Capitolo 3
Stu era rientrato a lavoro con gli occhi bassi, aveva salutato la signora Galvin, sempre affaccendata in qualche mansione, e si era chiuso in bagno. Aveva pianto, stringendo tra le dita i capelli tinti di nero e strattonandoli quasi a volerli strappare. Si sentiva di nuovo vicino al baratro, al punto di non ritorno e se solo avesse avuto un po' più coraggio sarebbe saltato in quella voragine senza fine, senza saluti né scuse: sarebbe sparito, inghiottito dalle tenebre che gli offuscavano cuore e cervello.
Seduto sulla tazza di ceramica, si era tappato la bocca con un braccio. Per soffocare i singhiozzi aveva affondato i denti nella carne sino quasi a sanguinare. Col retro della nuca aveva preso a colpire il muro, dondolandosi in un movimento ritmico e folle. Non era insolito per lui: quel comportamento infantile, seguito dal dolore, lo facevano tornare padrone di sé almeno quel tanto da poter continuare a marciare sullo sterrato della vita per ancora qualche chilometro.
Si era lavato la faccia ed era tornato a lavoro, come se nulla fosse accaduto, salutando i clienti e ottemperando a tutte le richieste della signora Galvin. Quel giorno non aveva più voluto parlare con Gloria e nemmeno guardarla in faccia. Tornato a casa aveva saltato il pranzo e si era chiuso in camera. Sdraiato sul letto con le cuffie alle orecchie e il volume settato al massimo, aveva ascoltatolo stesso brano per tre ore di fila, cantando a squarciagola che non stava bene, non stava bene, non stava bene per un cazzo. Si era zittito soltanto quando sua madre, Sandra, si era affacciata timidamente dalla porta tappezzata di poster di rock band, avvisandolo che sarebbe andata dalla signora Campbell ad accudire i suoi due gemelli. Stu le aveva rivolto un'occhiata triste e aveva annuito, prima di tornare a osservare il soffitto, sopraffatto dalle note dure e dalla voce acuta del cantante.
Stuart era comunque riuscito a sopravvivere fino alla sera. Adesso era in auto e guardava davanti a sé, mentre un brano blues a basso volume veniva vomitato dalla radio. Kimberly, accanto a lui, frugò nella borsa e si accese una sigaretta.
Aveva conosciuto Kimberly Romero per caso, quasi cinque mesi prima. Originaria di Bruce, una cittadina distante una trentina di miglia da New Houlka, era entrata nel supermercato dove lavorava Stuart chiedendo aiuto: l'auto aveva iniziato sussultare e si era fermata proprio lì, nel parcheggio del grande magazzino. La signora Galvin aveva chiesto a Stu di occuparsene e quest'ultimo era tornato a casa, aveva preso la propria macchina e aveva trainato quella della forestiera sino alla stazione di servizio dove lavorava suo padre Christopher. I meccanici avevano dato uno sguardo al motore, avevano dedotto che il problema derivava dalla coppa dell'olio e avevano rattoppato il guasto. Lei l'aveva ringraziato e l'aveva invitato a bere qualcosa con lei, quella sera. Stuart aveva accettato più per cortesia che per piacere.
L'aveva riaccompagnata a casa e lei l'aveva accolto, sorprendendolo, nel proprio letto, complice il fatto che i genitori erano fuori. Per Stuart era stata la cosa più bella che gli fosse capitata da molti anni. Le sue avventure amorose passate erano state per lo più incontri occasionali, nati durante le sue rare uscite dal paese. Ma non appena il desiderio svaniva, si dissolveva anche l'interesse verso l'altra persona. Ogni volta che ciò accadeva, Stu si sentiva colpevole e fuori luogo. Con Kim era diverso: non sapeva se ne fosse davvero innamorato, ma con lei si sentiva libero di essere se stesso, di lasciarsi andare a una parola o un gesto gentile e, soprattutto, avrebbe voluto che quegli incontri non finissero mai.
Stuart spense la radio e strinse le tempie tra il pollice e il medio della mano sinistra. Sentiva ancora gli strascichi dell'ira e delle lacrime del pomeriggio, che si erano soltanto sedate in attesa di tornare più violente e brucianti di prima. Kim gli porse il pacchetto di American Spirit e Stu scosse la testa. Non fumava: si concedeva solo, raramente, qualche tiro.
Kim abbassò un poco il finestrino e scosse la cenere all'esterno.
«Che cosa succede?»
«Niente.»
Era la sua risposta preferita, assieme a "sto bene": breve, diretta e quasi sempre efficace. Tante volte era riuscito a ingannare persino Kim, sfoggiando un sorriso storto ma all'apparenza spontaneo. Pur detestando le menzogne, negli anni aveva imparato a minimizzare il suo dolore interiore, sino a nasconderlo o negarlo del tutto.
Stu ruotò il busto e allungò il braccio destro sotto il sedile posteriore: intercettò una bottiglia di whisky mediocre, avvolta in un sacchetto di carta marrone, e l'afferrò. La svolse, svitò il tappo e diede una lunga sorsata. Schioccò con un rumore secco la lingua contro il palato.
«Hai di nuovo avuto a che fare con i tuoi ex compagni di scuola?»
Quella domanda, così diretta, fece mozzare il respiro a Stuart: si girò di scatto verso Kim e vide che lo osservava con aria rassegnata. Il ragazzo capì di non essere riuscito a nascondere il proprio stupore: gli occhi sgranati erano per Kimberly la conferma di aver fatto un centro perfetto. Stu abbassò lo sguardo sulle gambe della ragazza, lasciate in parte scoperte dalla vezzosa gonna scozzese. Non rispose. Non subito.
Kim trasse l'ultimo tiro dalla sigaretta e buttò il mozzicone sull'erba inumidita di bruma.
«Sputa il rospo.»
Kim allungò la mano sinistra e accarezzò il retro del collo di Stuart. Il ragazzo si arrese a quelle carezze e si ritrovò a raccontare l'episodio avvenuto quella stessa mattina: la rabbia, quel vecchio idiota che si era messo a ridere, la vergogna che aveva provato con Gloria e di quanto temesse le sue critiche. Tra una parola e l'altra, aveva accuratamente omesso di aver pensato - di aver sperato - di morire, desiderio sempre più forte e frequente negli ultimi anni. Non voleva far preoccupare Kim e soprattutto non voleva rischiare di perderla. Stu temeva che, se le avesse davvero aperto il cuore e l'avesse fatta affacciare sul precipizio nero del proprio animo, se ne sarebbe andata. E per lui sarebbe stata la fine.
Durante il racconto Kimberly non parlò. Restò in silenzio, annuendo di tanto in tanto per esortarlo a continuare. Manteneva un'espressione neutra, che rilassava e incentivava Stuart a parlare.
Poi il ragazzo si zittì. Aprì di nuovo la bottiglia di whisky da quattro soldi e l'alzo per portarsela alle labbra. Kim allungò la mano e lo fermò, scostandogliela dalla bocca.
«Hai bevuto abbastanza per stasera» lo rimproverò, afferrando il liquore e calcando con forza il tappo nel collo di vetro. Non era del tutto vero: aveva solo ingoiato qualche sorsata, nemmeno troppo abbondante, ma non voleva che si ubriacasse.
«Kim, Dio santo, non rompermi le palle pure tu!»
Kimberly sembrò non ascoltarlo e appoggiò la bottiglia sul tappetino posteriore, dietro il sedile del guidatore. Stu sbatté innervosito una mano sul volante.
«Kim, davvero, ridammi la...»
Stu si zittì quando Kim gli posò le labbra sul collo. Gli mordicchiò la pelle egli posò una mano sulla coscia, troppo vicina al cavallo cavallo dei calzoni. Poi lo guardò, gli rivolse un sorriso malizioso e gli stampò un bacio umido sulla guancia. Stuart non era più tanto sicuro di voler contestare.
«Domani sera i miei non ci sono» disse Kim, allusiva. «Rientreranno domenica nel tardo pomeriggio. Potresti venire da me.»
Stu sorrise. Avrebbe gradito davvero un altro goccio di whisky, ma era disposto a rinunciarvi pur di trascorrere un'intera nottata con Kimberly. E quando lei riprese a morsicchiargli collo, fu certo di non avere altro da aggiungere.
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Buongiorno, amici!
In questo capitolo vi ho presentato la bella Kimberly. Che ne pensate di lei? Quale sarà il suo ruolo nei prossimi capitoli?
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate e come credete che evolverà la storia.
Tra qualche giorno posto il seguito.
Vi mando un abbraccio fortissimo. Tanto amore. -'♡'-
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Figlio dell'amore e dell'odio
General FictionStuart Anderson vive a New Houlka, una piccola città del Mississippi. È un ragazzo solitario, che soffre di depressione a causa del bullismo subito durante il periodo scolastico. Nonostante tutto, cerca comunque di occupare il giusto posto nella so...