Stuart Anderson vive a New Houlka, una piccola città del Mississippi. È un ragazzo solitario, che soffre di depressione a causa del bullismo subito durante il periodo scolastico. Nonostante tutto, cerca comunque di occupare il giusto posto nella so...
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Capitolo 11
Il mattino seguente Stuart si era svegliato alle otto. Aveva un gran mal di testa e un forte senso di nausea, ma era ancora vivo. La notte precedente aveva dormito a terra, aggrappato al copriletto e quando aveva riaperto gli occhi si era sentito infreddolito e intorpidito. Era sicuro di aver avuto una lunga sequela di incubi, ma non ne ricordava nemmeno uno. Schiudendo le palpebre, aveva trovato un mondo sbiadito e tremolante.
Si era lavato, era sceso nella zona giorno e aveva fatto colazione. Sandra, preoccupata per quel suo aspetto deturpato, gli aveva domandato che cosa non andasse. Stuart aveva risposto che non v'era nulla e che aveva solo dormito molto male. Se sua madre gli avesse creduto o no non lo sapeva, ma smise di fargli domande e a lui fu sufficiente così.
Si era poi sdraiato sul divano a osservare qualche vecchio film trasmesso in televisione. Non gli interessavano davvero quegli attori in bianco e nero che amplificavano con esagerazione teatrale i loro sentimenti, ma non aveva nulla di meglio da fare. La notte prima aveva accuratamente spento il cellulare e non l'avrebbe mai più acceso.
Stu, dopo pranzo, aveva deciso che non si sarebbe recato a lavoro. Sandra lo aveva pregato di andare o almeno di avvertire, ma Stuart si era mostrato più sordo di un vero sordo. Non aveva nemmeno replicato: si era limitato ad alzarsi e a prendere una birra in frigo, per poi tornare sul sofà e crogiolarsi nell'accidia più assoluta. Sua madre aveva provato un paio di volte a intavolare un discorso, ma era stata costretta a gettare la spugna quando ebbe per risposta solo qualche muta occhiata irritata.
Stuart rimase così sino a pomeriggio inoltrato, quando rientrò Chris. Suo padre lo guardò interdetto, chiudendo il portoncino d'ingresso alle spalle.
«Perché non sei andato a lavoro?» chiese Christopher.
«Non ne vale la pena» sbuffò Stu, continuando a guardare la televisione. «E comunque la prossima settimana mi licenzierò.»
Chris tacque, sicuro di aver inteso male. Si guardò attorno, come accertandosi di essere davvero sveglio e cosciente, poi tornò a guardare suo figlio. O quel ragazzo che tanto assomigliava a Stuart.
«Perché?» domandò poi, come istupidito. Sentiva qualsiasi nesso logico scivolargli dalle dita e non trovava una motivazione razionale all'affermazione del figlio.
Stu, sdraiato sul divano, lo guardò dal basso vero l'altro, sollevò un sopracciglio e, soffiando, riprese a guardare la televisione. Non aveva alcuna intenzione di parlare coi propri genitori della sua situazione: gli avrebbero consigliato di reagire; magari gli avrebbero proposto di uscire e svagarsi; sicuramente gli avrebbero detto che il lavoro sarebbe stato un valido diversivo per non arrovellarsi il cervello tutto il giorno. Ma a lui non interessava ascoltare quei pareri non richiesti e inutili: lui desiderava soltanto dormire e mangiare e ascoltare musica e guardare vecchi film su uno schermo altrettanto vecchio.