Stuart Anderson vive a New Houlka, una piccola città del Mississippi. È un ragazzo solitario, che soffre di depressione a causa del bullismo subito durante il periodo scolastico. Nonostante tutto, cerca comunque di occupare il giusto posto nella so...
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Capitolo 1
Ogni mattina si guardava allo specchio e imprecava. Aveva ventidue anni, odiava la propria vita e ancora di più detestava se stesso. Dormiva sempre meno e sempre peggio e il risveglio diveniva ogni giorno più tragico. Si osservava, combatteva con l'istinto di prendere a pugni il proprio riflesso e si sbarbava, meditando se tagliarsi definitivamente la gola, ma ogni volta accantonava il pensiero udendo l'acciottolio delle stoviglie giù in cucina. Sua madre: era sempre lei il motivo di ogni ripensamento; era lei che, nel bene o nel male, lo teneva ancora in vita.
Stuart aveva studiato alla Chickasaw Country School District con indirizzo artistico. Aveva creduto che sarebbe stato facile trovare qualche compagno di istituto con i suoi stessi gusti musicali e assieme formare una band o fondare una galleria d'arte moderna. Non aveva mai sognato fama e successo planetari, ma aveva sperato di diventare qualcuno fuori da quel piccolo e bigotto paesello che era New Houlka. Non c'era riuscito: niente band e niente galleria d'arte. In compenso i quattro anni alle scuole secondarie erano stati disastrosi, i peggiori di tutti quelli che avevano caratterizzato la sua esistenza. Ancora adesso ricordava senza molto fatica le umiliazioni e i pestaggi che subiva ogni giorno dai suoi compagni di corso. Lo chiamavano perdente, fallito, checca. Lo avevano ferito a tal punto che i suoi genitori, preoccupati dai suoi sbalzi d'umore, lo avevano portato da uno psicologo.
Certo, il dottor Robinson era una persona squisita, un amico perfetto e il padre che tutti i ragazzi avrebbero voluto avere... ma era uno strizzacervelli e questo, a Stu, non piaceva affatto. Non che minimizzasse la sua situazione – sapeva di aver bisogno di aiuto e ne aveva bisogno in fretta – ma non gli piaceva a priori il ruolo di cavia che gli veniva imposto lì, su quel lettino in pelle scura e scomoda. Il dottor Robinson gli aveva prescritto dei tranquillanti, da prendere alla sera prima di andare a dormire, e al mattino, prima di recarsi a scuola. Non si erano rivelati molto utili, all'inizio, ma Stu aveva presto scoperto che raddoppiando le dosi e il numero di assunzioni giornaliere riusciva a sopportare persino Fred Harpic, il violento e presuntuoso figlio dell'avvocatucolo del villaggio.
Stu accantonò definitivamente gli antidepressivi al termine della scuola: nonne aveva più bisogno. Non che fosse guarito dalla sua depressione, ma non usciva più di casa. Trascorreva le giornate davanti alla televisione, seduto sul vecchio divano del soggiorno, oppure incamera sua, con la sua musica preferita a tutto volume e a ogni canzone ricordava quei giorni in cui aveva davvero creduto di potersi lasciare tutta la sua vita alle spalle.
Dunque, senza persone accanto erano terminati i suoi problemi. O quasi.
Poi suo padre Christopher l'aveva obbligato a fare qualcosa: cercare un lavoro o iscriversi al College. A Stuart sarebbe piaciuto studiare, in altre circostanze, ma non in quel momento: l'idea di rapportarsi di nuovo col mondo esterno, con volti e voci sconosciuti, lo rendeva fragile e insicuro. Aveva così trovato un impiego nel panificio del paese, ma poi il signor Wade, proprietario del locale, lo aveva licenziato per assumere la più bella e promettente Susan, che di certo avrebbe attirato più clienti col suo visino da bambola e la cinguettante parlantina. Stu si era barcamenato tra un'attività precaria e l'altra, finché la signora Galvin, proprietaria del supermarket al centro del paese, non lo aveva assunto. Ester Galvin era una brava donna dalla pelle scura, una buona madre e una sorta di figura amichevole che gli donava sicurezza.
Stuart lavorava al supermarket da ormai otto mesi. Le sue mansioni erano svariate: riforniva gli scaffali, scaricava le cassette dell'ortofrutta e sostituiva, di tanto in tanto, la biondissima Gloria alla cassa. Le voleva bene e lei contraccambiava in maniera spontanea e naturale. A metà mattinata andavano al bar assieme e prendevano un caffè, chiacchierando delle notizie del giorno o di loro stessi. In più occasioni Gloria gli aveva ripetuto che era un bravo ragazzo e che non doveva curarsi delle dicerie altrui. Facile a dirsi, pensava ogni volta Stuart, un po' meno a farsi. Ma le era comunque grato.
Stu aveva cominciato a essere catalogato come un pessimo elemento attorno ai quindici anni, quando aveva iniziato ad ascoltare band considerate dai compaesani più vecchi di dubbia moralità. Si era fatto crescerei capelli quel tanto da poter ostentare una discreta cresta, che si era fatto tingere di un terribile verde acido. Col tempo, era divenuta un floscio ciuffo asimmetrico sull'occhio destro. Per questo si era aggiudicato epiteti quali Frocio,Succhiacazzi,Depresso. Nuovi insulti che si andarono ad aggiungere a una già lunghissima lista.
Fu in quel periodo che aveva sviluppato uno smisurato rigurgito antisociale, che col passare degli anni non poté che alimentarsi in maniera ulteriore. Aveva coltivato con passione il desiderio di distinguersi dalla massa, di non essere come tutti gli altri, vuoti simulacri di eleganza e uniformità: voleva essere alternativo, voleva fare la differenza, voleva essere Qualcuno capace di camminare a testa alta e mostrare il vero se stesso con orgoglio. Voleva essere la testimonianza che anche la diversità apparente nasconde frutti buoni. Ma anche in questo caso aveva fallito e aveva accusato della propria sconfitta quell'agglomerato di case e la mentalità retrograda e perbenista dei suoi abitanti.
Qualche volta si era trovato sul punto di parlarne con Gloria, quella ragazza dal sorriso raggiante e dalla mente colma di pensieri positivi; si era più volte ripetuto che lei l'avrebbe compreso, l'unica in grado di farlo in tutto quel piccolo e misero borgo nel cuore degli Stati Uniti, dimenticato da Dio e dagli uomini. Si era però sempre trattenuto: Gloria non era una sua vera amica, solo una cara collega. Non sarebbe riuscita ad aiutarlo. Inoltre Stu aveva temuto che anche lei, a udire quelle farneticazioni, lo avrebbe classificato come uno schizofrenico e poi si sarebbe allontanata, lasciandolo del tutto solo. Aveva così taciuto, salvaguardando quella che sarebbe potuta diventare una bella amicizia.
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Buongiorno, amici!
Mi decido, finalmente, a pubblicare il primo capitolo della mia storia. È da tanto tempo che vorrei finire di scriverla e pubblicarla, ma confesso che mi è sempre mancato il coraggio. Adesso, ho deciso di osare!
Spero con tutto il cuore che vi piaccia! Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate.
Tra qualche giorno posto il seguito.
Vi mando un abbraccio fortissimo. Tanto amore. -'♡'-