Capitolo 13 - Nothing is as it seems

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AIDEN

Stesso posto, stesso odore, stesso silenzio. Brancolo nell'oscurità alla ricerca di un'uscita, ma finisco per tornare sempre nel solito punto. Riconosco al tatto la pietra su cui ho scalfito il numero dei giorni in cui sono rimasto intrappolato e mi accascio sulla terra umida. Sono pronto ad arrendermi, a rassegnarmi al mio triste destino ancora una volta, quando un urlo alle mie spalle squarcia la quiete e mi accorgo di non essere solo. Mi rialzo e mentre gli occhi iniziano ad abituarsi alle tenebre, la voce si fa più vicina e nitida. Grido di rimando, per avvertire l'altro prigioniero della mia presenza, ma quando sento di essere a un passo da lui, il silenzio torna a impossessarsi di questo spazio angusto e mi fermo. Non c'è nessuno, forse sto semplicemente impazzendo. Mi colpisco ripetutamente la testa con le mani, cercando un senso a tutto quello che sta succedendo, ma forse un senso non c'è. Il respiro si fa pesante e torno a confondermi con il terreno. Una nuvola di polvere mi avvolge, provo a tossire, ma questo non fa che aumentare il caos intorno a me. Porto le ginocchia al petto e nascondo la testa tra di esse, attendendo la fine della bufera. Fa caldo, terribilmente caldo. Conto i secondi, poi i minuti intercorsi dall'inizio dell'ennesima tempesta di sabbia e so che presto arriverà. Il tempo passa lento e finalmente torno a respirare; la nebbia svanisce, esco dal mio nascondiglio e mi scontro all'istante con i suoi occhi maledetti. Deglutisco, ma il sibilo si fa più prepotente. Il serpente dalla pelle dorata si muove velocemente verso di me; scalcio con i piedi, ma questo non è sufficiente ad arrestare la sua corsa. Il veleno inizia a circolare nel sangue, mentre una lacrima scivola sulle mie labbra schiuse. "É tutta colpa tua", sono le ultime parole che riesco a udire; poi, il buio.

«Aiden, svegliati dannazione!»

Mi alzai di scatto, con il respiro pesante e la mente madida di sudore. Scosso e spaesato dall'ennesimo incubo, mi guardai attorno e tirai un sospiro di sollievo quando vidi Amanda in piedi proprio di fronte a me. Con un gesto rapido scostai la coperta dal mio corpo accaldato e mi sedetti.

«Cristo sei ancora nudo.»

Mi allungai per recuperare i boxer dal pavimento e lentamente iniziai a riconnettere i pezzi della serata trascorsa al Joy, e di come ero arrivato a casa della mora.

«Che ore sono?» Chiesi con la voce impastata dal sonno, ignorando le sue lamentele.

«Le sette e mezzo.»

Un'ondata di nausea mi fece storcere la bocca in una smorfia e i ricordi sbiaditi della notte precedente iniziarono a riaffiorare: avevo discusso con Zack, mandato tutti al diavolo, raccontato a Riggs dell'incidente di Grace e a giudicare dal mio risveglio privo di indumenti, vissuto un momento di intimità con Amanda.

«Sempre il solito incubo?» Il tono nella sua voce cambiò, lasciando trasparire la sua apprensione.

Non ero solito parlare di quello che succedeva nella mia testa durante la notte, ma lei era l'unica, oltre a mia madre, ad aver sperimentato la paura di vedermi urlare nel sonno. Motivo per cui avevo deciso di non dormire più con lei e con nessun'altra ragazza: ero stanco di rispondere alle solite domande, di parlare di un mostro che aveva preso da tempo il controllo del mio subconscio.

«Che ci fai già sveglia?»

La mia non risposta sembrò riportare le nuvole sul suo umore instabile. Alzò gli occhi al cielo, accompagnando il gesto con un sonoro sbuffo.

«La prossima settimana ho un esame importante e devo studiare.» Cantilenò come una bambina. «Ma non riesco a concentrarmi perchè il tuo telefono continua a squillare!» Concluse, alzando fin troppo la voce.

«Potresti non urlare?» La mia domanda uscì più come un ordine. Mi rivestii sotto il suo sguardo accusatorio e mi avvicinai al tavolino in vetro, dove aveva già preparato un bicchiere d'acqua con un'aspirina.

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