Capitolo 8

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Capitolo 8

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Capitolo 8


Stuart aveva trascorso una nottata piena di incubi e deliri.

Si era svegliato più volte a causa di sogni orribili: ne ricordava chiara­mente uno in cui sua madre si affacciava da un ponte per fotografare il fiu­me in piena e cadeva giù, gridando terrorizzata di chiamare aiuto; un mo­mento prima che le acque la inghiottissero, Stu aveva visto il suo volto, troppo pallido e vecchio, incattivito, coni grandi occhi neri che lo fis­savano accusatori e ostili. Il ragazzo si era svegliato di soprassalto. Si era asciugato il sudore, aveva be­vuto un lungo sorso d'acqua dalla bottiglia sul comodino e si era di nuovo sdraiato, impiegando almeno mezz'ora per riaddormentarsi.

Aveva continuato a oscillare tra assopimento e veglia, rilassamento e tensio­ne, sino all'alba, quando la sua mente aveva ceduto e gli aveva concesso un sonno profondo e lineare, completamente nero. Sua madre l'aveva poi svegliato attorno alle undici, portandogli una tazza di caffellatte e un toast al formaggio e prosciutto: Stuart adorava i toast farciti ed erano il suo pasto preferito quando era malato o non si sentiva al meglio. Sandra, seduta sull'orlo del letto, lo accu­diva come fosse stato un bambino piccolo e Stu accettava di buon gra­do quelle carezze materne.

Per sua madre vederlo in quello stato era peggio che morire. L'occhio sinistro del ragazzo era gonfiato a dismisura, tanto che gli era impossi­bile aprire le palpebre; un grosso livido violaceo, dai bordi re­golari, si estendeva sino alla gota. Anche le labbra erano tumefatte. Eppu­re, nonostante risultasse orribilmente sfigurato, per Sandra era bellissimo.

Stuart, all'improvviso, l'aveva abbracciata. Sandra aveva contraccambiato con slancio e gli occhi umidi: da tempo suo figlio non si lasciava più andare a un gesto così spontaneo e affettuoso. Gli aveva scompigliato i capelli e lui aveva sorri­so come un fanciullo.

«Ti voglio tanto bene, Stu.»

«Anche io, mamma. Tantissimo.» E le aveva fatto una carezza sulla guancia morbida e chiara, che cominciava a presentare piccole rughe do­vute all'età e alle difficoltà che la vita le aveva riservato. Studiandone le fattezze del volto, Stu aveva riscoperto se stesso: identici occhi felini e pro­fondi, identico naso dritto – e si ritrovò a pensare quanto fosse elegante pri­ma che quel bastardo di Harpic glielo rompesse – e identiche labbra, sottili ma piene. Da suo padre, invece, aveva ereditato l'altezza e lo sguardo triste.

Sandra gli baciò la fronte, scostandogli il ciuffo spettinato e sudato. Stu chiuse l'unico occhio sano e mugolò soddisfatto, come un vecchio gat­to pigro e ruffiano.

«Chi ti ha fatto questo?»

Stuart sapeva che presto sua madre gli avrebbe fatto quella domanda, la stessa che il dottor Parker gli aveva rivolto la sera prima. In­clinò le labbra all'insù, scuotendo debolmente il capo.

«Non è importante, mamma.»

«Sei mio figlio!» protestò tonante Sandra, prima di abbassare il tono. Le parole, malferme, fecero ricordare a Stu il belato di un agnello. «Per l'amore di Dio, non tenerti tutto dentro. Tuo padre era così infuriato e preoccupato, ieri sera... se solo ti confidassi, riusciremmo a sistemare tutto, ne sono si­cura.»

Figlio dell'amore e dell'odioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora