Capitolo 2

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Capitolo 2

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Capitolo 2

Quella mattina erano al bar New Inn, seduti al bancone, a chiacchierare di sport. Stu era convinto che quella domenica i Bruce Trojans avrebbero fatto mangiare la polvere ai Calhoun City Wildcats. Gloria non sembrava concordare e sosteneva con entusiasmo l'esatto contrario.

«Vinceranno i Trojans» dichiarò con fermezza Stu, portando alle lab­bra la tazza di caffè nero tiepido.

«Assolutamente no! I Wildcats trionferanno! Vuoi scommettere?»

Stu fece un sorrisetto appena accennato, mostrando un'espressione pensierosa.

«E cosa vorresti scommettere?»

«Chi perde, offre l'aperitivo» rispose prontamente Gloria, con gli occhi che rilucevano di divertimento ed eccitazione.

«Va bene» accettò lui, facendo spallucce e riprendendo a sorseggiare il caffè. Alzò per un istante lo sguardo dal bordo della tazza e vide il vec­chio Gil scuotere la testa con disapprovazione, prima di tornare ad asciugare le stoviglie. Stu si chiese se stesse effettivamente ascoltando la loro conversazione o se navigasse tra i propri pensieri.

La porta del New Inn si aprì e la campanella fissata con un chiodo per la ferratura dei ca­valli al legno levigato trillò, annunciando l'arrivo di un nuovo avventore. Nessuno sollevò la testa dal proprio giornale o dalla propria bevanda.

«Buongiorno, signor Margison! Come andiamo?»

Il barista rispose con un grugnito. Stuart strinse la tazza tra le dita lun­ghe e affusolate con così tanta forza da farsi sbiancare le nocche. Cono­sceva fin troppo bene quella voce: era quella che, in tutti e quattro gli anni di scuola secondaria, l'aveva schernito ogni giorno e in ogni modo possibile. Gli era giunta voce che Fred Harpic raccontasse spesso le sue prodezze a tutti quanti, più e meno giovani, rendendo Stuart lo zimbello preferito del paese.

Stu finse di non riconoscerlo e abbassò il capo; il ciuffo nascose buona parte del viso lungo e scavato. Fred andrò a sedersi, senza fretta, accanto a lui.

«Anderson, anche tu qui? Che sorpresa!»

Stuart non rispose, stringendo i denti tra loro, in una morsa ferrea e do­lorosa

(No figlio di puttana non è una sorpresa sai benissimo che vengo qui tutte le fottutissime mattine in cui lavoro)

ma non disse nulla. Si limitò a vuotare la propria tazza, alzarsi dallo sgabello e ficcare le mani in tasca, alla ricerca delle banconote per pagare Gil. Percepiva un fastidioso nodo all'altezza della gola, che gli rendeva difficile non solo deglutire, ma anche respirare. Gloria, accanto a lui, teneva la te­sta bassa, estraniandosi – o fingendo di farlo – dall'atmosfera diventata all'improvviso densa e negativa.

«Non mi offri da bere?» continuò Fred.

Qualcuno, in fondo al locale, alzò lo sguardo dal giornale, gettò un'occhiata su quei due ragazzi al ban­cone e tornò a immergersi nella stuzzicante cronaca nera della Contea di Chickasaw, secondo la quale si aggirava tra i paesi e le varie cittadelle un rapinatore seriale, armato e pericoloso. L'articolo sosteneva anche che la polizia fosse sulle sue tracce, ma erano pochi lettori che lo ritenevano plausibile.

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