Capitolo 21 ✽ Il racconto di Jisung

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Jisung si recò al parco di Namsan, un luogo che gli era familiare e dove spesso cercava rifugio. I sentieri erano fiancheggiati da ciliegi, le cui foglie, ora dorate per l'autunno, creavano un tappeto di colori caldi sotto i suoi piedi. Arrivato alla sua panchina preferita, si lasciò cadere con un respiro pesante. Il fruscio delle foglie, creava un sottofondo che avrebbe dovuto essere rassicurante, ma per lui era solo un rumore fastidioso.

Frugò istintivamente nelle tasche alla ricerca delle cuffie, ma non le trovò. Non le aveva prese, dato il modo improvviso in cui era uscito di casa. Nonostante la mancanza delle cuffie, Jisung non riusciva a fare a meno della musica. Aprì la sua playlist sul telefono, impostando il volume basso per non disturbare i pochi passanti che attraversavano il parco in quella fredda serata di novembre.

Ma la melodia non riusciva a coprire il suono dei suoi pensieri: "Minho penserà che sono un bambinetto capriccioso e inesperto", si disse sconsolato.

Il vento soffiava, facendogli sentire il freddo pungente che gli penetrava sotto la felpa. Solo in quel momento si rese conto di non aver portato nemmeno il giubbotto. Ma l'idea di tornare indietro lo turbava: non voleva correre il rischio di incontrare Minho. Era consapevole di averlo lasciato nervoso, e la sola idea di affrontarlo in quel momento gli sembrava insopportabile. Inoltre, cosa avrebbe potuto dire? Era stato lui stesso a chiedere a Minho di lasciargli i suoi spazi, facendogli capire che non desiderava la sua presenza.

Jisung sospirò, fissando il paesaggio che lo circondava. Il laghetto al centro del parco, le sue acque calme riflettevano i colori del cielo e gli alberi circostanti, creando un quadro di serenità che contrastava con il tumulto dentro di lui. La musica scorreva nelle sue orecchie, ma i suoi pensieri erano assordanti. Quello che provava non era solo fastidio per ciò che aveva scoperto su Minho. Era una gelosia irrazionale, il dolore di sapere di non essere stato il primo.

"Che sciocco, certo che ne ho manie di protagonismo" pensò amaramente, un sorriso senza gioia apparve sulle sue labbra. La consapevolezza lo fece sentire ancora più piccolo, immerso in quella sensazione di essere inadeguato.

Chan stava raggiungendo di corsa Jisung. Sapeva che era esposto al freddo e che Minho, tornando a casa, non era stato nel migliore dei modi. Si aspettava di trovare Jisung triste e nervoso, probabilmente con il bisogno di parlare. Non avrebbe lasciato il suo amico da solo a rimuginare, qualunque fosse la natura dei suoi pensieri. Era consapevole che, appena sarebbe arrivato, la prima reazione di Jisung sarebbe stata quella di cercare di mandarlo via. Ma Chan era deciso a tenergli testa e non lo avrebbe lasciato solo a rimuginare.

Quando finalmente giunse, trovò Jisung seduto sulla sua panchina, assorto a guardare il paesaggio. "Probabilmente quella panchina ha la forma del suo culo stampata da tutte le volte che ci è venuto negli anni", pensò ironicamente, avvicinandosi cautamente per non spaventarlo e per cogliere il suo umore.

Quando Chan raggiunse la panchina, si sistemò accanto a Jisung, che continuava a fissare il vuoto. <È passato tanto tempo dall'ultima volta che siamo stati qui, vero?> esordì, cercando di rompere il ghiaccio. Voleva che l'altro capisse che era lì per sostenerlo e non per forzarlo a parlare se non avesse voluto.

Jisung si voltò lentamente, lo sguardo perso mormorò: <Già, ma non ricordo quando>

<C'era più caldo allora,> rispose il maggiore, notando il tono malinconico del più giovane. Stava provando a capire quale fosse il modo giusto di parlargli.

Jisung, sebbene avesse apprezzato la premura di Chan, si sentì un po' frustrato. <Se vuoi che metta il giubbotto, basta dirlo>, rispose. <Scommetto che me l'hai portato.>

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