» Non si mosse da un millimetro.
Mi fermai ad un semaforo e ne approfittai per guardarlo meglio. Spostai lo sguardo sulla sua mano. Se la stava torturando, togliendosi via le pellicine con le unghie. Gliela presi, facendolo finalmente reagire.
Inspirò profondamente, chiuse gli occhi, ma le lacrime iniziarono a rigargli comunque il viso. Non ricambiò la stretta, ma non allontanò la mano.
«Se solo me ne avessi parlato, Felix» sussurrai.
Il semaforo tornò verde, costringendomi a ripartire. Felix non smise di piangere. Dopo qualche minuto, aveva iniziato anche a singhiozzare.Parcheggiai l'auto davanti al carcere. Scesi e andai dall'altro lato, aprendo la portiera per lui. Stava ancora piangendo, coprendosi il viso con il braccio.
Non sapevo cosa stesse provando in quel momento.
Non volevo che mio marito soffrisse così, ma, allo stesso tempo, non si meritava nulla.
Lo afferrai per il braccio, costringendolo ad alzarsi. Lo trascinai fino in cella, ma si aggrappò alle sbarre, per non farsi chiudere dentro.
«Felix!» Scosse la testa. Lo afferrai per la maglia, provando a strapparlo via da lì, ma stava lottando con tutte le sue forze.
«No! Non voglio!»
«Felix, per l'amor di Dio, non urlare!» Si accasciò a terra. Lasciò la presa sulle sbarre, per poi aggrapparsi alla mia gamba.
Sospirai. Sembrava un bambino. E forse lo era davvero.
Mi piegai e lo tirai in braccio. Entrai in cella, poi mi sedetti sul letto. Era diventato un koala, non aveva nessuna intenzione di staccarsi.
«Quando mi verrai a trovare ora?» Sussurrò.
Chiusi gli occhi. Infilai una mano tra i suoi capelli e lo strinsi a me. «Presto»
Scosse la testa «Non è vero» Scosse ancora la testa «Ho bisogno di te» Disse, finalmente staccandosi un po', dandomi la possibilità di guardarlo in faccia.
«Dovevi pensarci prima, Felix.» Posò la fronte sulla mia. Gli asciugai le lacrime, nonostante continuassero a rigargli costantemente il viso.
«Mi hai abbandonato anche tu.»
«Sei tu che ti sei abbandonato.»
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Silent Game |Chanlix|
Misteri / ThrillerDove Bang Chan è un importante detective e suo marito è un ricco nullafacente. Chanlix.